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E Renzi partì all’attacco dell’ “Europa tedesca”

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di Aldo Sofia

E’ un po’ come sparare sulla Croce Rossa, si potrebbe pensare del recente tiro ad alto zero di Matteo Renzi contro la Commissione europea di Bruxelles. L’esecutivo dell’UE non è mai stato così impopolare, in ciò riflettendo perfettamente la crisi di una comunità europea nella fase più minacciosa della sua esistenza: immigrazione di massa dal Medio Oriente, crisi di Schengen e Dublino, incertezza sul futuro della moneta unica, diffusa disoccupazione, mancato rilancio economico, costante avanzata elettorale di partiti e movimenti euro-fobici o comunque fautori di “un’altra Europa” (primato della politica e socialità al posto dei tecnocrati e dell’austerità). Se il premier italiano, cambiando disinvoltamente bersaglio in poche ore e passando dalla Merkel alla Commissione di Bruxelles, ha improvvisamente messo nel suo mirino questo “corpaccione” UE in difficoltà, e quasi paralizzato dalle sue contraddizioni, un motivo ci sarà. Anzi, più di uno.

Il primo è che, secondo il “cecchino” di Palazzo Chigi, l’Italia delle riforme renziane dovrebbe ottenere un più caloroso e generoso riconoscimento da parte di Bruxelles, e quindi essere ricompensata da una maggiore solidarietà e comprensione. Così, per esempio, per gli investimenti varati per salvare l’Ilva (il colosso malato dell’accieria italiana) e che secondo la Commissione puzzano invece di inaccettabili aiuti pubblici, banditi dalle regole comunitarie; oppure, sulla questione dei versamenti europei promessi alla Turchia per i rifugiati, progetto bloccato da Roma, che chiede di non calcolare la sua quota di 300 milioni nel bilancio dello Stato che rischia di sfondare il rapporto debito-PIL; o ancora, e sempre sul fronte migranti, l’Italia deve constatare il congelamento del progetto europeo per la distribuzione di quote nei vari paesi dell’Unione, mentre il governo Renzi subisce quotidianamente i rimproveri per non aver ancora organizzato i cosiddetti hot-spot per la registrazione dei migranti nel paese di prima accoglienza.

Insomma, dal “cu-cu” di Berlusconi alla Merkel – la “culona”, la chiamò in una telefonata intercettata – alle esternazioni critiche e un po’ frenetiche del segretario PD, nonché leader del principale partito socialdemocratico europeo. Sempre nel nome dell’ “Italia che è tornata e che non accetta più di essere teleguidata dall’esterno”, di un’Europa che non può più sopportare l’egemonia tedesca, di una comunità che dovrebbe essere “obamiana” (più investimenti pubblici) e meno merkeliana.

Non che Renzi abbia torto su tutta la linea, o che sia improvvisamente passato dalla parte degli anti-europisti. Ma il suo stile non è certo il più apprezzato nel gremio europeo, che ricambia con evidente freddezza. Se non con pesanti allusioni. Come quelle del capo gabinetto del commissario europeo Junker – altro novello bersaglio del premier italiano -, che accusa l’ex sindaco di Firenze di “alimentare il gioco dei populisti” che vogliono affossare l’UE. Quindi, un esplicito rimprovero di usare l’Europa per puro calcolo elettoralistico, per rincorrere o stoppare i rivali interni, Grillo e Salvini, che sui mali dell’Unione mietono buona parte del loro consenso politico.

Chi vincerà sul ring che oppone Bruxelles e Roma? E’ probabile che alla fine non vi saranno né vincitori né vinti. Nella debolezza politica di entrambi sta lo spiraglio di un infruttuoso pareggio. Chi ha più bisogno dell’altro, l’Italia o l’Europa? Perché si può’ metaforicamente sparare sulla Croce Rossa, senza però dimenticare di averne comunque bisogno.

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