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Dopo la “mucca pazza” i “gatti pazzi”

Fino al dicembre 2000 sono già stati accertati molti casi di encefalopatia spongiforme felina, la maggior parte dei quali in Inghilterra Keystone Archive

Si estende a macchia d'olio lo scandalo della "mucca pazza". Dopo le drastiche misure prese a protezione dell'uomo, ci si preoccupa della salute degli animali domestici. In effetti le farine animali riciclate nei cibi per animali da compagnia potrebbero trasmettere loro l'encefalopatia spongiforme.

Il morbo della “mucca pazza” minaccia non solo bovini ed esseri umani, ma tutta una serie di animali tra cui spiccano cani e gatti domestici. Il veicolo di trasmissione sembra essere il cibo industriale, il cosiddetto “pet-food”, fabbricato con farine animali e resti di bovini infetti.

Si sospetta che in molti paesi produttori la pratica, usuale per anni, sia andata avanti tranquillamente anche dopo gli ultimi scandali; anzi, alcune fabbriche riciclerebbero proprio così le farine vietate nell’alimentazione dei capi d’allevamento.

In Svizzera queste procedure sono rigorosamente vietate; il problema tuttavia rimane, visto che la maggior parte dei cibi industriali per cani e gatti venduti nella Confederazione proviene dall’estero. Certo, esistono direttive per la qualità dell’import e convenzioni tra Svizzera e stati produttori, ma alla frontiera non si pratica nessun controllo per accertare l’eventuale presenza di prioni in scatolette e biscotti importati.

L’associazione italiana “Gaia”, che ha lanciato l’allarme riciclaggio assieme ad altre associazioni ecologiste europee, sta ora preparando un libro per denunciare i veri “ingredienti” del “pet-food” fabbricato in Europa ed America. Vi si trovano ad esempio scarti da macello di tutti i tipi, grassi in cui si accumulano sostanze cancerogene, cereali, barbabietole ricche di zucchero (pericoloso per cani e gatti), farine di pesce e di carne.

Le conseguenze non si sono fatte attendere: una novantina di casi accertati di encefalopatia spongiforme felina in Inghilterra fino al dicembre 2000, 3-5 in Irlanda, uno in Norvegia e uno nel Liechtenstein, in un gatto nato anni prima in Svizzera, nel Canton San Gallo. Tra gli animali colpiti si segnalano anche ovini e visoni, mentre per il possibile contagio dei cani non c’è ancora una sicurezza scientifica.

Il problema è che una diagnosi certa può essere raggiunta solo dopo la morte dell’animale, con un test sul suo cervello. Dati anche i costi dell’esame, nei paesi in cui non c’è una capillare ricerca scientifica i proprietari vi rinunciano, contribuendo ad alterare le cifre.

Non sono poche, intanto, le voci di veterinari ed esperti secondo cui i casi di encefalopatia spongiforme accertati finora sarebbero solo la punta di un iceberg. Il fenomeno, in realtà, si estenderebbe in profondità in tutte le categorie animali.

Alessandra Zumthor

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