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Quei milioni che in Italia tardano ad arrivare

Oltre 180 milioni di franchi alla Francia, più di 40 alla Germania. Sono le somme che nel 2017 la Svizzera ha versato per i frontalieri rimasti in disoccupazione. E all’Italia? Appena 450’000 franchi. Perché un tale divario?

Cartello Corsia frontalieri inagibile, dogana sulla sfondo.
La Svizzera attualmente rimborsa al paese di residenza del lavoratore frontaliere disoccupato una somma che varia dai 3 ai 5 mesi di indennità per lavoratore Keystone

La disoccupazione versata ai frontalieri ha ricominciato a far discutere con la recente decisione dei ministri del lavoro europei di far pagare le indennità al paese dove i lavoratori hanno versato i contributi e non più al paese di residenza.  

La Svizzera conta molto sulla manodopera di oltreconfine e un simile cambiamento rischierebbe di costarle centinaia di milioni di franchi in più.
  
Attualmente la Svizzera rimborsa al paese di residenza del lavoratore frontaliere disoccupato una somma che varia dai 3 ai 5 mesi di indennità per lavoratore, a seconda della durata del periodo di attività su territorio elvetico. 
 
Il rimborso è calcolato sulla base delle leggi sulla sicurezza sociale del paese di residenza e in Italia il tetto massimo mensile delle indennità è di circa 1’300 euro. Sono tariffe molto inferiori a quelle a cui la Svizzera dovrebbe far fronte  se le indennità fossero calcolate sulla base delle regole elvetiche.

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Cartello sui frontalieri alla frontiera franco svizzera

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Svizzera, la disoccupazione dei frontalieri rischia di costar caro

Questo contenuto è stato pubblicato al Gli Stati membri dell’Unione europea hanno raggiunto giovedì un accordo provvisorio Collegamento esternoche intende cambiare le regole per la disoccupazione dei lavoratori frontalieri. Modifiche che se entrassero in vigore rischierebbero di costare caro alla Svizzera.  Attualmente i residenti dell’Unione Europea che lavorano in Svizzera con un permesso G per frontalieri, in caso di disoccupazione parziale ricevono un’indennità…

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Le cifre rimborsate attualmente sono comunque ogni anno dell’ordine di qualche centinaio di milioni di franchi verso i tre paesi nei quali risiede la maggior parte dei frontalieri: Francia, Germania e Italia. 

La Segreteria di Stato dell’economiaCollegamento esterno elvetica (Seco) ha comunicato a tvsvizzera.it che nel 2017 il numero di richieste per singole persone provenienti dalla Francia sono state 16’174 e la somma versata 186,6 milioni. In Germania, invece, i casi sono stati 3’955 il denaro rimborsato 40,8 milioni. 

In Italia, sebbene il numero di casi sia di solo due unità inferiore a quello tedesco, 3’953, la somma rimborsata lo scorso anno è stata di appena 450’000 franchi.

Eppure, nel 2015 i milioni provenienti dalla Svizzera e finiti nelle casse dell’Istituto nazionale di previdenza sociale italiano (Inps) erano stati 13,7, per un numero di casi paragonabile.

Perché dunque nel 2017 è stato versato così poco?

Errori formali e lentezza amministrativa

In un primo momento la Seco ci ha comunicato che il motivo sono numerosi “errori formali” nelle richieste arrivate dall’Italia. Ha poi aggiunto che a giocare un ruolo sono anche i tempi molto lunghi che intercorrono tra il versamento dell’indennità al frontaliere e il rimborso allo Stato di residenza. 

Secondo le regole europee, dall’ultima indennità versata l’Italia ha tempo fino alla fine del semestre successivo per presentare la richiesta di rimborso alla Svizzera. Quest’ultima ha poi 18 mesi per effettuare il pagamento o per rispedire al mittente le richieste incomplete.

“Di conseguenza, le fatture per il 2017 non sono ancora state controllate definitivamente dalla Svizzera e non sono stati ancora effettuati pagamenti per il 2017”, ha indicato la Seco. Vi è però anche un’altra ragione che spiega l’esigua somma versata lo scorso anno, gli “errori formali” precedentemente nominati, per la precisione l’assenza di un numero di riferimento sui formulari di richiesta di rimborso.

La Seco ha precisato che questo numero di riferimento può essere completato solo da parte italiana. Nel 2015, l’Italia ha chiesto alla Svizzera di rispedire tutte le richieste di rimborso che presentavano un numero di riferimento incompleto. 

Questo, è immaginabile, ha provocato ulteriori ritardi al punto che la Seco all’inizio di luglio di quest’anno, non ha potuto indicarci quanto è stato versato nel 2016. 

Questioni burocratiche, insomma, che non hanno per fortuna conseguenze sui diretti interessati, i frontalieri disoccupati. “L’ente erogatore Inps versa i contributi dal momento in cui ha accettato la richiesta del disoccupato. Che l’altro Stato abbia effettuato o meno il rimborso non ha nessun impatto”, ci spiega il segretario generale dell’Unione italiana lavoratori frontalieri (Uil) Pancrazio Raimondo.

Quest’ultimo non è sorpreso dalla lentezza delle procedure. I dossier riguardanti ogni persona che si registra come disoccupato in Italia vengono inviati dalle sedi territoriali dell’Inps a quella centrale a Roma (responsabile per le eventuali richieste di rimborso nei confronti di Stati terzi) solo una volta ogni sei mesi. 

Verso una battaglia politica

Se in futuro sarà il paese dove il frontaliere ha versato i contributi a farsi carico anche delle indennità di disoccupazione, queste lunghe procedure burocratiche e tira-e-molla amministrativi probabilmente non esisteranno più. 

Ma l’introduzione delle nuove normative Ue in Svizzera è tutt’altro che scontata e la battaglia politica rischia di essere particolarmente accesa. 

Adattarsi sarebbe però giusto, secondo Raimondo. Nell’ambito delle assicurazioni sociali, la disoccupazione dei frontalieri resta un’eccezione a livello europeo, proprio perché a farsi carico del pagamento delle indennità non è (ancora) il paese in cui una persona ha versato i contributi.

In più, dal momento in cui una persona si ritrova confrontata a due entità amministrative diverse che faticano a comunicare tra loro (spesso a causa di procedure diverse), il rischio che sorgano problemi aumenta. 

“Uno dei grandi guai che porta a una negazione dei diritti”, dice Raimondo” è la mancanza di coordinamento amministrativo tra gli Stati, non la mancanza di norme”.  

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