Il design svizzero si evolve e viene premiato
La nuova generazione di designer svizzeri innova, sperimenta e collabora. Osa distanziarsi dallo stile più sobrio e funzionale che tradizionalmente caratterizza il design elvetico. Un approccio apprezzato sulla scena internazionale, al punto che la Svizzera ha recentemente ottenuto il Premio per l’Innovazione alla prima biennale del design di Londra.
“Per innovare, ci vogliono nuove alchimie, mélange, colori”. Mathieu Rivier, interactive media designerLink esterno, e Dimitri BählerLink esterno, designer industriale, sono convinti che l’innovazione nasce dall’unione di competenze diverse.
È la ricetta che hanno utilizzato per creare “Hyper Modular”, il progetto che ha fatto parte delle sette opere dello stand svizzero premiato a Londra.
Nell’atelier nel centro di Bienne (canton Berna), i due artisti parlano del loro lavoro ricorrendo a molte metafore: “Hyper Modular è un’onda di luce. I suoi movimenti sono lenti, fluidi e naturali, quasi umani, un po’ come un campo di grano mosso dal vento”.
I movimenti della lampada lunga 6 metri e larga 12 millimetri, azionata da cinque piccoli argani, nascondono diverse difficoltà tecniche. Ostacoli che Dimitri Bähler e Mathieu RivierLink esterno hanno superato combinando le loro competenze individuali.
Quando l’estetica e la tecnica si incontrano
All’origine dell’opera si trova il fascino che il carbonio suscita in Dimitri Bähler e la volontà del designer di realizzare un oggetto sfruttando la flessibilità di questo materiale. “Lui ha portato la parte estetica e sensibile, il rigore della riflessione su ogni angolo e su ogni colore”, spiega Mathieu Rivier, che ha invece reso possibile la concretizzazione del progetto grazie alle sue competenze tecniche.
Il due artisti hanno così trovato l’equazione che ha loro permesso di realizzare un’installazione innovatrice, luminosa e flessibile allo stesso tempo. Ma hanno anche imparato molto l’uno dall’altro. “Alla fine, mi sono messo anche io a lavorare con un saldatore fino all’ultimo minuto prima dell’apertura della Biennale, nella nostra camera a Londra”, racconta Dimitri Bähler.
Gli studi di design selezionati per rappresentare la Svizzera alla Biennale avevano anche la missione di collaborare con l’industria. I due designer hanno scelto di rivolgersi a due imprese: una si è concentrata sulla lavorazione del carbonio (NTPT, North Thin Ply Technology, a Renens, canton Vaud), l’altra ha messo a disposizione le sue competenze in materia di illuminazione (Simpex Electronic, Wetzikon, canton Zurigo).
Verso ulteriori collaborazioni
Per i giovani designer era importante lavorare con delle piccole aziende piuttosto che rivolgersi a grandi marche. “Il design permette di dare visibilità a piccole e medie imprese (PMI) molto specializzate, ma che restano spesso nell’ombra. Bisogna prendersi cura del tessuto delle PMI svizzere”, osserva Dimitri Bähler.
Quest’ultimo è convinto che rinforzare il legame tra designer e imprese può favorire l’innovazione: “Ogni tanto, bisogna forzare le collaborazioni per ottenere risultati inattesi”. Mathieu Rivier immagina combinazioni sorprendenti: “Potremmo mettere in contatto un ceramista con qualcuno che fabbrica schermi tattili”.
“Coniugare due saperi fa nascere sempre risultati estremamente arricchenti”
Alexis Georgacopoulos, direttore dell'Ecal
Questo gusto per l’interdisciplinarietà si sta affermando come una nuova tendenza del design elvetico. Da qualche anno, l’Alta scuola di arti applicate di Losanna (Ecal), una delle migliori scuole di arte e design del mondo, incoraggia intensamente le collaborazioni tra designers e industria, ma anche tra creatori.
“Coniugare due saperi fa nascere sempre risultati estremamente arricchenti”, ritiene il direttore dell’Ecal, Alexis Georgacopoulos. Il suo istituto spinge gli studenti a creare una rete di conoscenze durante la formazione, facendo ad esempio lavorare su uno stesso progetto fotografi e designer.
Rompere gli schemi
Parallelamente alla svolta della collaborazione, il design svizzero è anche entrato in un’era più sperimentale. L’installazione presentata nella capitale britannica ne è la prova. “Chiunque conosce gli orologi o il famoso coltellino svizzero. Il design elvetico è estremamente legato ad archetipi che non sono per forza attuali e aggiornati”, sottolinea Georgacopoulos.
Il direttore dell’Ecal si rallegra nel constatare che la rappresentanza svizzera in Gran Bretagna non ha puntato sui classici ma piuttosto su una nuova generazione di designer “conosciuti per rompere gli schemi”.
Il design elvetico si separa dallo stile rigoroso e funzionale con il quale si è fatto conoscere nel mondo. “È un nuovo approccio che trasgredisce ai codici tradizionali”, constata Georgacopoulos. È una tendenza che esiste da molti anni, “alla Biennale di Londra è stata tuttavia la prima volta che una rappresentanza elvetica ha adottato in maniera completa questo nuovo modo di fare”, aggiunge.
Un design che fatica a superare le frontiere
Il design svizzero riesce ad ottenere un posto sulla scena internazionale ma esporta poco. “In termini di prodotti e design industriale, sembra che la Svizzera fatichi ad ottenere visibilità”, spiega Giovanna Lisignoli, curatrice del Padiglione svizzero alla biennale di Londra. Vorrebbe vedere più designer elvetici “oltrepassare il loro orizzonte piuttosto locale e mettersi in gioco maggiormente sul piano internazionale, con più sicurezza, poiché hanno certamente molto da offrire”.
Il direttore dell’Ecal Alexis Georgapoulos arriva alla stessa conclusione: “A parte qualche grande insegna, la maggior parte dei marchi si concentra sul mercato svizzero”. Spiega in particolare che questo fenomeno è dovuto alle dimensioni del paese, che deve confrontarsi con dei sistemi di produzione più piccoli e dai costi elevati.
La posizione della Svizzera all’esterno dell’Unione europea (UE) non facilita i compiti dei designer che lavorano a livello internazionale. Perlomeno questa è l’esperienza di Dimitri Bähler e Mathieu Rivier. “Spedire un oggetto all’estero dalla Svizzera crea molte complicazioni amministrative legate alle dogane. “Per noi sarebbe meglio essere parte dell’UE”, afferma Rivier.
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