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La folla, il motivatore digitale e il suo cellulare

Rougy with mic and mobile phone addressing people outside parliament
Dimitri Rougy parla ai presenti durante la cerimonia di consegna delle firme alla Cancelleria federale per il referendum contro la legge sulla sorveglianza di beneficiari di assicurazioni sociali il 5 luglio 2018 a Berna. Keystone

La sua causa sembrava persa in partenza. Eppure, assieme ad altri tre cittadini Dimitri Rougy è riuscito a mobilitare più di 50'000 persone contro le nuove misure di sorveglianza dei beneficiari delle assicurazioni sociali. E questo senza il sostegno ufficiale di un partito. La usa arma politica? Un DNA digitale e una buona dialettica.

Inutile dire che l’attivista digitale mostra fin da subito il suo cellulare, che appoggio sul tavolo del bar dove ci incontriamo, non lontano da Piazza federale a Berna. Sempre raggiungibile, le sue dita fremono forse per scrivere un Tweet, mandare una foto o rispondere a una chiamata? In modo cortese, si scusa per il ritardo. Ha perso il treno e la colpa è soltanto sua, dice.

La fama di Dimitri Rougy è salita a picco da quando, assieme ad altri tre cittadini, ha deciso di opporsi alla revisione della legge sulla sorveglianza dei beneficiari delle assicurazioni sociali, approvata dal parlamento in marzo, che consente tra l’altro di far ricorso a detective privati e registrazioni audio per scovare eventuali abusi. Per raccogliere le 50’000 firme necessarie per sottoporre la riforma a votazione popolare, i quattro hanno adottato una nuova strategia di campagna, attraverso in particolare l’uso della piattaforma di crowfunding WeCollect e dei social.

Tutto è partito con un semplice Tweet, pubblicato in marzo, e in soli due mesi i promotori del referendum hanno raggiunto l’obiettivo, conquistando il sostegno della società civile, dei sindacati e perfino dei partiti politici di sinistra, inizialmente riluttanti.

Dimitri Rougy afferma di doversi ancora abituare all’attenzione mediatica e alle fotografie sulla stampa. “Sono sempre me stesso e non lascerò che nulla s’interponga tra me e le miei convinzioni più profonde”. A 21 anni ha già maturato una notevole esperienza a livello politico, soprattutto locale, e con i mezzi di comunicazione. In modo scherzoso passa da un linguaggio tecnico e all’autoironia, professando di voler restare fedele a sé stesso. “È fondamentale essere autentici per mantenere un contatto ravvicinato coi nostri sostenitori, che incontro nel mondo digitale”.

Dimitri Rougy predilige i live-stream e le interazioni online, possibili a qualsiasi ora della giornata. “Le frasi studiate e gli slogan politici mi annoiano a morte”, afferma. Ma in alcune risposte, anche lui scivola nel gergo del marketing socio-politico. O si sta forse burlando?

“All’inizio vi era la motivazione intrinseca di creare un mondo migliore”, spiega quando gli chiediamo cosa lo abbia spinto a diventare un attivista politico. Oppure: “Mi piace mobilitare le persone”.

“Le frasi studiate e gli slogan politici mi annoiano a morte”
Dimitri Rougy

Mobilitare i cittadini

Cercando di tracciare il profilo di Dimitri Rougy, ci accordiamo sul termine motivatore o “influencer” politico. Il titolo scelto in un articolo del giornale svizzero-tedesco Tages-Anzeiger, “La folla e il suo generaleCollegamento esterno” gli fa storcere il naso.

Il suo interesse per la politica risale alla prima adolescenza. Da oltre dieci anni siede nel parlamento della città di Interlaken, nel canton Berna, per il Partito socialista e si è fatto conoscere come co-organizzatore di un’assemblea dei giovani, che ha permesso di dar voce alle nuove generazioni nella politica locale.

“All’inizio era semplicemente un’attività di volontariato. Ma ambivo a molto di più di una carriera classica, caratterizzata dallo studio di documenti all’interno di un partito e di un parlamento”.

Nel 2016 si iscrive a un corso accelerato di una settimana in “campaign Bootcamp”, organizzato da un gruppo di attivisti di ONG. “Ci hanno insegnato gli strumenti di base per condurre una campagna. Nozioni teoriche e formazione pratica, ascolto attivo e discussioni sulle campagne politiche con persone impegnate in questo campo”. I partecipanti applicano le conoscenze acquisite in materia di pianificazione strategica e tattica, comunicazione, raccolta fondi e lobbying, creando una piccola campagna.

Ma cosa hanno imparato da questa esperienza? “È fondamentale fissare un obiettivo chiaro e rimanere concentrati su di esso. Il resto poi segue in modo quasi automatico”, spiega Dimitri Rougy, per poi ridacchiare, come capita spesso durante il nostro incontro.

Strategia digitale

Malgrado la sua giovane età, Dimitri Rougy ha analizzato da vicino le diverse forme di campagna ed enumera un piccolo catalogo di differenze tra le strategie tradizionali e quelle più moderne. “Punto numero uno: noi non abbiamo una sede centrale, ma possiamo lavorare da casa o in bar. Abbiamo collaboratori ovunque. Ci incontriamo nello spazio digitale, in linea di principio 24 ore su 24. I nostri orari d’ufficio sono sempre e mai”, afferma.

Dimitri Rougy cita poi altre due differenze sostanziali: “Noi non siamo gli attori principali di una campagna, lasciamo che sia la folla a fare il lavoro”. Ai sostenitori vengono forniti gli strumenti, un manuale su come utilizzarli e in caso di bisogno consigli personalizzati. “In questo modo possono diventare loro stessi degli attivisti”.

È qui che entrano in gioco i moderni strumenti di comunicazione. “Il nostro DNA è digitale. Usiamo tutti i tipi di social media per migliorare la cooperazione”. Internet è uno spazio di lavoro ed è necessaria una buona comprensione delle reali preoccupazioni della gente per lanciare una campagna di successo. “I social consentono di contattare centinaia di migliaia di persone in Svizzera in pochi secondi. È la grande risorsa di internet a favore della democrazia”.

Dimitri Rougy ammette però che lo spazio digitale non è poi molto diverso da quello analogico, a parte il fatto che “non sempre si riesce a vedere la persona con la quale si parla e la risposta non è così immediata”.

Nel suo ruolo di attivista, Dimitri Rougy usa Facebook, Instagram e Flickr, così come le più classiche newsletter e email. Su TwitterCollegamento esterno ha più di 1’100 follower e il giorno del nostro incontro ha pubblicato una decina di commenti. Cifre sostanziali, ma non fuori dal comune.

Imparare in fretta

Secondo Rougy, la generazione dei Millenials alla quale appartiene è probabilmente più avvezza all’uso degli strumenti digitali, perché è cresciuta con essi. Ma ha ancora molto da imparare e deve sforzarsi di seguire i costanti sviluppi della tecnologia.

“Questa mattina cercavo un modo per fare un piano di liquidità. Ieri non avevo nessuna idea di cosa fosse e oggi ho preparato un foglio enorme formato Excel per la pianificazione del personale e del budget”, spiega ridendo nuovamente.

La campagna per il referendum contro la legge sulla sorveglianza delle assicurazioni sociali prevede il coinvolgimento dei cittadini in tutte le fasi che precedono la votazione popolare, in programma nel mese di novembre. Ad esempio, dopo aver preparato un testo per l’opuscolo ufficiale di voto, Rougy ha inviato il progetto ai partecipanti alla campagna per un feedback.

Le “crowd campaigning” possono richiedere un certo tempo e non sempre possono contare su esperti remunerati per gestire tutti gli aspetti della campagna, afferma il giovane. Il fatto di essere pionieri in materia e di sbrigarsela senza l’aiuto di professionisti esterni potrebbe però anche rappresentare uno svantaggio. “In Svizzera non c’è nessuno a cui possiamo rivolgerci e nessun modello da seguire”, conclude.

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Campagna digitale: rivoluzione o pericolo?

Secondo il politologo Claude Longchamp questa nuova forma di campagna si concentra sulla mobilitazione popolare e sulle emozioni individuali. “La mobilitazione è la nuova parola chiave, non la formazione o il cambiamento di opinioni”, scrive su swissinfo.ch in una tribuna libera.

Citando esperti di marketing, Longchamp rileva un cambiamento radicale nella comunicazione politica. I comitati aggirano i canali mediatici tradizionali e si concentrano sui “moltiplicatori” o sui “citizen marketers”, cioè “cittadini operatori di mercato”.

Alcuni critici hanno espresso preoccupazione per il fatto che i partiti e le organizzazioni politiche stano ormai perdendo il loro ruolo nel processo politico e ciò potrebbe spianare la strada all’ingresso sulla scena politica di potenti lobby. Qualche dubbio a proposito, Dimitri Rougy? “No”, afferma. E dopo una lunga pausa, aggiunge: “Per niente”.

La Svizzera è una “democrazia pluralista. Le strutture di partiti e organizzazioni continuano a cambiare. Non sono gruppi come il nostro che stanno scavando la loro tomba. Devono assumersi le loro responsabilità, se non sono in grado di fare il loro lavoro come dovrebbero”.

Con altrettanta semplicità, Rougy respinge gli argomenti secondo cui le campagne digitali operano si muovono all’interno di una bolla formata soprattutto da giovani, senza però riuscire a raggiungere la stragrande maggioranza dei cittadini, più anziani e spesso considerati elettori più consapevoli e regolari.

Ammettendo indirettamente l’esistenza di un divario generazionale, Dimitri Rougy spiega che la campagna in vista del referendum avrà un duplice approccio. “Motiveremo le persone online ad agire offline. Vogliamo lanciare il maggior numero di conversazioni possibili, vogliamo che le persone parlino coi loro amici e famigliari”.

Dimitri Rougy è convinto che lo spazio digitale gli consenta di essere vicino ai suoi sostenitori e si impegna a restare fedele a sé stesso, ovunque lo porti la sua carriera professionale dopo il voto di novembre.

E che dire dello stereotipo del nativo digitale, le cui dita si muovono abilmente sul cellulare per scrivere messaggi, mentre parla coi giornalisti? No, oggi no… Non durante il nostro incontro di due ore. Ulteriori scuse non sono dunque necessarie.

Traduzione dall’inglese: Stefania Summermatter

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