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Suicidio assistito e cure palliative per affrontare la morte

La morte è solitamente provocata da una dose letale di barbiturici prescritta da un medico. Keystone

Mentre il numero di persone ad aver fatto ricorso al suicidio assistito è aumentato del 60% negli ultimi cinque anni, le autorità intendono promuovere le cure palliative. Un altro modo per far fronte alla fine dell’esistenza con meno sofferenza.

Le due principali organizzazioni svizzere di assistenza al suicidio, Exit e Dignitas, hanno permesso a 560 persone di porre fine ai loro giorni nel 2011. Una cifra che equivale a un terzo di tutti i suicidi in Svizzera.

Il diritto alla morte è sostenuto da gran parte della popolazione elvetica. Sussistono tuttavia divergenze sulle modalità dell’assistenza al suicidio, come ha evidenziato la votazione nel canton Vaud sul diritto di morire negli istituti medico sociali (17 giugno 2012).

I cittadini del cantone romando hanno respinto l’iniziativa di Exit che chiedeva di obbligare tali strutture ad accettare al loro interno l’assistenza al suicidio. Hanno però accolto una proposta più moderata, avanzata dalle autorità locali, che autorizza la pratica nelle case per anziani e negli ospedali unicamente se la persona soffre di una malattia o di una lesione incurabile.

A parte questa clausola, le sole condizioni imposte dalla legislazione svizzera sono sostanzialmente due: il paziente deve compiere lui stesso l’atto e gli assistenti che lo accompagnano non devono essere motivati da interessi personali.

Suicidio o palliativi?

Andreas Weber, medico specializzato nelle cure palliative che ogni anno segue 300 malati terminali, conosce bene i desideri e i bisogni dei suoi pazienti. Le persone che manifestano l’intenzione di morire in modo assistito sono una ventina, rileva Weber. Soltanto una o due vanno però fino in fondo.

«Le ragioni principali sono la paura di soffrire e il timore di diventare un peso per i famigliari o di finire in un istituto medico sociale», ha detto Weber durante un congresso organizzato recentemente a Zurigo dalla Federazione mondiale delle associazioni per il diritto a morire con dignità.

Queste persone, ha spiegato il medico, sono confrontate a un dilemma: non vogliono fissare la data del suicidio troppo in là perché temono di soffrire, ma non vogliono neppure prevederla troppo presto e rinunciare a preziosi istanti di vita.

«Abbiamo notato che di fronte a questi timori l’intenzione di suicidarsi sfuma», ha osservato Weber. Il suo servizio di cure palliative a Zurigo mette a disposizione antidolorifici fino all’ultimo istante di vita oppure sedativi nel caso di difficoltà respiratorie. Per i moribondi è prevista un’assistenza a domicilio 24 ore su 24.

Il ruolo delle cure palliative è stato enfatizzato anche dalla ministra di giustizia Simonetta Sommaruga. Intervenendo al congresso, Sommaruga ha promesso di promuoverne la diffusione in tutto il paese.

Le persone in fase terminale possono decidere tra suicidio assistito e cure palliative, ha spiegato la ministra. «Al momento di fare la scelta è importante sapere che ci sono queste due possibilità».

Una generalista presente in sala ha però fatto notare che nessuno dei suoi colleghi è preparato per gestire tale problematica. Bisognerebbe introdurre una formazione obbligatoria nel campo delle cure palliative, ha detto.

Nessun limite all’autodeterminazione

Andreas Brunner, procuratore pubblico del canton Zurigo, ha seguito diversi casi giudiziari legati al suicidio assistito. La sua impressione è che negli ultimi anni l’assistenza è stata proposta a un pubblico sempre più ampio.

«All’inizio si diceva che il suicidio assistito si rivolgeva ai malati terminali. Poi è stato esteso anche alle persone molto malate e sottoposte a estrema sofferenza», ha spiegato.

In seguito, ha aggiunto Brunner, si è parlato degli anziani che soffrivano a causa della vecchiaia e/o dei dolori. E ora ci si rivolge pure alle persone sane. Secondo il procuratore vi sono in Svizzera lacune legislative che concedono un certo spazio di manovra alle organizzazioni di assistenza al suicidio.

In particolare, ha sottolineato Brunner, mancano disposizioni per la selezione, la formazione o la sorveglianza del personale di assistenza. «Le organizzazioni non hanno l’obbligo di agire senza scopi di lucro e non sono sottoposte a obblighi contabili: Non sono neppure tenute ad avere un registro con tutti i casi seguiti».

«Non sto dicendo che le organizzazioni non lo stiano facendo – ha puntualizzato – ma semplicemente che questi criteri vanno formulati in una legge».

Nel giugno 2011 il governo ha esaminato tutte le proposte, ha spiegato Simonetta Sommaruga. «È però giunto alla conclusione che la legislazione attuale basta per prevenire gli abusi»

Imporre condizioni per il suicidio assistito vorrebbe dire limitare il diritto all’autodeterminazione, ha affermato la consigliera federale. «E questo il governo non lo vuole».

Fai da te

Poco distante dall’hotel che ha ospitato il congresso, in una sala affittata all’interno di una scuola di lingue, alcuni esponenti del movimento pro-life e anti eutanasia hanno tenuto una contro-conferenza.

Alex Schadenberg, del Consiglio di prevenzione dell’eutanasia, intravvede un problema di fondo nell’operato delle organizzazioni di assistenza al suicidio.

«Sono coinvolte direttamente e intenzionalmente nella morte di altre persone. Forniscono loro i mezzi e magari le consigliano pure. Si perde così la distanza necessaria per proteggere le persone», afferma a swissinfo.ch.

Di ritorno al congresso, il controverso medico australiano Philip Nitschke, autore di The Peaceful Pill (La pillola della pace), ha difeso davanti alla platea quella che lui definisce l’opzione “Do-it-yourself”. «Lasciamo perdere gli aspetti medici e legali e diamo alla persona le informazioni e la tecnologia per porre fine ai suoi giorni, se è questo ciò che desidera».

La legge svizzera autorizza il suicidio assistito solamente se l’atto è commesso dalla persona stessa e se coloro che la assistono non agiscono per interessi personali. Questa pratica è consentita dagli anni Quaranta.

La morte è solitamente causata da una dose letale di barbiturici

prescritta da un medico. È il paziente che deve assumerli per via orale, intravenosa o tramite una sonda gastrica.

Nel 2006 il Tribunale federale, la massima istanza giudiziaria della Svizzera, ha stabilito che tutte le persone capaci di discernimento hanno il diritto di decidere come morire, anche se soffrono di malattie mentali.

Nel giugno 2011 il governo ha esaminato diverse opzioni per regolamentare l’assistenza al suicidio. La sua conclusione:

non sono necessarie modifiche legislative, ma vanno promosse le cure palliative e la prevenzione al suicidio.

Exit e Dignitas sono le due principali organizzazioni in Svizzera che praticano l’assistenza al suicidio.

Ogni cantone ha un approccio specifico nei confronti dell’assistenza al suicidio.

Nel giugno 2012, Vaud è diventato il primo cantone a introdurre una legge per regolamentare e limitare l’accesso al suicidio assistito negli ospedali e nelle case di riposo.

Il 62% dei votanti ha accettato la proposta governativa secondo cui la pratica è autorizzata soltanto per i pazienti che soffrono di un’infermità grave e incurabile.

Spetta inoltre al medico responsabile dell’istituto verificare che l’ammalato sia capace di discernimento, di concerto con il personale o il medico curante e con i famigliari.

Per l’organizzazione Exit, quest’ingerenza medica è una «violazione inaccettabile della libertà individuale e una forma di paternalismo istituzionale».

Traduzione dall’inglese di Luigi Jorio

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