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E se per l’orologeria svizzera la crisi fosse solo agli inizi?

Keystone

Le esportazioni dell'industria orologiera elvetica registrano mese dopo mese un calo costante. Una spirale negativa di cui non si intravvede la fine, constata Grégory Pons, giornalista francese specialista del settore, che fa il punto della situazione senza peli sulla lingua.

Dalla Svizzera, dove risiede, Grégory Pons si occupa della redazione di una newsletter internazionale bimensile destinata ai professionisti del ramo. Un media che rivendica la sua indipendenza nei confronti delle marche orologiere e dei loro budget pubblicitari.

swissinfo.ch: Una diminuzione del 27,6% in maggio e del 25% sull’arco dei primi cinque mesi del 2009. Il forte calo delle esportazioni orologiere svizzere sembra non avere fine. Quando si fermerà la caduta?

Grégory Pons: Se osserviamo la curva, a partire dal mese di ottobre del 2008 è una vera catastrofe. Attualmente le cifre stanno avvicinandosi ai valori del 2006 ed è possibile che si scenda al di sotto di quello che tutti consideravano come un livello minimo.

A questo punto, però, non vedo nessun livello minimo. Ci si può quindi chiedere – ed è anche il parere di alcuni analisti – se l’industria orologiera svizzera non sia solo all’inizio della crisi.

swissinfo: Quali elementi possono migliorare, o al contrario peggiorare questa situazione?

G.P.: Tra gli elementi negativi menzionerei la continuazione della crisi finanziaria mondiale. I problemi del dollaro non sembrano riassorbirsi. In questo caso il mercato americano non riprenderà quota velocemente. Rischiamo quindi di rimanere inchiodati a terra a causa della crisi del dollaro.

Gli stock di orologi sono inoltre ancora importanti, poiché non vi sono più acquirenti nei negozi. I dettaglianti non riescono a ridurre le loro scorte e a tutti i livelli della catena vi è troppa merce, di cui però un giorno o l’altro bisognerà pur disfarsi.

Ciò spiega perché marche come Rolex hanno già indicato di aspettarsi che le annate 2009 e 2010 saranno catastrofiche. Al di là delle frasi di circostanza, discutendo apertamente coi responsabili delle marche, ci si rende conto che nulla è assicurato per il 2010.

Vi è comunque anche un fattore incoraggiante: sul mercato si affacciano sempre più marche. Nel 2009 ve ne saranno una quarantina di nuove. La dinamica creativa è sempre presente. Più che persone con un istinto suicida, son tentato di pensare che si tratta di gente coraggiosa. Questo poiché i dettaglianti, sommersi dai prodotti classici, sono piuttosto alla ricerca di merce non classica.

swissinfo.ch: L’orologeria svizzera sta semplicemente subendo uno choc esterno oppure ha una parte di responsabilità nel calo delle esportazioni?

G.P.: Sta senza dubbio incassando i contraccolpi della crisi finanziaria mondiale. Vi era troppo denaro in circolazione e distribuito troppo facilmente. La gente ha acquistato orologi assimilandoli a un valore rifugio. L’orologeria svizzera, tuttavia, non si è premunita per far fronte a questa “falsa” domanda, più speculativa che reale.

Il settore è quindi responsabile, nel senso che non ha anticipato un possibile ribaltamento congiunturale. Inoltre paga anche la sua inefficienza in termini di logistica.

La crisi è dovuta a una sovrapproduzione che ha provocato un fenomeno di “sovrannullamento” delle comande. Le manifatture, attualmente, sono poco colpite, ma i fornitori sono completamente esangui. Le soppressioni di impieghi si contano a migliaia. I fornitori pagano l’imprevidenza, l’assenza di ragionamento e la scarsa competenza logistica delle marche di orologi.

Per non parlare poi dell’apparato statistico, completamente obsoleto. Le statistiche forniteci dalla Federazione orologiera (FH) hanno iniziato a mostrare i segni della crisi solo a partire dal mese di novembre. Fino ad allora tutti strombazzavano che il settore non avrebbe risentito della crisi. Quanto successo è stupefacente.

swissinfo.ch: Secondo la FH, la crisi colpisce tutti e l’orologeria svizzera mantiene le sue parti di mercato. È una constatazione che condivide?

G.P.: Forse non perde molto, è vero. In termini di volume, però, l’orologeria svizzera non conta nulla nel mondo. Quando vedo che nell’arco di cinque mesi ha venduto due milioni di pezzi in meno sono inquieto.

È bene ricordare che la Svizzera produce essenzialmente orologi di alta gamma. Una diminuzione del 38% delle esportazioni di orologi d’oro è assai allarmante.

Per quanto concerne gli orologi a buon mercato, la Svizzera è completamente tagliata fuori dal mercato. Ma sarà da questo settore che partirà la riconquista.

Evidentemente i giapponesi non stanno meglio. I cinesi invece sono in una migliore posizione. Analizzando da vicino la situazione, si può constatare che il solo segmento che ha resistito alla crisi non è stato quello dell’alta gamma, come dicevano molti in Svizzera. Gli orologi di un valore superiore ai 3’000 franchi hanno registrato diminuzioni fino a quasi il 40%. Ad aver resistito bene sono gli orologi di media gamma, da 100 a 500 franchi. È un fattore incoraggiante, salvo che anche in questo segmento i cinesi sono sempre più forti.

swissinfo.ch: Quali lezioni si possono trarre da questa crisi?

G.P.: Sono convinto che stiamo vivendo una crisi più grave di quella legata alla tecnologia del quarzo, poiché questa tocca le fondamenta stesse del lusso orologiero. Tutto cambierà: le marche, i modelli, i prezzi. Saremo obbligati per forza ad imparare la lezione, sennò moriremo.

Ciò che rimarrà – ed è incoraggiante – è l’amore per i begli orologi. I nuovi ricchi avranno anche loro questa passione e bisognerà evitare di deluderli. Oggi, però, vi sono marche svizzere che nei paesi emergenti propongono praticamente qualsiasi cosa. Ciò potrà causare grandi danni, poiché i nostri concorrenti cinesi stanno imparando pure loro a fabbricare dei bei pezzi.

swissinfo.ch: La taglia delle imprese ha un peso nella crisi?

G.P.: Non vi sono regole precise. In linea di massima i gruppi soffrono enormemente. Tutti chiuderanno l’esercizio con una regressione del 30-40%. Grandi marche, ad esempio il gruppo Frank Muller, hanno già proceduto a licenziamenti e dopo le vacanze estive vi sarà probabilmente una ristrutturazione importante presso Richemont.

Contrariamente a certe opinioni diffuse, non sono sicuro che le grandi marche riescano ad attraversare meglio la burrasca rispetto a quelle piccole. Il fattore decisivo è la seduzione che esercita la marca. La domanda è: i vostri orologi trovano acquirenti, sia che essi costino 500 franchi o 500’000 franchi? I clienti disposti a spendere mezzo milione esistono ancora, ma si sono fatti più rari, bisogna andarli a cercare. In altre parole bisogna lavorare!

swissinfo.ch: Prevede un calo di prezzi sui mercati internazionali?

G.P.: È una questione molto controversa. Faccio questa domanda a tutti e tutti mi dicono che abbassare i prezzi adesso sarebbe da idioti. D’altro canto, i prezzi sono del 30-40% troppo elevati. Lo si può constatare sul mercato grigio, dove gli orologi sono appunto venduti a un prezzo inferiore del 30-40% rispetto al prezzo di catalogo. Questo è il vero prezzo del mercato.

D’altro canto, le manifatture stanno sviluppando adesso prodotti di crisi, ossia orologi con qualche rifinitura in meno, che saranno presentati a Baselworld 2010. In sostanza per ritrovare prodotti più attraenti saranno cancellati gli aumenti di prezzo di questi ultimi due-tre anni.

swissinfo.ch: L’impatto sociale della crisi si fa sentire in maniera sempre più preoccupante nell’orologeria. Il rientro dalle vacanze estive in settembre sarà particolarmente doloroso?

G.P.: È evidente. Basta chiederlo al sindacato UNIA. Vi parlerà di piani sociali allarmanti, che riguardano centinaia di persone. (ndr: UNIA non conferma ma esige un’estensione della durata legale della disoccupazione parziale).

Pierre-François Besson, swissinfo.ch
(traduzione di Daniele Mariani)

In maggio le esportazioni orologiere svizzere sono calate del 27,6% (a 1,1 miliardi di franchi) rispetto allo stesso mese del 2008.

Nei primi cinque mesi del 2009, l’export ha raggiunto quota 5,027 miliardi, il 25% in meno rispetto al medesimo periodo dell’anno prima.

La diminuzione più forte (oltre il 30%) ha toccato gli orologi da polso di un valore superiore ai 3’000 franchi.

Il calo è stato di circa il 20% per gli orologi fino a 200 franchi e da 500 a 3’000 franchi, mentre per quelli di un valore compreso tra 200 e 500 franchi la diminuzione è stata dell’ordine del 10%.

La più forte regressione è stata registrata negli Stati Uniti (-42,7% a 124 milioni), seguiti da Giappone (-30,3% a 68 milioni) e Hong Kong (-26,2% a 177 milioni di franchi).

Stando alle cifre della Convenzione padronale dell’industria orologiera svizzera, il settore impiegava a fine settembre 2008 53’300 collaboratori, 13’000 in più rispetto a quattro anni prima.

Attualmente i dipendenti dovrebbero essere circa 50’000, secondo il segretario della Convenzione.

Marche come Roger Dubuis, Ebel, Girard-Perregaux, Frank Muller o Zenith hanno già annunciato delle riduzioni di personale. Molte aziende hanno inoltre fatto capo alla disoccupazione parziale.

L’industria orologiera svizzera rappresenta la terza industria d’esportazione elvetica, dopo le macchine e la chimica. È impiantata principalmente nei cantoni di Neuchâtel, Berna, Ginevra, Soletta, Giura e Vaud.

Dopo aver raggiunto l’apice alla fine degli anni ’60, con circa 90’000 dipendenti impiegati in più di 1’500 imprese, il settore è crollato, anche a causa dell’arrivo degli orologi al quarzo dall’Asia. All’inizio degli anni ’80, il settore impiegava appena 30’000 persone.

Il rilancio è avvenuto in un primo tempo grazie alla produzione di massa ed in particolare agli orologi prodotti dalla Swatch. Negli ultimi anni, è stato soprattutto il settore del lusso a fare da traino.

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