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Mobilità studenti Svizzera-UE e partenariati mezzi salvati

Il programma di scambi Erasmus+ offre opportunità di soggiorni di studio in altri paesi ai giovani europei e di progetti e partnership con omologhi all'estero a università e istituti di formazione. Keystone

Il programma di sostituzione transitoria di Erasmus+, adottato dal governo svizzero per continuare gli scambi di studenti con l'UE dopo il voto popolare per il freno all'immigrazione, ha permesso di limitare i danni. Degli studenti lo testimoniano a swissinfo.ch.


Felix Briza ha visto vacillare il suo progetto di studiare all’estero, dopo che gli svizzeri hanno votato in favore dell’introduzione di tetti massimi per i permessi di dimora e contingenti annuali per tutti gli stranieri, compresi quelli provenienti dall’Unione europea. A seguito di quella decisione, la Confederazione ha perso lo statuto di membro a pieno titolo del programma di scambio Erasmus.

“La scadenza per le candidature per Erasmus era già passata, quindi non avrei avuto la possibilità di andare altrove”, dice lo studente tedesco che si era candidato per uno scambio presso il Politecnico federale di Losanna (EPFL). “Ho dovuto sperare”.

I vantaggi che Briza vedeva nel fatto di studiare in Svizzera erano la possibilità di imparare una lingua, scoprire una nuova cultura e i “diversi livelli di conoscenze” che una nuova università potrebbe portare ai suoi studi di ingegneria meccanica. In più, voleva approfittare delle “infinite possibilità di sciare e andare in bicicletta” che offre la Svizzera.

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I suoi sogni, per finire, si sono avverati, perché il governo svizzero, dopo il sì popolare del 9 febbraio all’iniziativa “Contro l’immigrazione di massa”, ha cercato di salvare gli scambi di studenti attraverso una nuova rete, denominata Swiss-European Mobility Programme (SEMP). Transitoriamente, la Confederazione finanzia gli scambi di studenti tra la Svizzera e i paesi europei partner. Le borse di studio sono stanziate direttamente dal governo elvetico, invece che tramite Erasmus+ come avveniva prima.

Briza ritiene che, grazie a SEMP, tutto abbia funzionato per il meglio. “Nessuno si lamenta che [la Svizzera] non fa più parte di Erasmus”, osserva. Tanto più che lui e i suoi compagni di studi ricevono più soldi dalle borse mensili SEMP di quanto avrebbero percepito attraverso Erasmus.

Inoltre, “gli studenti di Erasmus hanno la reputazione di non fare altro che feste tutta la settimana. Se dici di essere un titolare di una borsa di studio svizzera, suona meglio”, aggiunge il tedesco.

SEMP sembra dare i primi frutti. Anche se inizialmente le statistiche hanno mostrato cali dal 10 al 38% del numero di studenti che partecipavano a scambi nelle università svizzere, Gaëtan Lagger, che si occupa di progetti internazionali di formazione per conto del governo svizzero, si aspetta che il loro numero torni rapidamente a salire, a seguito degli sforzi di comunicazione con le scuole europee.

È il caso dell’università di Glasgow, che ha dovuto sospendere gli scambi di studenti previsti con la Svizzera nel semestre autunnale del 2014, e che li riprenderà il prossimo semestre. Secondo Elizabeth Buie, del servizio di comunicazione internazionale dell’università, questo è dovuto alla soluzione transitoria del governo svizzero. Le nuove cifre degli scambi sono “in linea con quelle precedenti, quando la Svizzera partecipava al programma Erasmus”, ha detto a swissinfo.ch.

Angelika Wittek, capo del servizio che si occupa degli scambi di studenti presso il Politecnico federale di Zurigo, afferma che finora l’ateneo non ha registrato alcun drammatico calo ed ha potuto mantenere la maggior parte delle sue partnership in questo campo.

“Potrebbe anche darsi che queste circostanze siano una fortuna, perché possiamo riprendere le modalità di gestione del programma che vigevano prima del 2011, quando la Svizzera era un ‘membro senza voce in capitolo’ all’interno di Erasmus”, aggiunge Angelika Wittek. Infatti, “adesso Erasmus sta diventando molto più complicato. Gli studenti devono per esempio fare dei test linguistici” per poter accedere agli scambi.

L’intero programma Erasmus è stato trasformato dal 1° gennaio in Erasmus+: i vari programmi di scambio e di partenariato sono così stati riuniti sotto lo stesso tetto. La Svizzera ha partecipato come partner a pieno titolo solo al predecessore di Erasmus+, il programma di apprendimento permanente (Lifelong Learning Programme, LLP), tra il 2011 e il 2013.

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Che ne sarà delle partnership?

Michael Hayes e Claudia Dietschi hanno constatato personalmente i benefici della piena partecipazione della Svizzera ai programmi europei di scambio. Hayes è uno studente canadese che è venuto in Svizzera– e quindi non prende parte a Erasmus+ – ma ha notato che quest’ultimo dà ai suoi coetanei provenienti da università europee un’opportunità che altrimenti non avrebbero avuto.

“La ragione principale per cui ho potuto venire per uno scambio è che i miei genitori sono generosi. Questo è un peccato, poiché tutti dovrebbero avere questa possibilità”, dice.

Quando Claudia Dietschi ha deciso di andare studiare a Vienna, prima che la Svizzera avesse accordi bilaterali con l’Unione europea o facesse parte di Erasmus, ha dovuto trovare la propria strada, convincere l’università di prenderla come se facesse parte di uno scambio di studenti senza una borsa Erasmus e pagarsi tutti i corsi. “Penso che fosse molto più difficile per noi [svizzeri] all’estero prima degli accordi bilaterali”.

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E lo scambio di studenti è soltanto una parte di ciò che la Svizzera rischia di perdere, senza Erasmus+. Da quando non possono più condurre progetti di cooperazione e di riforma nell’ambito del programma Erasmus+, vari istituti elvetici sono finiti in disparte.

Nel momento in cui c’è stata la votazione sul freno all’immigrazione, “molti istituti di istruzione e di formazione svizzeri si stavano già preparando per coordinare un progetto”, sottolinea Gaëtan Lagger. “Nel giro di poche settimane, hanno dovuto passare il loro compito di coordinamento a un partner europeo ed essere invitati come semplici osservatori senza diritto di parola su un proprio progetto, oppure rinunciare”.

Partenariati di questo tipo potrebbero includere lo sviluppo di nuovi programmi, la condivisione delle migliori pratiche e il rafforzamento della cooperazione tra le università europee e le imprese che in futuro potrebbero assumere i loro laureati, secondo Florence Balthasar di SwissCore, l’Ufficio europeo di contatto per l’innovazione, la ricerca e la formazione, con sede a Bruxelles. Balthasar si occupa dello sviluppo e la promozione di partenariati tra scuole e università svizzere ed europee.

“Quando eravamo pienamente associati al Lifelong Learning Programme, potevamo coordinare e gestire progetti di cooperazione”, dice. “Ora, se vogliamo partecipare, veniamo in silenzio con i nostri soldi, senza ottenere il riconoscimento ufficiale. Oppure, se abbiamo il coraggio di partecipare a pieno titolo, non possiamo coordinare progetti”.


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Convincere la gente che la Svizzera sta perdendo qualcosa dall’esclusione da tali progetti non è un compito facile, dal momento che il paese era un partner a pieno titolo solo tra il 2011 e il 2013. A causa di quel breve lasso di tempo, molti istituti avevano appena iniziato a sfruttare tutte le possibilità offerte.

A risentire delle conseguenze sono principalmente le scuole universitarie professionali, gli istituti tecnici e le imprese, dato che le università e gli istituti di tecnologia tendono ad avere reti e progetti più affermati, precisa Lagger.

Controllo dei danni

Peter Eigenmann, che dirige l’ufficio relazioni internazionali presso la Scuola universitaria di scienze applicate di Berna, racconta che il suo staff si è battuto molto per cercare di preservare il maggior numero possibile di collaborazioni con università europee – anche andando a visitare molti partner di persona – ma non tutti gli sforzi hanno avuto successo. E la partecipazione a un programma di scambio e di partenariato per mettere in rete professori e personale dell’alta scuola bernese con quelle di altri paesi europei ora è in “forte calo”, dopo essere diventata sempre più un successo negli ultimi anni.

La questione ora è come sarà finanziata e preservata la partecipazione della Svizzera ai programmi europei di scambio negli anni a venire, al di là del campo di applicazione delle misure governative di ripiego.

“Stiamo esplorando tutte le opzioni che abbiamo, e abbiamo ancora un mandato per negoziare la piena associazione” ai programmi dell’UE, dice Gaëtan Lagger. “Questo è ancora il nostro obiettivo”.

“Ma la Commissione europea ha dichiarato molto chiaramente che saremo associati pienamente solo se la questione della libera circolazione delle persone sarà risolta”.


Modifica di statuto della Svizzera in Erasmus+

Dopo il voto federale del 9 febbraio, in cui il popolo ha approvato l’iniziativa che impone la reintroduzione di contingenti per gli immigrati provenienti dall’Unione europea, lo statuto della Svizzera nel programma Erasmus+ è diventato quello di “paese partner”, invece di “paese membro”. Che cosa significa? Ecco una spiegazione di Dennis Abbott, portavoce della Commissione europea:

“In Erasmus+, per la Svizzera essere trattata come paese partner significa tornare alle condizioni che aveva prima di entrare nel Lifelong Learning Programme dell’Unione europea (di cui Erasmus faceva parte) nel 2011. In altri termini, vuol dire che nel 2014, la partecipazione di organizzazioni svizzere è essenzialmente limitata ad attività di cooperazione, in cui il loro contributo costituisce un chiaro valore aggiunto per l’UE”.

(Traduzione dall’inglese)

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