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Expo, 100 giorni buttati e una provocazione

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Hypercorsivo di Massimo Donelli

Sono già passati 100 giorni dalla chiusura dell’Expo.

Vola il tempo, vero?

Eccome se vola!

In compenso, a parte l’annunciato e minuscolo (70 mila metri quadri) Human TechnopoleCollegamento esterno, non vola una mosca sui progetti del dopo.

Ossia su come non far marcire sotto le intemperie un’area di un milione e centomila metri quadri perfettamente collegata con Milano.

Tutti zitti.

Mancanza di idee?

Verità indicibili?

Sciatteria?

Nessuno può saperlo.

Ma siccome quando c’è un vuoto qualcuno finisce per riempirlo, ne approfitto.

E dico la mia.

Dunque…

E’ vero o non è vero che le amministrazioni pubbliche (Stato, Regioni, Città metropolitane, Comuni) hanno le casse vuote?

Verissimo, no?

Bene.

Ecco come riempirle in men che non si dica senza mettere le mani in tasca ai cittadini.

Ci sono almeno dieci istituzioni, corrispondenti ad altrettanti (e più) edifici, che possono serenamente traslocare dal centro di Milano all’area ex Expo.

Dove costruire nuove sedi digitalizzate e interconnesse, all’interno delle quali si lavorerebbe con maggiore comfort , offrendo migliori (e raggruppati) servizi ai cittadini.

Mi vengono in mente questi esempi: 1. Palazzo di GiustiziaCollegamento esterno. 2. Carcere di San VittoreCollegamento esterno. 3. Direzione generale dell’Agenzia delle EntrateCollegamento esterno. 4. Comando dei vigili urbaniCollegamento esterno. 5. InpsCollegamento esterno. 6. Tutti gli uffici comunali (fatta salva la sede di Palazzo MarinoCollegamento esterno). 7. Università stataleCollegamento esterno (ora dispersa su diverse sedi). 8. Ex Provincia e oggi Città metropolitanaCollegamento esterno. 9. Regione LombardiaCollegamento esterno. 10. Caserme varieCollegamento esterno.

Vi basta?

Un immenso patrimonio pubblico (solo Palazzo di Giustizia e Carcere di San Vittore occupano attualmente 215 mila metri quadratiCollegamento esterno) che somma edifici di pregio e aree di enorme valore commerciale.

In un Paese normale verrebbero messi all’asta con bando internazionale.

Ma non prima di aver fissato tre bei paletti: 1) destinazione d’uso; 2) volumi edificabili; 3) congrua base d’asta.

E, ovviamente, mettendo in atto una gara del tutto trasparente, con obbligo di documentazione online a disposizione dei cittadini contribuenti.

Scommetto – a occhi chiusi – che sottratti al ricavato della vendita i costi necessari a realizzare le nuove strutture, lo Stato (nelle sue varie articolazioni) si ritroverebbe con un ottimo tesoretto.

Non basta.

In prospettiva, lavorando bene, abbatterebbe i costi di manutenzione (molte delle attuali sedi risalgono all’800!); ridurrebbe quelli relativi ai trasporti (immaginate un tunnel pedonale che colleghi velocemente il nuovo carcere al nuovo Palazzo di Giustizia, per dire); darebbe un taglio deciso all’uso privato di auto e moto (altro che area CCollegamento esterno!) ottimizzando la gestione di metro e ferrovia collegate con l’ex spazio ExpoCollegamento esterno.

Di più.

La città ne guadagnerebbe in termini estetici (pensate al quartiere di Porta Nuova); si decongestionerebbe a livello traffico; e metterebbe in moto nuove ricchezze, creando migliaia di posti di lavoro veri.

Si può fare?

Ma certo che si può fare!

Basta volerlo.

Basta ragionare in grande e guardare quanto hanno realizzato a Londra e Parigi, tanto per citare due esempi di perfetta integrazione tra nuova e vecchia architettura urbana.

Non sto dicendo di “svendere la città ai privati” (conosco questo ritornello…).

Ribadisco che tutto deve partire da destinazione d’uso, vincoli volumetrici, trasparenza commerciale.

Aggiungo che anche lo Stato potrebbe incanalare una parte dei ricavi nella rivalutazione virtuosa di uno o due degli edifici storici nel cuore della città.

L’attuale Palazzo di Giustizia, per esempio, potrebbe divenire il LouvreCollegamento esterno italiano.

E la meravigliosa Ca’ GrandaCollegamento esterno, l’ex ospedale oggi sede dell’Università statale di Milano, potrebbe essere trasformata nella biblioteca, fisica e digitale, più importante d’Italia.

Insomma, parliamoci chiaro…

Non sono né un urbanista né un architetto né, tantomeno, il presidente del Consiglio.

Ma l’idea di scrollare l’albero dell’indifferenza con questo provocante hypercorsivo mi piaceva troppo per non scriverlo.

E nessuno può impedire che dica la mia, giusto?

Perciò l’ho detta.

Se qualcuno ha idee migliori, si faccia avanti.

Ma finiamola di far scorrere la sabbia nella clessidra senza che nessuno muova un dito su quel ben di Dio a quindici minuti di metropolitana dal centro di Milano, ok?

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