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Una transizione verso la democrazia disseminata di insidie

Preparativi a Benghazi per le elezioni, con le quali il popolo libico si lascerà alle spalle 40 anni di dittatura AFP

Per la prima volta in 60 anni, il 7 luglio il popolo libico può eleggere liberamente i suoi rappresentanti in Parlamento. Lo scrutinio suscita però dei timori per la proliferazione dei gruppi armati, il fondamentalismo e lo spettro del separatismo. Problemi che il nuovo Stato, ancora fragile, stenta a controllare.

Previste inizialmente il 19 giugno, le elezioni sono state posticipate al 7 luglio per consentire ad un maggior numero di cittadini di registrarsi nelle liste elettorali. Secondo vari osservatori, il rinvio era necessario anche per offrire migliori possibilità di successo a questo scrutinio. “L’aggiornamento della data delle elezioni si è rivelato utile”, dichiara a swissinfo.ch il presidente della Commissione elettorale Nouri Khalifa El-Abbar.

“Il numero di iscritti supera 2,8 milioni di persone, ossia il 75% di cittadini con diritto di voto. Da notare inoltre che le donne costituiscono il 47% dell’elettorato che si è registrato per queste elezioni”, indica Nouri Khalifa El-Abbar.

Un parlamento di transizione

I libici si preparano a eleggere un Parlamento di transizione che conta 200 seggi. Di questi, 80 saranno occupati da rappresentanti dei partiti o di altre entità politiche e gli altri 120 da candidati indipendenti. Una ripartizione che ha dato luogo a non poche tensioni in vista del voto.

Con l’elezione del Parlamento si concluderà il mandato del Consiglio nazionale di transizione (CNT), presieduto da Mustafa Abdeljalil. Il nuovo Parlamento nominerà in seguito un comitato di saggi, composto di 60 persone e incaricato di redigere una Costituzione da sottoporre a referendum.

La campagna elettorale è stata accompagnata da diverse iniziative discriminatorie, lanciate sia dai rivoluzionari che dai musulmani fondamentalisti. I primi volevano vietare la partecipazione alle elezioni dei politici e dei tecnocrati che avevano lavorato per il vecchio regime. La loro richiesta è stata però bocciata dalla società civile libica e dalle organizzazioni internazionali dei diritti umani. I fondamentalisti volevano invece privare le donne del diritto di sedere in Parlamento.

Differenze con la Tunisia

Mentre le elezioni in Tunisia dello scorso 23 ottobre hanno permesso di designare un’Assemblea costituente sostenuta dai principali gruppi politici, la fase di transizione in Libia si presenta invece irta di difficoltà. Le elezioni hanno generato un braccio di ferro tra i candidati indipendenti e le entità politiche, che miravano, da una parte come dall’altra, a garantirsi il maggior numero di seggi in Parlamento.

“La posta in gioco delle elezioni in Libia è essenzialmente di natura nazionale e non politica”, afferma Mahmoud Jibril, che guida la Coalizione delle forze nazionali (in cui sono raggruppati oltre 60 partiti). “Ciò spiega la volontà di tutte le forze nazionali di essere rappresentate, anche simbolicamente, in Parlamento”.

Trasparenza finanziaria

Per quanto riguarda la questione del finanziamento della campagna elettorale, “la trasparenza è essenziale”, sottolinea Mahmoud Jibril. A tale scopo, intende proporre alla commissione elettorale di chiedere a tutti gli attori politici di rivelare le proprie fonti di finanziamento.

Molti politici si sono espressi in favore di un finanziamento proveniente al 100% da fonti libiche. Ai loro occhi, nessuna forza nazionale può essere aiutata finanziariamente da un paese straniero, una riserva che si rivolge in particolare ai paesi Golfo.

Altre preoccupazioni sono sorte in vista delle elezioni. Concernono pratiche finora mai osservate, vale a dire l’alleanza “ingiustificata” tra entità politiche e organizzazioni della società civile, dichiara a swissinfo.ch Mohamed El-Allagui, presidente del Consiglio nazionale dei diritti umani.

Minacce separatiste e fondamentaliste

Quaranta anni di dittatura hanno allontanato la Libia da qualsiasi tradizione elettorale. L’apprendimento di questa cultura è reso ancora più difficile dallo spettro del separatismo che aleggia su queste elezioni. Ad agitarlo sono movimenti separatisti che rivendicano la creazione di una federazione, sul modello dell’ex Regno unito di Libia, in cui il paese era diviso in tre regioni: Cirenaica, Fezzan e Tripoli.

Alcuni movimenti separatisti vorrebbero attribuire alle città orientali lo stesso numero di seggi in Parlamento di quelli riservati alle città occidentali, molto più popolate. Oltre al separatismo, preoccupa anche la creazione di gruppi fondamentalisti nelle città orientali, in particolare a Bengasi e Derna, che chiedono l’applicazione della Sharia. Per farsi ascoltare, organizzano parate militari di un’aggressività senza precedenti.

A Tripoli, come in altre città libiche, dalla caduta del regime di Muammar Gheddafi nell’autunno 2011 si sono inoltre moltiplicati i sequestri da parte di milizie armate, formate soprattutto da mercenari. I leader delle milizie non vedono di buon occhio libere elezioni, che rischiano soltanto di indebolire il loro potere.

L’ingresso della Libia nel “club” delle democrazie avviene quindi nel dolore. Il successo di queste elezioni dipenderà molto dalla capacità dello Stato di controllare i  violenti disaccordi che fragilizzano il paese.

La Confederazione sostiene la transizione politica verso la democrazia in Libia in stretta collaborazione con la missione speciale delle Nazioni Unite sul posto.

In vista dello scrutinio, la Svizzera ha messo a disposizione, attraverso il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP), urne elettorali che soddisfano gli standard internazionali.

Nel campo della transizione democratica e dei diritti umani, la Svizzera sostiene la formazione della società civile in relazione alle elezioni, attraverso diverse azioni e istituzioni.

La Svizzera non ha inviato osservatori per queste elezioni in Libia, ma dei rappresentanti dell’ambasciata seguiranno lo scrutinio in qualità di osservatori diplomatici.

Nel 2012, la Svizzera ha previsto di stanziare 2,23 milioni di franchi per la Libia. La maggior parte di questo importo sarà destinato a progetti volti a sostenere la transizione politica verso la democrazia.

Tra le organizzazioni presenti in Libia vi è il Centro per il dialogo umanitario, con sede a Ginevra. Finanziato da diversi paesi, tra cui la Svizzera, si impegna dall’aprile 2011 a sostenere le autorità di transizione.

Il Centro ha organizzato tra l’altro dialoghi regionali sui temi della nuova legge elettorale e della giustizia, coinvolgendo  leader della società civile provenienti da tutto il paese.

Ha inoltre organizzato un dialogo nazionale a inizio maggio sulla nuova Costituzione, ha inidicato a swissinfo.ch Kenny Gluck, responsabile del Centro.

Traduzione di Ghania Adamo e Armando Mombelli

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