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Ermotti in 9 anni ha guadagnato come un ticinese in 1800 anni

Il periodo alla testa di UBS è stato sia impegnativo e che lucrativo. KEYSTONE/CHRISTIAN BEUTLER sda-ats

(Keystone-ATS) Sergio Ermotti è stato uno dei dirigenti meglio pagati di sempre in Svizzera e in Europa: nei 9 anni alla guida operativa di UBS ha guadagnato quanto un ticinese medio ricava dal suo lavoro in oltre 1800 anni.

Nel 2020 caratterizzato dalla pandemia il manager ticinese – è notizia di oggi: è stato pubblicato il rapporto d’esercizio – ha ricevuto compensi per 13,3 milioni di franchi, denaro che è andato ad aggiungersi a quello degli anni precedenti. Le remunerazioni complessive sono così salite a 119,3 milioni.

A parte nel 2011 e nel 2012, la retribuzione è stata sempre a doppia cifra milionaria: il dirigente che ha cominciato la carriera a Lugano come apprendista presso Cornèr Banca si è quindi mosso in un campionato di altissimo rango, un campetto di gioco il cui cancelletto si apre solo per pochissime persone.

Retribuzioni di questo tipo per un salariato sono da capogiro anche in Svizzera, paese caratterizzato da stipendi elevati. Per arrivare a guadagnare i quasi 120 milioni con cui UBS ha onorato il lavoro di Ermotti uno svizzero normale (stipendio mensile mediano 6538 franchi nel 2018, ultimo dato disponibile) deve lavorare 1520 anni, mentre un ticinese (stipendio mediano 5363 franchi) sarebbe chiamato a sgobbare per poco meno di due millenni, precisamente 1853 anni.

Questi paragoni non mancano di suscitare accese discussioni, in un paese che nel 2013 ha accolto l’iniziativa detta sulle “retribuzioni abusive” con il 68% dei voti, il terzo miglior risultato di sempre per un’iniziativa.

C’è chi fa presente che gli stipendi dei top manager devono essere messi in relazione con i risultati conseguiti da una società: concretamente negli anni in cui Ermotti è stato Ceo UBS ha realizzato utili per alcune decine di miliardi di franchi; 6,6 miliardi nel solo 2020, che grazie alla pandemia ha portato a una forte attività dei clienti.

Va ricordato anche che i proprietari di UBS – cioè gli azionisti – sono stati a loro volta onorati con dividendi e riacquisti di azioni. In quest’ambito va anche guardato al corso dell’azione: nel periodo di “reggenza Ermotti” il titolo è partito da un minimo di 9,69 franchi, per poi salire sino a un massimo di 22,57 franchi nel 2015 e tornare poi a scendere. Oggi l’azione è scambiata a meno di 15 franchi. Gli investitori che l’avevano comprata nel 2007 sono tutt’altro che soddisfatti: allora valeva quasi 80 franchi.

Altri ricordano che se il maggior gruppo bancario elvetico esiste ancora è perché è stato sostenuto dallo stato: il 16 ottobre 2008, per evitare il crollo dell’istituto giudicato di importanza sistemica, nel pieno della crisi finanziaria, la Banca nazionale svizzera e il Consiglio federale intervennero con una manovra da 68 miliardi di franchi (60 miliardi di dollari la BNS, 6 miliardi di franchi la Confederazione). Un intervento – così venne detto allora – volto a “rivitalizzare il bilancio di UBS”. Visto a posteriori, alla fine lo stato ne uscì persino con un guadagno, anche se vi sono economisti che sostengono che allora le grandi banche, la BNS e l’intera Svizzera fu semplicemente fortunata.

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