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Espatriati ai ferri corti con le banche svizzere

Per le banche elvetiche sta per scoccare l'ora di fare i conti con gli svizzeri all'estero Keystone

La Quinta Svizzera si sente discriminata dalle banche elvetiche. Il suo "parlamento" ha adottato una risoluzione che chiede un cambiamento di rotta. Parallelamente gli espatriati ammiccano alla Posta Svizzera.

“Gli svizzeri all’estero sono sempre più irritati con le banche svizzere”: inizia così la risoluzione approvata all’unanimità dai 132 membri del Consiglio degli svizzeri all’estero (CSE), riuniti oggi a Berna per la prima seduta del 2012. L’incipit esprime chiaramente l’indignazione degli espatriati, di cui si sono fatti portavoce i loro rappresentanti.

Aperture di conti negate o chiusure di quelli esistenti, aperture di conti condizionate da depositi minimi elevati, rifiuti di rilasci di carte di credito, addebiti – in certi casi anche retroattivi – di costi di gestione fra i 40 e i 60 franchi al mese per semplici conti di risparmio: le testimonianze raccolte dall’Organizzazione degli svizzeri all’estero (OSE) e da membri del CSE indicano che queste pratiche bancarie nei confronti degli espatriati sono sempre più generalizzate.

Tutto è iniziato con le due grandi banche – UBS e Credit Suisse – che, in seguito ai loro contenziosi con le autorità fiscali americane, non hanno più voluto clienti residenti negli Stati Uniti, senza tener conto dei clienti con la cittadinanza svizzera, ha ricordato il presidente dell’OSE Jacques-Simon Eggly. Con le crescenti pressioni di Washington e l’estensione delle vertenze fiscali della Confederazione con i paesi europei, queste prassi penalizzanti per gli svizzeri all’estero si sono allargate a macchia d’olio, sia tra le banche, sia riguardo i paesi di residenza cui sono applicate.

Il governo si chiama fuori 

Un comportamento che Eggly non ha esitato a definire “scioccante”. A sconcertare gli espatriati non è soltanto l’atteggiamento delle banche, bensì anche quello delle autorità svizzere. Alla domanda del deputato nazionale dell’Unione democratica di centro Luzi Stamm su cosa intenda fare per permettere nuovamente a tutti gli svizzeri all’estero di detenere dei conti in banche elvetiche, il governo federale ha risposto che le banche sono libere di scegliere i clienti.

Certo, come si legge sul sito dell’Associazione svizzera dei banchieri SwissBanking, un istituto ha “il diritto di respingere un cliente”. Ma gli esempi citati di motivi che portano a tali decisioni suonano come un insulto alle orecchie degli espatriati. SwissBanking cita infatti “persone esposte politicamente” che “possono costituire un rischio per la reputazione della banca” oppure casi di “dubbi riguardo all’origine dei fondi di un richiedente. La legge vieta alle banche svizzere di accettare fondi quando si è indotti a ritenere che essi abbiano origine criminale”.

Il sentimento di essere considerati alla stregua di evasori fiscali o criminali aumenta la collera degli espatriati, per i quali è inconcepibile che il governo non muova un dito. “Trovo scandalosa la risposta del Consiglio federale. Si tratta di una discriminazione collettiva e deve essere combattuta”, ha tuonato l’ex deputato nazionale e vicepresidente dell’OSE Remo Gysin.

L’alternativa del conto giallo 

Convinto che banche e autorità possano e debbano agire per cambiare questa situazione, il CSE le esorta nella risoluzione a proporre “soluzioni che consentano ai nostri concittadini all’estero in regola con il fisco di mantenere relazioni bancarie in Svizzera a condizioni ragionevoli”.

All’OSE – che si è anche rivolta al Sorvegliante dei prezzi per far esaminare la liceità dei costi di gestione dei conti – non resta comunque ad attendere passivamente il buon volere delle banche e del governo. Già attualmente consiglia agli svizzeri all’estero rifiutati dalle banche elvetiche di rivolgersi a PostFinance.

Su proposta di un membro del CSE, ora farà un passo in più: esaminerà le possibilità, attraverso il parlamento, di una revisione del contratto tra la Confederazione e la Posta, in modo da porre le basi legali affinché agli svizzeri all’estero sia garantita la possibilità di avere dei conti a condizioni eque presso PostFinance.

Dialogo fra sordi sui consolati

Un altro nodo tornato al pettine nella seduta odierna del CSE è il braccio di ferro fra la Quinta Svizzera e la Confederazione sulla ristrutturazione della rete consolare. Alcuni membri hanno espresso lamentele circa la chiusura di 14 consolati nel 2011 e altri 5 per quest’anno e hanno giudicato insoddisfacenti i servizi sostitutivi.

Gli svizzeri in Paraguay hanno anche lanciato una petizione indirizzata al nuovo capo della diplomazia elvetica Didier Burkhalter, in cui “protestano energicamente contro la decisione unilaterale del Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) di trasferire i servizi consolari dell’ambasciata svizzera ad Asunción a quella di Buenos Aires, che dista 1’316 chilometri”. Puntualizzando di essere stati informati del cambiamento dalla stampa prima che dall’ambasciata, i firmatari chiedono al DFAE di fare retromarcia.

Nella petizione si rilevano i disagi e i costi supplementari che il trasferimento comporta per gli svizzeri in Paraguay che hanno bisogno di quello che dovrebbe essere un servizio pubblico della Confederazione. Le stesse critiche sono state mosse dal rappresentante degli svizzeri in Ungheria, i quali ora dipendono dal consolato di Vienna.

L’ambasciatore Gerhard Brügger, capo della Direzione consolare del DFAE, ha dal canto suo evidenziato i vantaggi della ristrutturazione e delle misure di accompagnamento laddove vi sono chiusure di consolati. In particolare ha assicurato che il test pilota del consolato mobile in Ungheria ha dato buoni risultati e che alla helpline istituita dal DFAE giungono 2’500 chiamate al mese.

Aggiustamenti e miglioramenti ve ne saranno sicuramente, ma indietro non si torna, ha ribadito il diplomatico. Di parere opposto, il direttore dell’OSE Rudolf Wyder, secondo il quale sarà necessario fare marcia indietro. Non soltanto affinché la Confederazione offra un servizio pubblico ai propri cittadini che risiedono o viaggiano all’estero, ma anche per rafforzare la posizione della Svizzera all’estero.

Se il cambiamento alla testa del DFAE non sembra cambiare il corso della rete consolare, almeno su un punto Didier Burkhalter ha fatto retromarcia rispetto a quanto aveva deciso la sua predecessora Micheline Calmy-Rey: la Schweizer Revue, ossia l’organo d’informazione per gli espatriati, torna ad essere pubblicata sei volte all’anno e non più solo quattro.

L’Organizzazione degli svizzeri all’estero (OSE) rappresenta in Svizzera gli interessi degli espatriati ed è riconosciuta dalle autorità come portavoce della Quinta Svizzera.

Il Consiglio degli svizzeri all’estero (CSE) è considerato il parlamento della Quinta Svizzera. Tiene due sedute all’anno: una in primavera, l’altra in estate in occasione del Congresso annuale degli svizzeri all’estero.

L’OSE ritiene necessario dare un “nuovo impulso” per accelerare l’introduzione generalizzata del voto online, secondo le parole del suo presidente Jacques-Simon Eggly.

A tal fine, il comitato ha lanciato una petizione in cui si chiede “al Consiglio federale che tutti coloro che hanno il diritto di voto, in Svizzera e all’estero, possano beneficiare il più rapidamente possibile delle nuove possibilità offerte dal voto elettronico (e-voting, e-election)”.

Nel testo si domanda quindi “alle autorità competenti, sia federali che cantonali, di creare le condizioni necessarie affinché ogni persona abilitata al voto possa farlo in modo sicuro dall’estero tramite internet alle elezioni federali del 2015”.

“Siamo persuasi che la nostra democrazia diretta abbia bisogno di superare questa tappa innovatrice. Il voto elettronico è indispensabile se si vuole che le giovani generazioni si investano nelle decisioni politiche”, ha argomentato Eggly.

Finora il voto online è stato sperimentato in 13 cantoni in occasione di votazioni federali. Inoltre, per la prima volta in 4 cantoni – Grigioni, Argovia, Basilea Città e San Gallo – è stato sperimentato alle elezioni federali del 23 ottobre 2011.

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