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Dramma norvegese: la stampa svizzera sotto shock

In Norvegia ora si piangono le vittime e ci si interroga sui motivi del folle gesto. Keystone

I giornali elvetici commentano ampiamente il massacro perpetrato venerdì in Norvegia. Al di là dell'emozione, si interrogano sui motivi di un tale folle gesto e constatano che il nemico non viene sempre dall'esterno, ma può essere prodotto anche dal paese stesso.

La stampa elvetica consacra ampio spazio al massacro. Gli articoli ripercorrono le ore del folle gesto di Andres Bering Breivik, insospettabile 32enne norvegese. Si scrive di emozioni, di un paese che «ha perso la sua innocenza» e di un dramma che segnerà per sempre lo Stato preso come modello per pace e tranquillità.

Ed è la Basler Zeitung a ricordare queste sue peculiarità. «Nelle classifiche internazionali, la Norvegia si distingue per la tranquillità e felicità che vi regnano. Ora, invece, sono altri i motivi che hanno fatto balzare questo paese agli onori della cronaca».

Le Matin si sofferma invece a descrivere l’attentatore e la sua meticolosa preparazione. «Ciò che sciocca di più è certamente la sua fredda determinazione. Questo uomo di 32 anni è riuscito durante tutti questi anni a sviare l’attenzione di chi gli stava vicino, prima di portare a termine il suo piano».

Le domande e le radici dell’odio

Nel suo corsivo, il Corriere del Ticino scrive di una popolazione norvegese disorientata, scossa e alla ricerca di risposte. «Occorrerà cercare di capire come mai, in un paese ben sviluppato, dal punto di vista economico e sociale, possano scatenarsi un tale odio e una tale follia omicida».

La NZZ am Sonntag, con un’intervista all’antropologo sociale norvegese Thomas Eriksen, tenta di rispondere a queste domande e di spiegare come la Norvegia, uno Stato simile alla Svizzera, «un porto di pace e tranquillità – fino a venerdì scorso», abbia prodotto un mostro simile. Il paese nordico, grazie alla sua ricchezza è una meta privilegiata per gli emigranti e «questa condizione ha fatto crescere il nazionalismo», sostiene l’antropologo sociale.

Eriksen afferma inoltre che la visione del mondo dell’attentatore è ampiamente diffusa nel paese nordico: «Molte persone non vogliono ammettere di vivere anche loro in un mondo globalizzato». Evidenzia, inoltre, che molti si riconoscono nella “Weltanschaung” di Andres Bering Breivik, secondo la quale la «civiltà occidentale è minacciata dagli immigrati e dai musulmani e che «l’élite norvegese è formata da traditori».

Il vescovo di Lugano, Pier Giacomo Grampa, nel suo commento sul Giornale del Popolo parla invece di una strage frutto di un «multiculturalismo fallimentare, che con il nobile intento di valorizzare cultura e religione di chi si ospita (per necessità delle stesse società europee) predica il relativismo di “tutte le religioni e le culture si equivalgono” e favorisce lo sradicamento dalle proprie».

Il nemico interno

Nelle loro analisi, i giornalisti affermano che forse il mondo occidentale si è concentrato troppo sul nemico islamico dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, dimenticando invece «il nemico interno», come lo definisce la Neue Zürcher Zeitung.

«Nelle prime reazioni, molti hanno indicato l’attacco di venerdì come una rappresaglia contro l’intervento da parte della Norvegia nei conflitti internazionali. Non si era preparati ad un terrorista biondo, con gli occhi blu cresciuto nel proprio paese», sottolinea la NZZ.

«Dopo il duplice attacco, si è subito indicata la pista islamica, ipotesi scartata però quasi immediatamente. Eppure, questa pista sarebbe meno incomprensibile dell’atto isolato di un “Terminator”», evidenzia a sua volta questo aspetto il quotidiano romando La Liberté.

Anche La Tribune de Genève mette l’accento sulla scarsa attenzione dedicata al fenomeno dell’estremismo di destra e si chiede: «L’Europa lo ha trascurato?».

Le soluzioni

Se sembra confermarsi l’ipotesi del lupo solitario che ha messo a ferro e fuoco il paese nordico, spetterà a politici e sociologi il compito di «capire, individuare e trovare rimedi allo sviluppo di gruppi estremisti, i cui comportamenti possano sfuggire a ogni controllo diventando dei terribili tarli che erodono la stabilità e la sicurezza di una nazione nel suo interno», scrive l’editorialista del Corriere del Ticino.

Tuttavia, stando a La Liberté, uno Stato non può escludere atti terroristici o folli massacri, nemmeno se serra le maglie dei controlli. «Il sistema democratico sembra totalmente impotente ad individuare i segnali anticipatori di un’operazione isolata, ma preparata a lungo e minuziosamente».

La Basler Zeitung si chiede invece che ne sarà di un paese e di una società aperti che potrebbero trasformarsi in uno Stato che non concede più margini alla libertà personale. È un rischio che però l’editorialista nel suo corsivo esclude. «I segnali lanciati dal re e dal capo di governo sono infatti confortanti. […] Se alle loro parole seguiranno i fatti, la Norvegia potrà mantenere il suo ruolo di stato modello».

Lunedì si terrà l’udienza preliminare contro Anders Behring Breivik, l’autore degli attacchi che hanno provocato almeno 93 vittime venerdì scorso con la bomba a Oslo e il massacro sull’isola di Utoya.

«Domani Breivik sarà davanti al tribunale che dovrà decidere la sua detenzione provvisoria», ha detto il capo della polizia di Oslo, Sveinung Sponheim.

In precedenza l’avvocato difensore di Breivik aveva reso noto che l’estremista di destra voleva essere presente all’udienza e che voleva un processo pubblico.

(fonte: Agenzia telegrafia svizzera)

Anders Behring Breivik, prima di prepararsi per la sua “missione”, come egli stesso definisce la carneficina di due giorni fa, aveva lanciato sul web una sorta di memoriale-manifesto, accompagnato da un video riassuntivo caricato su YouTube, nel quale appaiono anche sue foto armato di fucile di precisione e con un distintivo ‘cacciatore di marxisti’ appuntato sulla spalla della tuta.

Il documento è un volume di 1.500 pagine a metà strada tra un diario intimo, un piano di battaglia e un manuale del perfetto terrorista, con consigli tecnici e logistici per altri “nazionalisti” che avessero voluto seguire la sua strada contro i “regimi multiculturalisti e marxisti” e contro la minaccia islamica che a suo dire incomberebbe sull’Europa.

Nel volume, scritto a partire dal 2002 e intitolato ‘2083 – Dichiarazione europea di indipendenza’, Breivik prefigura una guerra civile in tre fasi che dovrebbe concludersi proprio nel 2083, 200/o anniversario della morte di Karl Marx, con l’eliminazione dei ‘marxisti’, e con la “deportazione” di tutti i musulmani dal Vecchio Continente.

(fonte: Agenzia telegrafia svizzera)

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