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Con Macron, la Francia diventerà più “svizzera”?

Image du Palais Bourbon à Paris
Il Palais Bourbon, sede dell'Assemblea nazionale francese, ospiterà molti volti nuovi dopo le elezioni legislative di questa domenica. AFP

In Francia, con il prevedibile successo del movimento En marche di Emmanuel Macron numerosi politici non professionisti saranno eletti nell'Assemblea nazionale questa domenica. Per la composizione del nuovo governo, il neoletto presidente ha adottato un approccio transpartitico. Una rivoluzione sul modello “svizzero”? 

Pompiere di professione, Jean-Marie Fievet si è piazzato nettamente in testa al primo turno delle elezioni legislative, nel dipartimento Deux-Sèvres. Salvo sorprese, siederà prossimamente al Palais Bourbon, la sede dell’Assemblea nazionale a Parigi. Accanto a lui vi saranno Aude Amadou, ex giocatrice professionista di pallamano, Michel Delpon, mercante di vino nella Dordogna, e il matematico Cédric Villani. E forse anche l’ex torera Marie Sara, se uscirà vincitrice al secondo turno delle elezioni. 

La “società civile” farà un’entrata fragorosa nell’Assemblea nazionale, con proporzioni mai raggiunte finora. I non professionisti della politica costituiscono circa il 35% dei candidati della République en MarcheCollegamento esterno, il movimento fondato dal nuovo presidente Emmanuel Macron. All’Assemblea nazionale, probabilmente, saranno tra 150 e 200 deputati (su un totale di 577) a non aver mai esercitato una carica politica. 

La République en Marche 

Il partito La République en Marche (LREM) di Emmanuel Macron ha dominato il primo turno delle elezioni legislative francesi, conquistando il 32,32% dei voti. 

Seguono i repubblicani (21,56%), il Fronte nazionale (13,2%), la France Insoumise (11%) e il Partito socialista (9,5%). Il tasso di astensione è stato del 51.29%. 

In base alle proiezioni, La République en Marche e il suo alleato MoDem dovrebbero occupare da 400 a 440 seggi nel futuro Parlamento (su 577). I repubblicani dovrebbero ottenere un centinaio di seggi, il Partito socialista e la France insoumise da 15 a 25, mentre il Fronte nazionale da 2 a 5. 

Joachim Son-Forget, candidato del LREM, si è imposto nel primo turno dell’elezione per il seggio parlamentare attribuito ai francesi residenti in Svizzera e nel Liechtenstein. Il giovane politico di 34 anni ha raccolto il 64,93% dei voti. Supera largamente la candidata dei repubblicani Claudine Schmid, che ha ottenuto il 15,93% e il candidato dei Verdi Jean Rossiaud, giunto terzo con il 7,74%.

“La politica non dovrebbe più essere un mestiere”, ha dichiarato in un’intervista a Radio France Inter Aurore Bergé, 30 anni, candidata della République en Marche nella regione parigina. “Cinque o dieci anni di vita politica, ma non quaranta”. 

In tale ottica, possiamo quindi paragonare la futura Assemblea nazionale ad un “parlamento di milizia” sul modello svizzero (benché anche quest’ultimo diventi sempre più professionista)? Non proprio: i futuri deputati della République en Marche si sono impegnati a consacrarsi interamente alla loro nuova vita di “eletti della nazione”. 

Ma il cambiamento è importante. L’Assemblea sarà profondamente rinnovata, ma anche diversificata. Entrano in parlamento svariati profili, più rappresentativi della società francese. La France Insoumise, il partito di sinistra di Jean-Luc Mélenchon, sarà pure presente in parlamento con alcuni politici non professionisti. 

Un governo transpartititico? 

Domenica sera, dopo lo scrutinio del ballottaggio, Emmanuel Macron potrebbe essere tentato di formare un governo composto al 100% di rappresentanti della République en Marche. Grazie alla netta maggioranza di seggi che andranno prevedibilmente al suo partito, il neoeletto presidente francese potrà risparmiarsi di dover comporre con la destra e la sinistra. Non avrà bisogno di andare a cercare il sostegno dei repubblicani e dei socialisti: i primi escono “suonati” da queste legislative, i secondi con le ossa rotte. 

Eppure Macron e il suo primo ministro Edouard Philippe non cambieranno radicalmente il governo. La squadra formata a metà maggio riunisce rappresentanti di sinistra, destra e centro: alcuni pesi massimi socialisti, giovani volti dei repubblicani (destra tradizionale) e membri del MoDem (centro) di François Bayrou. 

La “formula magica” alla Macron 

“Una rottura fondamentale”, stima il giornalista franco-svizzero François Hauter in un articolo pubblicato da Le Temps. Sono finite le vecchie alternanze tra destra e sinistra. Secondo l’ex reporter del Figaro, Macron adotta un approccio “alla svizzera”, in cui “i responsabili di tutti i partiti devono imparare a mettersi d’accordo e a fare delle concessioni per realizzare progetti di interesse nazionale”. 

Macron, apostolo del sistema di concordanza svizzero o della “formula magica”? “Non va dimenticato che questa politica di concordanza è legata soprattutto alla volontà del nuovo presidente francese, un monarca repubblicano”, fa notare François Nordmann, ex ambasciatore svizzero a Parigi. “In Svizzera, invece, la pratica del consenso governativo riflette l’equilibrio di potere in parlamento”. 

Il diplomatico rammenta inoltre che l’esperienza francese di governo transpartitico non è del tutto nuova: nel 1945 (Liberazione), nel 1958 (costituzione della Quinta Repubblica), nel 1988 (rielezione di François Mitterrand) e nel 2007 (elezione di Nicolas Sarkozy), i governi sono stati in parte estesi al campo opposto. 

Macron il girondino 

“Sono girondino”, sottolinea Emmanuel Macron. Girondino, come coloro che si opposero durante la Rivoluzione francese ai giacobini, sostenitori della centralizzazione parigina. Oltre duecento anni dopo, il termine viene impiegato per definire svariate cose. Significa sia “moderato” che attaccato alla “diversità francese”. 

“Emmanuel Macron accetta chiaramente l’idea di una decentralizzazione differenziata, vale a dire che non è opportuno applicare la stessa organizzazione a tutti i territori”, rileva l’ecologista François de Rugy. 

Sulla organizzazione dell’Esagono, Macron propone di eliminare un quarto dei dipartimenti, quelli che ospitano una metropoli, per unire le due strutture. Per il presidente si tratta di un “patto girondino tra lo Stato e le collettività”. 

Siamo ben lontani, tuttavia, dall’idea girondina ripresa dal filosofo Michel Onfray nel suo ultimo libro, “Decolonizzare le province”. Criticando il giacobinismo e vantando “l’antica tradizione comunalista svizzera”, Onfray propone una rivoluzione girondina: “Confederare le province in uno Stato girondino che garantisca il carattere federale delle decisioni popolari; istituire un contropotere con l’aiuto di cellule politiche comuni alla regione”.

Traduzione di Armando Mombelli

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