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Da vetrina industriale a luogo d’incontro creativo

Il padiglione svizzero all'Expo universale del 1937 a Parigi akg-images

Le esposizioni universali sono rimaste nella memoria soprattutto per i loro emblemi, come la Torre Eiffel di Parigi o l’Atomium di Bruxelles. Volte inizialmente ad esaltare il progresso e l’industrializzazione, oggi cercano soprattutto di promuovere la creatività dei paesi partecipanti.

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Esposizioni universali ieri e oggi

Questo contenuto è stato pubblicato al Concepite inizialmente soprattutto per mostrare i progressi tecnologici ed industriali delle nuove nazioni, oggigiorno le esposizioni universali vogliono essere principalmente dei luoghi di conoscenza, di educazione e di scambio tra tutti i paesi per contribuire al progresso della civiltà. Se oggi in primo piano figura un tema comune, per favorire la condivisione delle diverse esperienze,…

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“Inizialmente le esposizioni universali servivano soprattutto da vetrina per il paese organizzatore e da terreno di confronto tra i paesi partecipanti. Erano una specie di giochi olimpici dell’economia e dell’industria”, rammenta lo storico Marco Marcacci. Le prime grandi Expo di Londra nel 1851, Parigi nel 1853 e New York nel 1855 erano sorte nel contesto delle nuove società industriali e del positivismo scientifico che aveva caratterizzato la seconda metà del 19esimo secolo.

Basti pensare che l’esposizione londinese era stata chiamata “The Great Exhibition of the Works of Industry of all Nations” (la grande esibizione dei lavori dell’industria di tutte le nazioni). I paesi partecipanti mostravano con fierezza le loro innovazioni, nella speranza tra l’altro di poter aprire nuovi mercati.

Queste esposizioni avevano anche scopi didattici. “Si cercava di spiegare l’utilità sociale del progresso e mettere in risalto il genio dei popoli e delle nazioni che sapevano tradurlo in conquiste materiali e intellettuali”, spiega Marco Marcacci. Molte scoperte tecnologiche sono state così presentate al pubblico nell’ambito di esposizioni universali, tra queste il telegrafo, il telefono, la luce elettrica, l’automobile e la radio.

I paesi partecipanti

Dall’Expo di Parigi del 1867 i paesi partecipanti hanno cominciato a presentarsi con dei propri padiglioni, che potevano gestire piuttosto liberamente. Un concetto, quello dei padiglioni nazionali, che si ritrova ancora oggi nelle esposizioni universali. 

Le esposizioni universali non perseguono scopi commerciali. Vengono assegnate dall’Ufficio internazionale delle esposizioni (BIE) al paese vincitore di un concorso ufficiale. 

La prima expo universale ha avuto luogo a Londra nel 1851. Il suo grande successo ha spinto diversi paesi ad organizzare a loro volta questi grandi eventi fino ai nostri giorni. 

Il BIE, che comprende 157 paesi, è incaricato di sorvegliare la frequenza, lo svolgimento regolare e la qualità delle esposizioni universali. 

L’ultima expo universale si è tenuta a Shanghai nel 2010. La prossima sarà organizzata a Milano dal 1° maggio al 31 ottobre 2015 e avrà come tema “Nutrire il pianeta – Energia per la vita”. 

La Confederazione ha previsto un budget di oltre 23 milioni di franchi, una somma un po’ inferiore a quella impiegata per il padiglione svizzero all’Expo di Shanghai.

Verso la fine del 19esimo secolo il legame con l’industrializzazione ha perso progressivamente d’importanza. A motivare l’organizzazione di questi mega eventi vi era sempre più il crescente nazionalismo. Mentre le innovazioni tecnologiche venivano prevalentemente presentate nel quadro di fiere specializzate, al centro delle esposizioni universali figurano soprattutto gli stessi Stati.

“La fiducia nel progresso è venuta a mancare e quindi si è perso l’intento didattico, a favore di effetti promozionali, sponsorizzazioni, utilizzazione delle esposizioni per questioni di politica interna: rinnovare le infrastrutture di una città, assecondare richieste o rivendicazioni regionali”, rileva Marco Marcacci.  

Il tema

Le esposizioni universali servivano così principalmente da piattaforma di esibizione per i paesi organizzatori. “Un’esposizione era considerata internazionale solo per il fatto che vi prendevano parte diversi paesi”, ha dichiarato Maurice Isaac, il primo direttore dell’Ufficio internazionale delle esposizioni (BIE), alla cui fondazione nel 1931 aveva partecipato anche la Svizzera. 

Oggi, al centro di queste gigantesche manifestazioni figura invece un tema comune, di portata globale, come rileva Vincente Gonzales Loscertales, segretario generale del BIE. “Le esposizioni universali riuniscono svariati partecipanti: esperti, scientifici e cittadini normali”.

Per i paesi partecipanti, queste esibizioni rappresentano anche una piattaforma ideale per allacciare dei contatti a livello politico. La Svizzera ha ad esempio approfittato delle esposizioni universali tenute a Aichi nel 2005 e a Shanghai nel 2010 per rafforzare le relazioni con i dirigenti giapponesi e cinesi. Ciò che ha poi favorito, tra l’altro, la conclusione di accordi bilaterali di libero scambio. 

“Ancora oggi le esposizioni universali costituiscono una grande opportunità per presentarsi e per migliorare i rapporti bilaterali, soprattutto con il paese organizzatore”, osserva il governo elvetico nel suo messaggio per la partecipazione della Svizzera all’Expo Milano 2015.

L’evento

Ma queste grandi manifestazioni internazionali sono ancora utili nell’era del “villaggio globale”, della grande rete elettronica di collegamenti internazionali? “Oggi non possono più essere delle semplici presentazioni di nuovi prodotti. Il progresso e le innovazioni si sviluppano molto più in fretta delle esposizioni universali”, osserva Vincente Gonzales Loscertales nella rivista Public Diplomacy Magazine

Le esposizioni universali hanno sempre attirato un grande pubblico. La prima Expo di Londra del 1851 è stata visitata da 6 milioni di persone. 

Il numero di visitatori è aumentato costantemente, fino a raggiungere 50 milioni di persone al’Expo di Parigi del 1900. 

Nei decenni seguenti, l’interesse è un po’ calato, anche perché molte innovazioni sono state presentate da allora soprattutto nel quadro di fiere specializzate. 

L’afflusso di pubblico è però di nuovo salito nella seconda metà del secolo scorso. L’Expo di Bruxelles del 1958 è stata visitata da 50 milioni di persone, così come quella di New York del 1964-65 e di Montreal del 1967. 

Nel 1970, l’esposizione di Osaka, in Giappone, ha attirato 64 milioni di persone. Il record è però detenuto dall’Expo di Shanghai del 2010 con 73 milioni di visitatori.

Per Martin Heller, direttore artistico dell’esposizione nazionale tenuta in Svizzera nel 2002, al centro di questi eventi figurano soprattutto le emozioni che riescono a trasmettere.

“Le expo sono innanzitutto dei luoghi d’incontro. S’incrociano delle persone, piove o splende il sole, vi è un enorme trambusto. È quanto affascina molti visitatori”, aggiunge Heller. A suo avviso, le esposizioni sono ancora delle esibizioni e dei concorsi tra nazioni, ma al loro centro figurano soprattutto la creatività e le emozioni.

I padiglioni svizzeri

Quanto mostrato dalla Svizzera nell’ambito delle esposizioni degli ultimi 15 anni è stato alquanto apprezzato dal pubblico. Il padiglione elvetico all’Expo di Hannover del 2000 aveva suscitato una grande eco mediatica, mentre quello dell’Expo di Shanghai del 2010 era stato visitato da 3 milioni di persone. 

A Shanghai, con una seggiovia per trasportare i visitatori, e a Aichi, con una montagna da scalare, la Svizzera aveva puntato soprattutto sull’immagine turistica. A Milano, invece, il padiglione elvetico si concentrerà maggiormente sul tema proposto dagli organizzatori, ossia “Nutrire il pianeta – Energia per la vita”. 

Per avere una forte presenza bisogna disporre di immagini e di una storia. Quindi di una forte creatività, rileva Martin Heller. Ai suoi occhi, la partecipazione a Expo 2015 è però troppo condizionata dai parametri imposti. “È come un piatto che deve soddisfare ogni cosa – e ciò non è possibile. Non si può forzare la creatività e subordinarla ad una lista di compiti e alla pressione economica”.

Traduzione di Armando Mombelli

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