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Domenico Fontana, ingegnere del regno

Soldati borbonici feriti riuniti sulla piazza davanti a Palazzo Reale il 9 settembre 1849, in attesa di ricevere la benedizione di Papa Pio IX AFP

Palazzo Reale è tra le opere architettoniche più prestigiose e più belle di Napoli. A progettarlo fu l’architetto ticinese Domenico Fontana, che dopo aver lasciato la sua impronta a Roma entrò al servizio del viceré spagnolo nel 1592.

Dominicus Fontana Patritius Romanus Eques Auratus Comes Palatinus Inventor. Lo smog e i graffiti non sono ancora riusciti a cancellare la firma dell’architetto ticinese che, corredata dai suoi titoli di patrizio romano, cavaliere dell’Ordine dello Sperone d’Oro, paladino e inventore, è ancora visibile sulla base di due colonne di marmo nei pressi dell’ingresso di Palazzo Reale.

Nato a Melide nel 1543, dopo aver imparato il mestiere di stuccatore Fontana si trasferì a Roma verso il 1563, sulle orme del fratello maggiore Giovanni, già affermato ingegnere idraulico.

Un obelisco per l’eternità

Nella Città eterna, strinse dei legami col cardinale Felice Peretti, il futuro Papa Sisto V, che lo prese al suo servizio. Tra i primi incarichi gli affidò la progettazione di Villa Peretti.

La carriera di Domenico Fontana decollò verticalmente pochi anni dopo, quando nel 1585 Peretti fu elevato al soglio di San Pietro. Papa Sisto V domandò al ticinese, nominato architetto papale, di ridisegnare il piano regolatore della capitale. Riassumere in poche righe gli innumerevoli progetti che Fontana avviò e portò a termine a Roma è semplicemente impossibile. Tra le realizzazioni che più impressionarono i suoi contemporanei va sicuramente menzionato l’innalzamento dell’obelisco Vaticano in Piazza San Pietro, vera e propria prodezza ingegneristica per l’epoca.

Con la scomparsa di Sisto V nel 1590, Fontana perse il suo principale appoggio e dovette lasciare Roma due anni più tardi, perché accusato di essersi appropriato di soldi pubblici.

Ingegnere maggiore del regno

Fu così che Fontana giunse a Napoli nel 1592. La sua reputazione era tale che fu subito nominato architetto regio e ingegnere maggiore del regno dall’allora viceré spagnolo Giovanni di Zunica conte di Miranda.

Incaricato di «cambiare il volto di Napoli», come ricorda Leros Pittoni in Napoli Regia di Domenico Fontana (2005), il ticinese tracciò le vie di Chiaia e di Santa Lucia, si occupò della sistemazione dei porti di Bari e di Napoli, eresse la fontana Medina, il palazzo Carafa della Spina, progettò la cupola della Basilica della Santissima Annunziata Maggiore, l’Eremo di Camaldoli…

La sua opera più importante fu però soprattutto la costruzione di Palazzo Reale, «uno dei maggiori palagi che siano stati cominciati da molti anni in qua in Italia», come scrisse il Fontana.

Seconda città dell’impero

I lavori iniziarono nel 1600. Il palazzo avrebbe dovuto ospitare Filippo III di Spagna (che però non giunse mai a Napoli) e dare alla seconda città dell’Impero spagnolo un’aura degna di una grande città europea.

Fontana morì nel giugno 1607 e non riuscì a veder completato l’edificio, anche perché dopo la nomina a viceré nel 1603 di Juan Alfonso Pimentel d’Errera i lavori furono rallentati. Molte parti di Palazzo Reale sono però opera sua, come il cortile d’onore, la Cappella Reale, finita nel 1646, e il teatrino di corte, già contemplati nel progetto iniziale. Ma è soprattutto di Fontana la splendida facciata, lunga 169 metri, che conserva tuttora le forme originarie, ad eccezione del portico, dove nella seconda metà del Settecento Luigi Vanvitelli chiuse i varchi per rendere più solido il Palazzo e creò delle arcate chiuse a nicchie. Nicchie che oggi ospitano le statue dei sovrani di Napoli, da Ruggero il Normanno a Vittorio Emanuele II.

«Fontana è stato sicuramente il primo a portare a Napoli lo stile tardo rinascimentale romano», spiega Annalisa Porzio, storica dell’arte della Soprintendenza per i Beni architettonici per Napoli e Provincia, mostrando la facciata che si innalza su tre livelli di ordine classico.

Architetto e urbanista

Edificato sul terreno occupato dai giardini del palazzo vicereale, la nuova reggia era situata in una zona strategicamente importante, vicino al mare e all’imponente fortezza del Maschio Angioino.

Oltre che da considerazioni strategiche, la scelta del luogo fu dettata anche da altre ragioni, che confermano la modernità di questo architetto, attento a concepire «le sue opere come parte integrante del contesto urbanistico», come scrive Leros Pittoni. Il palazzo permise infatti di dare una spinta nuova allo sviluppo di Napoli, «aprendo la città ad ovest», verso le zone di Pizzofalcone e Chiaia. Per rendersene conto basta osservare l’ubicazione dell’entrata principale, che volta le spalle alla parte più antica della città e si apre sul vasto spiazzo dove oggi sorge Piazza del Plebiscito, che all’epoca poteva essere utilizzato per accogliere i sudditi e organizzare le feste importanti.

Una piazza sulla quale, forse, Fontana non avrebbe mancato di erigere uno dei suoi amati monoliti. Ma il ticinese si può comunque consolare col piccolo obelisco deposto vicino alla sua tomba, nella chiesa di Sant’Anna dei Lombardi, a qualche centinaio di metri da Palazzo Reale. In memoria di un glorioso e prolifico passato.

Due secoli dopo Domenico Fontana, un altro ticinese fu incaricato di costruire la monumentale chiesa di San Francesco di Paolo, che si trova proprio di fronte a Palazzo Reale.

Pietro Bianchi, nato a Lugano nel 1787 e morto a Napoli nel 1849, vinse infatti il concorso per la progettazione e il cantiere della chiesa, voluta da Ferdinando I di Borbone in adempimento di un voto fatto per il ritorno sul trono, dopo l’età napoleonica.

La chiesa, che ricorda il Pantheon di Roma per la sua forma circolare, fu ultimata nel 1824 e inaugurata nel 1836 da Papa Gregorio XVI, che le conferì il titolo di basilica.

Il flusso migratorio di maestranze dalla Svizzera, principalmente dal Ticino, verso le grandi città europee ed italiane in particolare ha origini antiche. Tracce della presenza di maestri ticinesi (architetti, capomastri, scultori, muratori, scalpellini…) si ritrovano ad esempio già nell’XI secolo a Roma e Genova.

L’origine delle competenze tecnico-costruttive di questa manodopera non è chiara. Trattandosi di emigrazione in buona parte temporanea, è stato possibile tramandare le conoscenze di generazioni in generazione. Inoltre nel corso degli anni si è sviluppata una rete molto fitta di punti di contatto e di botteghe in tutta Italia e in tutta Europa.

Nel corso del Cinquecento a Roma, muratori, scalpellini e architetti ticinesi – tra cui i Fontana, i Maderno e i Castelli – trasformarono il mestiere del costruttore in un’attività imprenditoriale dalle caratteristiche moderne, poiché avevano l’obiettivo di perseguire dei profitti investendo e costruendo immobili da vendere sul mercato.

Spesso queste maestranze entravano a far parte di «Compagnie», vere e proprie imprese che, grazie alla disponibilità di capitali, appaltavano i lavori assicurandosi l’onere del rispetto delle condizioni contrattuali. Questo sistema permetteva ai nuovi arrivati dal Ticino di entrare a far parte di un sistema già collaudato e di inserirsi nella comunità. Essendo quello dell’edilizia un settore molto dinamico, non era raro che uno scalpellino scalasse velocemente tutta la gerarchia, diventando architetto.

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