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La lobby del nucleare non ha detto l’ultima parola

Quella di Beznau è una delle centrali nucleari più vecchie della Svizzera Keystone

L'incidente di Fukushima ha avuto un impatto profondo. Da allora, la Svizzera ha deciso di rinunciare all'energia atomica. Il ricordo della catastrofe si affievolisce però col passare degli anni, ciò che potrebbe dare nuovo slancio alla lobby del nucleare.

«Più si delineano difficoltà e problemi e più l’insicurezza permane, maggiore sarà il bisogno di poter contare su qualcosa di sicuro», afferma a swissinfo.ch Rolf Schweiger, presidente dell’Azione svizzera per una politica energetica ragionevole, un’associazione favorevole all’atomo.

«Non ha senso distruggere un ponte quando non ne esistono altri o quando le alternative non sono ancora pronte», dice Michael Schorer, responsabile della comunicazione del Forum nucleare svizzero. «Ci opponiamo al divieto di costruire nuove centrali nucleari e chiediamo al governo svizzero di elaborare ulteriori scenari che tengano conto anche dell’energia atomica».

La posizione del Forum nucleare è in linea con quella delle associazioni economiche, che pure contestano l’abbandono del nucleare contenuto nella strategia energetica 2050 della Confederazione (in consultazione fino al 31 gennaio).

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Le difficoltà di smantellare le centrali atomiche

Questo contenuto è stato pubblicato al La centrale nucleare di Mülheim-Kärlich si trova sul Reno, a una cinquantina di chilometri a sud di Bonn. Le operazioni di demolizione sono già iniziate nel 2004 e l’impianto non è più visibile dall’esterno. All’interno dell’edificio del reattore, in tende dotate di sistemi di aspirazione dell’aria, dei lavoratori segano componenti metalliche. Altri operai puliscono componenti…

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Una semplice dichiarazione d’intenti

Il governo e il parlamento svizzero hanno deciso il graduale abbandono dell’energia atomica in seguito al disastro nucleare di Fukushima, avvenuto nel marzo 2011. Per la precisione, si tratta di una decisione di principio, che dal punto di vista giuridico non è altro che una dichiarazione d’intenti.

Un divieto di costruzione di nuovi impianti atomici richiede infatti una modifica della legge federale sull’energia nucleare o della Costituzione. Spetterà verosimilmente al popolo decidere sulla questione, ma non prima che ne abbiano discusso ministri e parlamentari.

In altre parole: per un’eventuale votazione bisognerà attendere almeno fino al 2015. A quel momento, saranno trascorsi quattro anni dall’incidente in Giappone. Da un sondaggio rappresentativo svolto nell’autunno 2012 è emerso che il numero di persone che teme un disastro nucleare è in diminuzione.

L’atomo non ottiene la maggioranza

Ciononostante, già prima di Fukushima le centrali nucleari non ottenevano i consensi della maggioranza, osserva il politologo Gregor Lutz. «Anche il mondo politico, compresa una parte dello schieramento borghese, si è accorto che le centrali atomiche sono tutt’altro che benaccette».

Questa è anche la ragione per cui l’industria elettrica preferisce al momento «non agitare le acque» per ciò che concerne la realizzazione di nuovi impianti, ritiene Lutz. «Altrimenti si schiererebbe non soltanto contro il governo, ma pure contro il suo consiglio di amministrazione, nel quale siedono anche rappresentanti dei comuni e dei cantoni favorevoli alla svolta energetica».

Tuttavia, prosegue Lutz, dietro le quinte «si continua a lavorare duramente e a fare attività di lobby per giungere a un “abbandono dell’abbandono” (del nucleare)».

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Centrale incompiuta

Questo contenuto è stato pubblicato al Con una capacità di 4’000 megawatt, avrebbe dovuto essere la più grande centrale nucleare dell’Europa centrale. I lavori iniziarono nel 1982. Nella primavera del 1991, la costruzione fu interrotta. In seguito, una società immobiliare acquistò quest’area per costruire case prefabbricate in serie. La società fallì e l’unica testimonianza che ha lasciato è una” casa modello”.…

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Una svolta complessa

Mentre lo shock di Fukushima è sempre meno presente nella memoria, altri fattori potrebbero favorire la lobby del nucleare nei prossimi mesi. La svolta energetica rappresenta infatti un progetto complesso.

La produzione di energia solare ed eolica è discontinua, contrariamente all’energia idrica o nucleare. Le centrali a gas hanno dal canto loro il difetto di utilizzare combustibili fossili e di liberare CO2.

La soluzione per finanziare la prevista riforma fiscale ecologica – ovvero l’introduzione di una tassa generale sull’energia da prelevare su combustibili, carburanti ed elettricità – è poi ancora vaga, oltre ad essere combattuta dall’economia. A questi fattori si aggiunge la prevista evoluzione del prezzo dell’elettricità, che secondo il governo aumenterà del 20%.

Rimane poi aperta la questione sulla durata d’esercizio delle centrali atomiche svizzere. La legge federale sull’energia nucleare stabilisce che gli impianti possono funzionare fino a quando le autorità di sorveglianza li reputeranno «sicuri». Il governo calcola una durata di vita di circa 50 anni, ciò che vorrebbe dire che l’ultima centrale sarà spenta nel 2034.

Obiettivo: guadagnare tempo

L’industria elettrica è però dell’avviso che gli impianti potranno essere attivi per più di 50 anni, se si procederà regolarmente a revisioni e a modernizzazioni. «Non c’è alcuna ragione di credere che le attuali centrali nucleari non possano funzionare per più di 50 anni», ha recentemente affermato Heinz Karrer, presidente della direzione dell’azienda elettrica Axpo.

La lobby dell’atomo intende «guadagnare tempo», sostiene Gregor Lutz. «Rimandando l’uscita dal nucleare, spera che la paura di Fukushima svanisca e che si possa disporre di nuove tecnologie considerate sicure. A quel punto sarà possibile far passare la costruzione di nuovi impianti anche a livello politico».

Fine della prima centrale nel 2029

Un’iniziativa popolare lanciata dai Verdi, formalmente riuscita il 17 gennaio, spinge invece nella direzione opposta. Il testo chiede che le centrali atomiche del paese siano messe fuori servizio dopo 45 anni di esercizio. Se il popolo svizzero dovesse accettare tale proposta, la centrale più vecchia (Leibstadt) verrebbe disattivata nel 2029.

Secondo Rolf Schweiger, l’elettorato dirà comunque di no all’iniziativa. «I principali problemi sollevati, tra cui la minaccia di lacune nell’approvvigionamento elettrico, si manifesteranno ben prima del previsto. È probabile che il pragmatismo dell’elettorato giocherà un grosso ruolo».

Governo e parlamento sotto pressione

Agli occhi della lobby del nucleare l’iniziativa è «interessante», commenta Gregor Lutz. Può infatti combatterla affermando che dal punto di vista tecnico la durata di vita può essere più lunga. Inoltre, prosegue il politologo, governo e parlamento la vedono allo stesso modo.

«Se invece l’iniziativa venisse accettata, la svolta energetica dovrà avvenire più velocemente di quanto si sta negoziando oggi».

L’iniziativa mette sotto pressione governo e parlamento siccome «impedisce che il dossier dell’abbandono dell’atomo finisca in un cassetto», afferma a swissinfo.ch Urs Scheuss, segretario politico del dossier “Ambiente, Energia e Traffico” dei Verdi.

Cittadini diffidenti

La pressione è necessaria per «portare avanti e mettere in pratica» la svolta energetica. La lobby del nucleare, rileva Scheuss, continua infatti a essere attiva, anche se non sarà facile ritornare sulla decisione di abbandonare l’atomo.

«Prima, per una nuova centrale atomica bastava un’autorizzazione di massima. Adesso, la lobby dovrebbe invece rovesciare la decisione di principio sull’uscita dal nucleare presa nell’autunno 2011».

La maggioranza della popolazione è critica nei confronti dell’energia atomica, insiste Scheuss citando un sondaggio rappresentativo commissionato dall’Ispettorato federale della sicurezza nucleare. Soltanto una persona su quattro ritiene giustificati i rischi della tecnologia atomica rispetto alla sua utilità. «L’iniziativa può senz’altro avere successo».

Traduzione dal tedesco di Luigi Jorio

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