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Quote rosa improbabili per l’economia svizzera

Keystone

L'Unione europea potrebbe introdurre una quota minima di donne nei consigli di amministrazione delle aziende private. Anche in Svizzera ci sono iniziative in questo senso, ma il mondo economico si oppone a soluzioni vincolanti.

Le aziende quotate nell’Unione europea potrebbero essere costrette ad avere più donne tra i membri non esecutivi dei loro consigli di amministrazione (Cda). A metà novembre, la Commissione europea ha adottato un progetto di legge che stabilisce un obiettivo minimo del 40% entro il 2020.

In Svizzera, nel 2010 soltanto il 4% degli incarichi di direzione nelle imprese era occupato da donne. La loro proporzione nei Cda era dell’8,3%. Questa situazione non è praticamente cambiata negli ultimi dieci anni, secondo la Segreteria di Stato dell’economia (Seco).

L’anno scorso, la Seco ha pubblicato una serie di indicazioni e proposte per incoraggiare le aziende a nominare più donne ai loro vertici. Concretamente, però, i progressi sono stati pochi, rileva Heliane Canepa. Nominata alla testa della Nobel Biocare nel 2001, è stata la prima donna ad assumere la carica di amministratore delegato in un’azienda dello Swiss Market Index (Borsa svizzera).

«Dieci anni fa abbiamo avuto lo stesso tipo di discussione e le aziende hanno promesso dei miglioramenti. Si sono dette parecchie cose e sono stati adottati diversi programmi a favore delle donne. Tuttavia, le società continuano a non avere donne tra i loro top manager», dice a swissinfo.ch.

Una questione di diversità

La federazione ombrello dell’economia svizzera (economiesuisse) respinge l’idea di quote rigide. Preferisce invece che siano le imprese a fissare di propria iniziativa obiettivi interni e a creare condizioni quadro più favorevoli per conciliare lavoro e famiglia.

«Da un punto di vista economico, imporre quote fisse mediante leggi rappresenta la soluzione sbagliata», afferma a swissinfo.ch Meinrad Vatter, vice responsabile del settore Concorrenza e Regolazione.

Per centrare l’obiettivo del 40%, la Commissione europea ha stabilito che le aziende saranno tenute ad assumere, a parità di qualifiche, una donna invece di un uomo. Una misura però difficile da attuare, ritiene Vatter. «Sembra facile, ma in pratica non lo è. La diversità è fondamentale in un Cda e include non soltanto il sesso, ma pure la nazionalità, l’esperienza, il livello d’istruzione e così via».

Ad ogni modo, aggiunge il collaboratore di economiesuisse, le disparità sono destinate a ridursi in modo spontaneo. «È nell’interesse di ogni azienda avere delle donne nel Cda. Non c’è bisogno di forzarle».

Azioni in crescita grazie alle donne

I vantaggi della presenza femminile nelle alte sfere di un’azienda sono stati evidenziati in un recente rapporto del Credit Suisse Research Institute. Stando alla banca elvetica, le azioni delle aziende che contano almeno una donna nel Cda hanno registrato, negli ultimi sei anni, una performance del 26% superiore a quelle di società che al contrario sono dirette da soli uomini.

Tuttavia, in Svizzera manca ancora la volontà politica per introdurre quote femminili tra i top manager. L’anno scorso, la Camera del Popolo (camera bassa del parlamento) ha nettamente respinto – con 102 voti contro 57 – una mozione che andava in questa direzione.

La lotta però continua, perlomeno a livello locale. Christine Thommen, politica di Sciaffusa, ha recentemente presentato una proposta per fissare al 35% la proporzione minima di donne nell’amministrazione pubblica della sua città.

«Non credo che si tratti della soluzione ideale», ci dice l’esponente del Partito liberale radicale (centro-destra). «Ma ritengo che sia il momento di agire, visto che non si è mosso nulla. L’esistenza di donne qualificate non è una novità, ma agli alti piani dirigenziali non è cambiato niente», spiega Thommen.

In questo modo non si rischia però di rovinare l’immagine delle donne, creando la falsa impressione che sono nominate senza merito? «Succede sempre così quando si ottiene una promozione. Già oggi si ha tendenza a pensare che si viene nominati soltanto perché si è una donna», annota Thommen.

Misure a favore delle famiglie

Secondo Heliane Canepa, il modello delle quote femminili è soltanto una soluzione temporanea, in attesa che la parità tra i sessi diventi un fatto acquisito. «Attualmente soltanto le “super donne” riescono a imporsi. Ma questa situazione va cambiata affinché tutte le donne abbiano la possibilità di avere successo».

Le top manager che caldeggiano l’idea delle quote rosa sono state per anni minoritarie, ma ora qualcosa sta cambiando, osserva Virginie Carniel dell’associazione Business and Professional Women, che riunisce donne attive professionalmente in posizioni di responsabilità. «Sempre più donne si dicono favorevoli alle quote», dice a swissinfo.ch.

Stando ad alcuni specialisti di assunzioni, le donne che ambiscono a una promozione non sono però numerose. Sebbene rappresentino un’ampia fetta della forza lavoro in Svizzera, le donne hanno infatti tendenza ad interrompere la loro carriera professionale e a lavorare a tempo parziale, spesso per ragioni famigliari.

Nella Confederazione, le donne che lavorano a tempo parziale sono il 57,8%, contro il 13,6% di uomini, indica l’Ufficio federale di statistica. Diverse scuole continuano poi a prevedere una pausa pranzo di due ore, durante la quale i bambini devono rientrare a casa. Una situazione che non facilita la vita dei genitori che lavorano.

Sono questi gli aspetti che vanno cambiati, sottolinea Meinrad Vetter. «Le aziende devono promuovere misure pratiche a favore delle famiglie, offrire un servizio per accudire i bambini e offrire possibilità per lavorare da casa o in modo flessibile». «È questa la discussione che va intavolata – insiste – non quella sulle quote fisse».

Nel mese di novembre la Commissione europea ha adottato una direttiva che stabilisce un obiettivo minimo del 40% di persone del sesso sotto-rappresentato tra i membri senza incarichi esecutivi dei consigli di amministrazione (Cda).

Il provvedimento, che deve ancora essere adottato dai paesi membri dell’Unione europea e dal Parlamento europeo, concerne le aziende quotate con oltre 250 dipendenti.

Attualmente, la percentuale di donne tra i top manager di queste società non supera il 15%, secondo la Commissione europea.

Il progetto, il primo nel suo genere nell’Ue, non fa l’unanimità. Le due principali economie del continente, la Gran Bretagna e la Germania, si oppongono all’introduzione di quote obbligatorie da parte di Bruxelles.

La Norvegia, che non fa parte dell’Ue, ha imposto una quota del 40% per i Cda non esecutivi nel 2003. L’obiettivo è stato raggiunto nel 2009. Le aziende che non raggiungono tale soglia rischiano la liquidazione.

Nel 2011, l’Università George Washington e l’ambasciata degli Stati Uniti in Svizzera hanno condotto uno studio su 1’100 persone che hanno lavorato nella Confederazione.

L’85% dei partecipanti erano donne, mentre il 70% possedeva un diploma bachelor.

L’89% degli uomini e il 54% delle donne respingono l’idea di introdurre un sistema di quote nei consigli di amministrazione.

In Svizzera, le donne hanno difficoltà ad accedere ad alte posizioni dirigenziali, ritiene il 73% delle donne intervistate (una considerazione rifiutata invece dal 61% degli uomini).

Nove donne su dieci e due uomini su tre pensano che il fatto di avere dei bambini sia un ostacolo alla carriera di una donna.

L’86% ritiene che gli orari scolastici debbano essere adeguati alle esigenze dei genitori che lavorano.

Traduzione e adattamento dall’inglese di Luigi Jorio

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