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Per i giudici l’albo degli artigiani viola le norme federali

Si fa sempre più complicata la situazione per l’albo degli artigiani in Ticino, adottato dall’intero parlamento cantonale nel marzo 2015 allo scopo di frenare l’ingresso dei cosiddetti padroncini italiani.

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Il Tribunale amministrativo ticinese (TRAM) ha infatti accolto due ricorsi della Commissione federale della concorrenza (ComCo) secondo la quale le norme ticinesi erano in contrasto con la legge federale sul commercio interno.

I giudici concordano infatti sul fatto che i vincoli posti da Bellinzona, vale a dire l’obbligo di iscrizione all’albo da parte degli artigiani che intendono operare nel cantone, con relativo pagamento della tassa annuale e adempimento degli oneri procedurali, violano il diritto superiore. Della questione potrebbe essere ora investito il Tribunale federale ma il destino della legge ticinese sembra irrimediabilmente segnato.

Già in novembre la corte amministrativa cantonale aveva dato ragione a una ditta ticinese che aveva denunciato la legge sugli artigiani. In quel caso i giudici non si erano pronunciati sulla compatibilità delle disposizioni contestate con le norme sul mercato interno, che non erano oggetto del ricorso.

Ma avevano comunque rilevato che il regime autorizzativo introdotto dal Ticino, giustificato con la necessità di prevenire fenomeni di concorrenza sleale e di garantire la qualità del lavoro nel settore dell’artigianato, non può in nessun caso – anche in base al principio di proporzionalità – apportare delle restrizioni alla libertà economica.

Ma l’albo cantonale è stato osteggiato anche dagli stessi artigiani ticinesi, 4’600 dei quali hanno infatti sottoscritto una petizione che ne chiedeva l’abrogazione e che è stata depositata nel giugno dell’anno scorso in Gran Consiglio.

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