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Industria bellica svizzera, esportazioni per 690 milioni di franchi nel 2020

Parti di missili
Sono 76 i Paesi di destinazione del materiale bellico elvetico, precisa la SECO. Keystone / Urs Flueeler

Le esportazioni di materiale bellico dalla Svizzera nei primi nove mesi del 2020 ammontano a quasi 690 milioni di franchi. Nello stesso periodo dello scorso anno il totale raggiungeva circa 500 milioni di franchi.

Secondo quanto emerge dai dati pubblicati martedì dalla Segreteria di Stato dell’economia (SECO), il più grande mercato di sbocco è l’Europa, con un volume di poco meno di 415 milioni di franchi tra gennaio e settembre. Guardando ai singoli Paesi spiccano Danimarca (134,5 milioni), Germania (quasi 79,7 milioni) e Romania (58,0 milioni).

Nell’elenco attuale dei Paesi destinatari delle esportazioni compaiono in totale 76 Stati. Si tratta in ogni caso degli Stati dove la merce viene “utilizzata o trasformata, raffinata o lavorata prima di un’eventuale riesportazione”, precisa la SECO.

Fra i principali acquirenti a livello mondiale figurano anche Indonesia (111,1 milioni di franchi) e Botswana (poco meno di 70 milioni). Quest’ultimo fa la parte del leone in Africa, poiché considerando gli altri acquirenti – Algeria, Mali e Sudafrica – il continente sfiora i 72 milioni. Ben più importante il mercato asiatico (quasi 149 milioni), a differenza di quello americano (circa 48,1 milioni) – di cui 28,5 negli Usa – e australiano (6,1 milioni).

In due comunicati, il Gruppo per una Svizzera senza esercito (GSsE) e l’associazione “Terre des hommes” esprimono indignazione per queste cifre. “Nonostante la crisi del coronavirus, nel 2020 si potrebbe superare il preoccupante record del 2011 di 873 milioni di franchi in esportazioni di armi”, indica GSoA, secondo cui “il commercio della morte è fiorente”.

La Svizzera rifornisce inoltre di armi anche Paesi coinvolti nelle guerre, denunciano le organizzazioni, ricordando che l’Arabia Saudita – che ha acquistato quasi 3,8 milioni di franchi di armi nel 2020 – gioca un ruolo importante nella catastrofe in corso nello Yemen. Per “Terre des Hommes” preoccupano invece le armi per circa 18 milioni di franchi esportate verso il Brasile. Il Paese sudamericano è teatro di guerriglie e violenze in numerosi quartieri e città.

Il 29 novembre alle urne

Le due associazioni hanno poi ricordato la votazione, in programma il prossimo 29 novembre, sull’iniziativa popolare “per il divieto di finanziare i produttori di materiale bellico”.

La proposta di modifica costituzionale vuole vietare alla Banca nazionale svizzera, alle Casse pensione e alle fondazioni di investire nelle imprese che realizzano oltre il 5% del loro giro d’affari annuo con la fabbricazione di materiale bellico.

Per i sostenitori dell’iniziativa, l’export di armi fabbricate in Svizzera erode la neutralità e la politica estera elvetica volta a promuovere la pace. Un comportamento che nuoce alla credibilità del Paese e in contrasto con i suoi principi destinati alla soluzione pacifica dei conflitti.

Per il Consiglio federale e il Parlamento la proposta del GSsE va bocciata poiché limita eccessivamente la libertà di manovra della BNS, delle fondazioni e degli istituti previdenziali, danneggiando nel contempo il settore finanziario e l’industria elvetica. Nel 2009, un’altra iniziativa del GSsE che auspicava il divieto di esportare materiale bellico è stata bocciata dal 68,2% degli elettori.

tvsvizzera.it/Zz/ats

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