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La popolazione libanese corre in aiuto dei rifugiati siriani

Profughi bambini in un campo nel nord del Libano. Keystone

Dall'inizio del conflitto, nel marzo 2011, oltre 700'000 siriani sono fuggiti nei paesi vicini. In Libano molti sono stati ospitati da famiglie amiche, che in passato avevano a loro volta cercato rifugio in Siria. Una solidarietà che si scontra però con condizioni economiche difficili, spiega Caroline Nanzer, delegata dell'ONG Caritas Svizzera.

Stando all’Alto commissariato ONU per i rifugiati (UNHCR), a fine dicembre erano 160’000 i profughi siriani registrati ufficialmente in Libano. Cifre viste al ribasso, secondo Caroline Nanzer. Molte persone preferiscono infatti restare nell’ombra per timore di finire sulla lista nera del regime di Bashar al Assad.

Nonostante l’ampiezza del fenomeno, il governo libanese non ha autorizzato l’UNCHR ad allestire un vero campo profughi. I rifugiati sono così costretti ad affittare un appartamento oppure un angolino di terra dove piazzare una tenda di fortuna.

L’organizzazione non governativa Caritas Svizzera, specializzata nell’aiuto d’urgenza e nella ricostruzione post-catastrofe, collabora ormai con diversi partner locali nel tentativo di migliorare le condizioni di vita dei rifugiati. Distribuisce beni di prima necessità come cibo e medicinali e, in previsione dell’inverno, ha fornito coperte e vestiti caldi, e ha aiutato i profughi a rafforzare le tende con teli di plastica impermeabilizzati.

swissinfo.ch: Quali sono le priorità di Caritas Svizzera in Libano?

Caroline Nanzer: Ci occupiamo principalmente delle famiglie che vivono nei campi di fortuna, situati nella valle orientale della Beqa e nel nord del paese. Sono le più vulnerabili, perché non hanno i mezzi necessari per pagarsi un affitto.

Nella valle della Bequa, dove si trova il 60-70 per cento dei rifugiati siriani, i prezzi sono aumentati di molto.

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swissinfo.ch: Questo ha provocato tensioni con la popolazione locale libanese?

C.N.: Oltre il 50 per cento delle famiglie siriane ha trovato rifugio presso la popolazione libanese. La gente è stata davvero solidale.

Mi è stato raccontato che nel 2006 molte famiglie libanesi cercarono rifugio in Siria, dopo l’attacco di Israele. Così quando è scoppiata la rivolta contro Assad, le stesse famiglie che ospitarono i profughi libanesi hanno attraversato la frontiera e hanno cercato aiuto tra la gente che conoscevano e con la quale avevano fatto amicizia.

Le regioni come Beqa e il nord sono però molto povere. Per cui negli ultimi mesi la gente ha iniziato a lamentarsi perché gli aiuti internazionali vanno solo a favore dei siriani e non dei libanesi che li ospitano. Questo causa diverse tensioni.

swissinfo.ch: Tra i profughi siriani in Libano ci sono ribelli e sostenitori di Assad. Questa convivenza complica il vostro lavoro?

C.N.: In quanto organizzazione umanitaria, il nostro ruolo è unicamente quello di sostenere e aiutare le persone più vulnerabili. È chiaro che ci sono tensioni, ma questo non ostacola il nostro lavoro.

I profughi sono fuggiti a causa di violenze e abusi. Hanno visto le loro case distrutte dalle  bombe. E questo vale per tutte le fazioni.

Ci sono ribelli o famiglie senza appartenenza politica. Oppure rifugiati che non sono più sicuri di voler sostenere il regime. Ciò che conta per loro è sopravvivere, nella speranza di poter un giorno tornare in Siria.

Le testimonianze raccolte dimostrano comunque che gli abusi sono commessi da entrambe le parti in conflitto.

swissinfo.ch: Quali sono le storie che l’hanno maggiormente colpita?

C.N.: Mi ha colpito molto vedere quante donne siano fuggite da sole, senza i mariti, e come ora si trovino a capo della famiglia. È un cambiamento culturale fondamentale in termini di ripartizione dei ruoli tra i due sessi.

Nella società siriana le donne si occupavano prevalentemente della gestione della famiglia e della cura dei figli, secondo un modello tradizionale. Oggi invece sono alla ricerca di un lavoro e stanno scoprendo cosa significa avere una responsabilità economica all’interno della famiglia. Sono convinta che questo cambiamento avrà un impatto sulla società siriana, una volta che le donne torneranno a casa. Speriamo di poter implementare i programmi della Caritas a sostegno alle donne.

L’esilio forzato è la peggior situazione che si possa avere. Ma se durante questo periodo riusciamo a far germogliare qualche seme, a spingere le donne a sviluppare le loro competenze, allora abbiamo raggiunto un importante obiettivo.

Il problema è che in queste regioni non c’è molto lavoro. La maggior parte delle attività disponibili sono nel settore della costruzione e dell’agricoltura, tradizionalmente riservati agli uomini.

Il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo sta cercando di implementare nuovi progetti che includano anche le famiglie libanesi che ospitano i rifugiati siriani. Si potrebbe, ad esempio, formare le donne e aiutarle a lanciare piccole attività, come una panetteria. Con un po’ di fantasia e dei finanziamenti, si possono moltiplicare le opportunità.

swissinfo.ch: E che dire dei bambini e della loro educazione?

C.N.: Si tratta di una sfida enorme. Ma non è la prima volta che il Libano si trova confrontato con un afflusso importante di rifigliati. Un paio d’anni fa, ad esempio, sono stati gli iracheni ad arrivare in massa. I programmi creati all’epoca, oggi vengono riutilizzati per i profughi siriani.

D’altronde sono le stesse famiglie siriane a volere un’educazione per il loro figli. Anche se al contempo hanno paura. Nella valle della Beqa ci sono stati molti rapimenti negli ultimi mesi. I genitori non lo dicono apertamente, ma temono  che i loro bambini vengano sequestrati.

Questo non è l’unico problema. Molte famiglie vivono in zone discoste e il tragitto casa-scuola costa molto. In questo campo l’UNHCR e l’UNICEF hanno investito molto.

Il centro per migranti della Caritas, inoltre, ha un programma che punta a scolarizzare 11’000 bambini. Questo è uno degli obiettivi prioritari per il 2013.

Dall’inizio del conflitto in Siria, nel marzo 2011, si stima che 700’000 rifugiati siano giunti in Giordania, Libano, Turchia, Egitto e Iraq.

L’UNHCR ne ha registrati 540’000, di cui 160’000 in Libano.

Soltanto nelle ultime sei settimane, 140’000 siriani hanno varcato la frontiera dei paesi vicini.

Le Nazioni Unite temono che il numero di rifugiati possa raddoppiare a 1,1 milioni, entro giugno del 2013.

Per far fronte a questa situazione di urgenza il segretario generale Ban Ki-moon ha chiesto un contributo speciale di 1,5 miliardi di dollari.

(Traduzione dall’inglese, Stefania Summermatter)

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