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Svizzera specchio di una nuova Europa frammentata

Claude Longchamp a mezzo busto e sullo sfondo il Palazzo federale a Berna.
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Dopo lo scrutinio per l’elezione del nono Parlamento europeo, in molti Paesi dell’Unione la soddisfazione era palpabile: il 51% degli aventi diritto di voto – con un balzo di 8 punti percentuali rispetto a cinque e dieci anni prima - si è infatti recato alle urne, consegnando definitivamente agli archivi il record negativo del 43%.

Il risveglio del “demo”

I primi commenti sono stati positivi. Martin Sedlmayr, segretario generale della Commissione europea, si è espresso con parole di peso, affermando che il voto popolare ha rafforzato la democrazia dell’Unione nel suo insieme.

Nel contesto dell’Unione europea il fenomeno non va affatto sottovalutato, visto che il “demo”, vale a dire i 427 milioni di cittadine e cittadini europei, è chiamato a designare la composizione delle istituzioni europee soltanto nel caso dell’Europarlamento. La Commissione e il Consiglio d’Europa sono invece eletti dai Paesi membri rispettivamente dai loro governi, in un gioco d’interessi che si presenta spesso più intricato.

L’autore

Claude Longchamp è uno tra i politologi e analisti più noti e autorevoli della Svizzera.

Ha fondato l’Istituto di ricerca gfs.bernCollegamento esterno, che ha diretto fino al suo pensionamento e di cui è attualmente il presidente del consiglio di amministrazione. Per trent’anni Longchamp ha analizzato e commentato le votazioni e le elezioni per la radiotelevisione di lingua tedesca SRF.

Per swissinfo.ch e per la sua piattaforma sulla democrazia #DearDemocracy, Longchamp scrive ogni mese un testo sulle elezioni federali 2019.

La partecipazione, tra rituale e conflitto

Non è però il caso di diventare euforici! Come ben sappiamo dalle ricerche sul comportamento di voto, una forte affluenza alle urne è quasi sempre la conseguenza di un rituale. E l’aumento del tasso di partecipazione è spesso l’avvisaglia di conflitti latenti.

Uno sguardo ai risultati degli scrutini nei diversi Paesi membri lo dimostra: si rileva una partecipazione elevata e per lo più stabile ad esempio in Belgio, Lussemburgo e Malta. Hanno invece superato la media europea Spagna, Polonia, Romania, Ungheria, Germania, Repubblica Ceca, Danimarca, Austria e Francia.

I conflitti interni sono stati la principale molla che ha spinto i cittadini alle urne. La Spagna è divisa sulla questione catalana. In Romania il governo eletto è accusato di corruzione. Polonia e Ungheria sono due Paesi membri con partiti autocratici al potere e una chiara emarginazione delle forze di opposizione.

In Austria e Francia la campagna elettorale è stata macchiata da profondi disordini. E per finire, la Germania è alle prese con la ridefinizione di un sistema partitico obsoleto tra i due poli contrapposti dei Verdi a sinistra e degli euroscettici dell’Alternative für Deutschland all’estrema destra.

Il modello svizzero

Nell’Unione europea l’aumento della partecipazione alle urne per l’elezione degli eurodeputati è una novità.

In Svizzera il fenomeno è ormai assodato, dopo l’inversione di tendenza del 1995 che ha finalmente messo fine ad una pluriennale flessione dei votanti, scivolata fino al 42%. Da allora, la quota è in lenta ma costante ripresa. Alle ultime elezioni federali, nel 2015, aveva quasi raggiunto il 49%.

“In Svizzera l’interesse per la politica era stato riacceso da due temi di considerevole importanza: la politica europea dopo la guerra fredda e l’uguaglianza tra i sessi in politica e nella società.”

In Svizzera l’interesse per la politica era stato riacceso da due temi di considerevole importanza: la politica europea dopo la guerra fredda e l’uguaglianza tra i sessi in politica e nella società.

Nel 1992 la prevista adesione allo Spazio economico europeo aveva scosso profondamente la popolazione e spinto l’elettorato nazional-conservatore, che a quel tempo era ancora sparso tra i diversi partiti, verso le fila dell’UDC e in massa alle urne (tabella sui partiti in fondo all’articolo).

Una situazione diametralmente opposta si era presentata nel 1993 con la mancata elezione di Christiane Brunner in Consiglio federale (governo). Il successivo movimento di protesta aveva favorito l’ingresso di un gran numero di donne nel PS e nei Verdi, specialmente nelle aree urbane.

Altri sviluppi

La concatenazione di eventi che seguì non era contingente, ma si inseriva in un ciclo che avrebbe visto il PS dominare le elezioni del Consiglio nazionale per tre volte di seguito, dal 1995 al 2003. Per i Verdi e l’UDC la tendenza si sarebbe riproposta addirittura per quattro volte consecutive. Alla fine la Svizzera ne usciva con un nuovo panorama partitico dai poli forti e un centro debole.

Come affermano i politologi, molti partiti con orientamenti contrapposti consentono una forma di governo democratico fintanto che si costituisce un centro in grado di governare.

Cosa significa tutto questo per l’UE?

Il vero impatto delle elezioni europee 2019 potrà essere valutato con chiarezza soltanto con il senno di poi.

Nell’attesa possiamo constatare che il frazionamento del sistema partitico europeo non è mai stato tanto profondo come in questo momento. Cristiano-democratici e socialdemocratici sono indeboliti al punto da non poter raggranellare una maggioranza neppure unendo le forze. Il numero dei conflitti rilevanti è aumentato e la questione europea non può più essere ridotta alla sola politica economica.

La Brexit ha dato una svolta allo scetticismo europeo. Al di là delle realtà statali e delle politiche di mercato, a partire dal 2016 si tratta di schierarsi pro o contro l’Unione.

Su un fronte troviamo le fasce euroscettiche della popolazione. I populisti di destra, e a volte anche di sinistra, si lanciano reciproche frecciate. In Italia, Ungheria e Polonia siedono fianco a fianco nei governi nazionali. Alle elezioni parlamentari nel Regno Unito e in Francia un’analoga rottura è stata evitata solo grazie al sistema elettorale proporzionale o maggioritario.

Sul fronte opposto abbiamo la principale corrente degli europeisti convinti. Infastiditi dai nazionalisti estremi che alle elezioni europee volevano trasformare Bruxelles in una nuova “Stalingrado” hanno simpatizzato per i programmi con economie aperte. Unendosi ai movimento socio-liberali hanno rafforzato gli schieramenti politici liberali e verdi.

Urgono nuovi orientamenti

Se questa analisi è corretta, nel prossimo lustro l’Europa dovrà affrontare un numero crescente di conflitti. Le forze europeiste sono però la maggioranza, con i due terzi dei 751 deputati. In seno alla Commissione europea e al Consiglio d’Europa il loro peso sarà pertanto maggiore.

Ciononostante, un grande punto interrogativo aleggia sull’esercizio del potere così come lo abbiamo conosciuto finora. Germania e Francia non si avvicinano più al tavolo delle trattative con intenzioni unanimi. Chi esce vittorioso dalle elezioni frena gli sconfitti ed esige un dibattito su temi programmatici come il clima e la crescita prima di attribuire le posizioni centrali. I populisti, dal canto loro, agendano temi come i programmi di risparmio o la questione dei migranti.

Le ricette proposte nei primi 40 anni di politica europea non permetteranno di spuntarla per altri cinque.

“L’Europa è diventata più pluralista. Per rafforzare la democrazia bisogna dapprima metabolizzare il cambiamento.” ”

Bilancio

Il mio primo bilancio della situazione è il seguente: il ritrovato interesse per la politica europea è alla base dell’elevata affluenza alle urne e dei numerosi focolai di conflitto.

L’Europa è diventata più pluralista. Per rafforzare la democrazia bisogna dapprima metabolizzare il cambiamento.

Le vie percorribili sono due: tramite una coalizione allargata che governi l’Unione con regole chiare, ma che risulta impraticabile senza un pieno coinvolgimento dei Liberali. Oppure con delle alleanza tematiche flessibili, che sappiano compattare le convinzioni e peculiarità nazionali in modo pragmatico, ma più consapevole.

La Svizzera ha optato per quest’ultima variante: una grande coalizione e maggioranze che si alternano. Finora non è andata così male, ad eccezione forse dell’azione strategica.

Il modello scelto dalla Svizzera insegna che in democrazia la politica europea deve essere maggiormente orientata agli interessi e alle convinzioni dei cittadini.

Cittadini che ora si sono risvegliati anche nell’Unione. Alcuni di loro hanno protestato, altri nutrono molte speranze.

Per tenerne conto, l’UE deve diventare più flessibile e soprattutto avvicinarsi ai suoi elettori.

Questo è il messaggio principale del risveglio del “demo” nell’Unione europea.

UDC: Unione democratica di centro (destra conservatrice)

PS: Partito socialista (sinistra)

PLR: Partito liberale radicale (destra liberale)

PPD: Partito popolare democratico (centro destra)

PES: Partito ecologista svizzero (sinistra)

PVL: Partito dei Verdi liberali (centro)

PBD: Partito borghese democratico (centro)

(Traduzione dal tedesco: Lorena Mombelli)

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