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Verso una seconda voluntary disclosure per stanare altri miliardi?

Circa 150 - 200 miliardi di euro sarebbero stati depositati negli ultimi decenni da clienti italiani nelle banche svizzere. imago/Geisser

Forte del successo dell’iniziativa attuata nel 2015, il governo italiano studia nuove modalità per far emergere ciò che ancora si nasconderebbe in Svizzera e in altri paesi. Questa volta, però, non potrà più essere un’autodenuncia volontaria come avvenuto nel caso della prima voluntary disclosure. 

Il programma di regolarizzazione dei capitali detenuti all’estero, messo in atto l’anno scorso da Roma, aveva consentito a migliaia di cittadini italiani di sanare la propria posizione dichiarando tutto ciò che avevano occultato al fisco italiano. Con 129’000 domande inoltrate dai contribuenti, l’operazione ha fatto emergere 60 miliardi di euro (il 69.6% dei quali provenienti dalla Svizzera), il cui gettito ha portato 4 miliardi in più nelle casse dello Stato italiano, aiutandolo, tra l’altro, a rispettare gli impegni di bilancio presi con l’Europa. 

Facendo seguito a quanto aveva promesso, ora il fisco italiano starebbe mettendo in campo delle misure per dare vita ad una nuova operazione volta a far rientrare altri capitali ancora nascosti in Lussemburgo, Liechtenstein, San Marino e Città del Vaticano. E naturalmente in Svizzera dove erano nascosti ben 113 miliardi di euro dei 164 regolarizzati con lo scudo fiscale del 2009/2010 e con procedura di denuncia volontaria del 2015. 

Normalizzazione dei rapporti bilaterali

Dopo diversi anni di incomprensioni e di attriti, soprattutto in ambito fiscale, le relazioni politiche ed economiche tra Svizzera e Italia si trovano di nuovo sulla via della distensione. 

L’anno scorso Berna e Roma hanno firmato uno storico accordo fiscale, che permette alle autorità italiane di ottenere dalla Svizzera assistenza amministrativa per interi gruppi di contribuenti sospettati di aver nascosto denaro nelle banche elvetiche. Dal 2018 dovrebbe invece diventare automatico lo scambio d’informazioni in materia fiscale. 

Grazie a questo accordo, i clienti italiani delle banche elvetiche hanno potuto regolarizzare i loro averi nell’ambito del programma di voluntary disclosure, senza sottostare ad un raddoppio delle sanzioni e dei termini di prescrizione, applicato per i paesi iscritti nella black list italiana. 

In dicembre, il governo italiano ha inoltre cancellato la Svizzera da due liste nere, introdotte in relazione ai regimi fiscali privilegiati concessi da alcuni Cantoni elvetici a holding e società miste, come pure a società domiciliate in Svizzera ma controllate in maggioranza da azionisti italiani.

Altri fondi occultati 

Una sorta di “voluntary disclosure 2” che nel caso della Svizzera riguarderà le attività dei contribuenti italiani che hanno riportato dei capitali in Svizzera a partire dal 23 febbraio 2015 (data della firma degli accordi fiscali tra i due paesi). Non c’è quindi più scampo per coloro che dopo lo scudo fiscale si sono fatti sfuggire, l’anno scorso, anche l’ultima possibilità concessa dal governo per mettersi in regola e risultano ancora evasori. 

Del fatto che l’ultimo provvedimento non abbia fatto emergere tutto ciò che era stato occultato per decenni dai contribuenti italiani, ne sarebbero convinti anche al Mef, il Ministero dell’economia e delle finanze italiano che, secondo il Sole 24 ore, avrebbe creato al suo interno un gruppo di lavoro coordinato dal viceministro Luigi Casero incaricato di stimare quanto ancora si nasconda all’estero. Interpellato da swissinfo.ch il Mef, non ha voluto né confermare né smentire la creazione del gruppo di esperti. 

Secondo il principale quotidiano economico italiano, i tecnici del Mef starebbero cercando di capire se c’è lo spazio economico per aprire un nuovo capitolo della voluntary disclosure, che potrebbe diventare una priorità per il governo di Roma nei prossimi mesi. Ossia quando il lavoro di radiografia dei vecchi e nuovi paradisi fiscali sarà pronto con ipotesi di emersione e gettito, come pure il tentativo di quantificare il contante non circolante. 

Capitali nascosti in Svizzera 

Ma quanti siano ancora i capitali italiani nascosti in Svizzera, rimane un fatto difficile da determinare. “Una parte cospicua è stata stipata in cassette di sicurezza presso le banche e presso le ditte di custodia, sorte come funghi in Ticino nel 2014. Una parte importante è stata portata in paesi come Serbia, Bulgaria, Romania, Repubbliche baltiche, Dubai, Seychelles e Mauritius dove molti clienti si sono poi ritrovati con conti bloccati, con fondi parzialmente spariti oppure vessati da penali sino al 20% per prelevare contanti”, dichiara a swissinfo.ch l’avvocato ticinese Paolo Bernasconi. 

Secondo l’esperto di questioni finanziarie, “una nuova voluntary disclosure con incentivi migliori di quelli dell’ultimo programma, potrebbe drenare ancora altre emersioni soprattutto da parte di quei clienti che si rendono conto di rimanere intrappolati quando la Svizzera ratificherà l’accordo sullo scambio automatico di informazioni finanziarie fra autorità fiscali”. 

Carlo Altomonte, professore associato di politica economica europea all’Università Bocconi di Milano, ritiene da parte sua che “Quello che è emerso è un capitale portato fuori per evitare una tassazione. C’è però anche un capitale di natura illegittima (derivante da attività come il narcotraffico o altre attività illegali), uscito non per un problema di tassazione ma di liceità e che magari rientra sotto forma di riciclaggio di denaro. Ed è verosimile pensare che questi soggetti non aderiranno mai a scudi fiscali o a voluntary disclosure”. 

Nel colloquio con swissinfo.ch, il professore bocconiano aiuta poi a tracciare un identikit dell’evasore italiano di oggi e a capire dove nasconde i soldi: “E’ molto probabile che, nella mia valutazione del tutto personale, l’evasore cosiddetto “cumenda”, cioè colui che aveva disponibilità economica e la portava in Svizzera per non pagare le tasse, ormai non c’è più. Oggi è più difficile eludere il fisco dato che c’è lo scambio di informazioni e che Italia e Svizzera hanno firmato un accordo su questo punto. Più probabile che molti soggetti siano stati aiutati da un bravo commercialista a portare i soldi per esempio a Singapore dove non vige l’obbligo di scambio di informazioni”. 

Inchiesta contro il Credit Suisse

A suffragare questa ipotesi l’ultima inchiesta della Procura di Milano che coinvolge oltre 13’000 clienti italiani del Credit Suisse. Attraverso delle polizze assicurative a forte contenuto finanziario, sottoscritte presso la banca svizzera, avrebbero nascosto al fisco italiano 14 miliardi di euro. 

Un caso che viene considerato esemplare per quanto riguarda i metodi impiegati dagli istituti finanziari per aiutare i loro clienti ad evadere il fisco. Secondo quanto pubblicato dalla stampa, le polizze venivano vendute ai clienti italiani del Credit Suisse attraverso due consociate basate nel Liechtenstein e alle isole Bermuda. Gli inquirenti ritengono però che il viaggio dei capitali verso i Caraibi sarebbe stato virtuale e in realtà i soldi sarebbero rimasti in Svizzera. 

E se l’istituto elvetico è indagato per la legge sulla responsabilità amministrativa degli enti, la 231 del 2001 e forse anche di abusivismo finanziario, di ostacolo alle funzioni di vigilanza e di riciclaggio, la posizione dei 13’000 clienti della banca sta passando al vaglio dei finanzieri per capire se gli investimenti sono stati regolarmente riportati nella dichiarazione dei redditi o sono emersi con la voluntary disclosure. 

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