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Difficile per i tunisini capire le lentezze svizzere

Dopo la caduta del presidente tunisino Zine Ben Ali, vengono rimossi anche i suoi ritratti AFP

La restituzione alle nuove autorità tunisine dei fondi saccheggiati dal clan Ben Ali, bloccati in tempo record dalla Svizzera, richiederà tempo. Secondo Enrico Monfrini, l'avvocato ginevrino che rappresenta Tunisi, il Ministero pubblico della Confederazione non è abbastanza veloce.

Le indagini del legale elvetico avevano consentito di recuperare gran parte dei fondi sottratti dal dittatore nigeriano Sani Abacha, morto nel 1998, e depositati in conti bancari all’estero, tra cui la Svizzera.

Lo scorso settembre, Enrico Monfrini ha ricevuto il mandato generale a livello mondiale di tutelare gli interessi della Repubblica della Tunisia per la restituzione dei fondi saccheggiati dall’ex dittatore tunisino e la sua cerchia.

Per ora, l’avvocato di Ginevra stima che quasi 300 tunisini sono coinvolti nel caso. Per quanto riguarda i fondi litigiosi, valuta che superino di gran lunga i 60 milioni di franchi inizialmente annunciati da Berna.

swissinfo.ch: L’avvento al potere di un governo eletto ha influenzato il suo mandato? Le nuove autorità sono più pressanti rispetto al precedente governo di transizione?

Enrico Monfrini: No, la domanda è stata insistente sin dall’inizio. L’esigenza della restituzione dei beni sottratti dal clan Ben Ali viene prima di tutto dal popolo tunisino. Quest’ultimo si era rallegrato all’annuncio trionfante della Svizzera quando le banche elvetiche avevano trovato 60 milioni di franchi appartenenti a membri del clan Ben Ali. Ora fatica a capire che occorra così tanto tempo per restituirli.

Le autorità svizzere e io stesso spieghiamo loro che il processo giudiziario in corso ha lo scopo di evitare dei dérapage. Non vorremmo che, per essere veloci, ci ritrovassimo di fronte a violazioni dei diritti fondamentali e ad una sentenza che non fosse equa.

swissinfo.ch: Il caso tunisino è particolare?

E. M.: Gli altri casi di cui mi sono occupato si sono svolti nell’ambito della vecchia legislazione. Dal 1° gennaio 2011, con l’entrata in vigore della nuova legge federale di diritto processuale penale, tutti i casi transfrontalieri sono automaticamente trasmessi al Ministero pubblico della Confederazione (MPC).

Ma attualmente l’MPC non è ancora dotato di personale con tutte le competenze necessarie contro i reati economici e la criminalità organizzata.

swissinfo.ch: L’MPC non è all’altezza del compito?

 

E. M.: Di certo è sovraccarico di lavoro e manca ancora di esperienza in questo tipo di casi. In novembre ho incontrato il rappresentante dell’MPC responsabile della pratica tunisina. Risultato: l’MPC mi ha immediatamente vietato l’accesso all’incartamento.

In nome del sacrosanto diritto dell’indagato di essere quasi consultato per sapere se lo Stato vittima ha il diritto di accedere al dossier o meno. Ciò allorché la nuova legge avrebbe dovuto, al contrario, semplificare la procedura e accelerare i dibattiti.

Ebbene, attualmente si sta facilitando la difesa dei grandi criminali. Si è arrivati allo stadio in cui il giudice istruttore (nominato procuratore nella nuova normativa) richiede in un certo senso l’autorizzazione della persona sotto inchiesta per incriminarla, lasciandogli così paralizzare la procedura o addirittura dirigerla. È kafkiano.

swissinfo.ch: Lei mette in discussione la nuova legislazione o l’MPC?

E. M.: La nuova legge non è sbagliata, poiché prevede l’accesso diretto all’incartamento per il querelante. Ma il procuratore cui è affidato il caso mi ha detto che “intendeva” dare lo statuto di querelante alla Tunisia, mentre ha l’obbligo di farlo.

Ciò ha aperto la porta ai ricorsi della parte avversaria, dandole tutto il tempo di preparare la difesa e di nascondere più astutamente i canali di riciclaggio utilizzati.

swissinfo.ch: In questo ambito, che ruolo svolge la piazza finanziaria elvetica?

E. M.: Storicamente, la Svizzera è una sorta di piattaforma di scambio. Molto spesso è la prima destinazione dei fondi sottratti. Ciò si spiega con il profilo paranoico del cleptocrate che teme in ogni momento di perdere il potere o la vita. Vuole avere i suoi fondi a portata di mano, perché il suo potere dipende dalla sua ricchezza.

Dirigenti come Ben Ali, Mubarak e compagnia hanno potuto rimanere al potere soltanto con i soldi. E questo, comprando le loro forze di sicurezza e i sostenitori politici.

Si parla molto di altre piazze finanziarie, come Singapore o Hong Kong, ma sono molto lontane per un potentato del Nord Africa e del Medio Oriente.

Finché ci sarà il segreto bancario, la Svizzera resterà attraente per questi cleptocrati. Ma c’è un declino di questo tipo di attività in Svizzera, perché le banche elvetiche si dimostrano sempre più sospettose.

swissinfo.ch: Nel caso della Tunisia, quali altre piazze finanziare sono coinvolte?

E. M.: Non posso rivelare le piste che intendo esplorare. Di certo il Canada è un posto apprezzato da alcuni membri dell’entourage di Ben Ali. Ci stiamo mettendo d’accordo con le autorità canadesi per poter passare all’azione.

Riteniamo inoltre che ci siano notevoli beni immobili in Francia. Un paese nel quale abbiamo lo stesso tipo di problema che in Svizzera: un solo giudice, tra l’altro eccellente, che dispone di un solo agente di polizia per condurre le indagini.

Da qui l’importanza della parte civile o querelante. Facciamo infatti lo stesso lavoro del giudice istruttore e possiamo fornirgli un aiuto prezioso.

Jeannette Balmer, portavoce del Ministero pubblico della Confederazione (MPC), risponde alle domande di swissinfo.ch. Spiega in particolare perché lo Stato tunisino non sia ancora riconosciuto come parte civile:

“Nell’ambito del procedimento penale e dell’esecuzione della rogatoria tunisina sono state bloccate diverse relazioni bancarie in Svizzera di persone vicine all’ex presidente Ben Ali.

Le autorità svizzere, tra cui l’MPC, collaborano strettamente ed efficacemente con gli omologhi coinvolti, al fine di procedere il più rapidamente possibile alla consegna dei fondi al popolo tunisino.

Data la complessità e l’importanza della materia, per il successo dei procedimenti avviati in Svizzera, è indispensabile una cooperazione coordinata ed è decisivo il contributo delle autorità tunisine.

La questione della accettazione dello Stato tunisino come querelante e quella dell’accesso al dossier sono attualmente oggetto di un ricorso pendente al Tribunale penale federale a Bellinzona. A quest’ultimo compete la decisione sul merito, che determinerà i futuri passi procedurali dell’MPC”.

(Traduzione dal francese: Sonia Fenazzi)

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