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Iniziative europea e svizzera “lontane parenti”

Raccogliere firme per iniziative popolari e referendum è prassi corrente in Svizzera, dove l'elettorato è chiamato alle urne in media 4 volte all'anno per decidere su leggi ed emendamenti costituzionali Christian Flierl

Sia in Svizzera sia nell'Unione europea i cittadini hanno il diritto di lanciare un'iniziativa per chiedere cambiamenti. La portata di questi due strumenti politici è indubbiamente diversa, ma entrambe le parti possono trarre insegnamenti l'una dall'altra, rileva Lorenz Langer, coautore di uno studio comparativo, intervistato da swissinfo.ch.

Ricercatore di diritto e di storia al Centro per la democrazia di Aarau (ZDA), Langer ha esaminato minuziosamente i due tipi di iniziativa insieme al collega dell’università di Innsbruck, in Austria, Andreas Th. Müller. L’analisi evidenzia molte differenze, ma anche alcune somiglianze tra l’iniziativa popolare elvetica e quella dei cittadini europei, la prima introdotta nel 1891, la seconda nell’aprile 2012.

Si potrebbe dire che sono “lontane parenti, piuttosto che sorelle”, sintetizza Lorenz Langer, sottolineando l’impatto nettamente diverso di questi due strumenti politici.

Un’iniziativa dei cittadini europei (ICE) invita la Commissione europea a proporre un atto legislativo in un ambito in cui l’UE ha la competenza di legiferare.

Per lanciare un’ICE, deve dapprima essere costituito un “comitato dei cittadini” composto di almeno 7 membri, residenti in almeno 7 stati membri diversi.

L’ICE deve quindi essere registrata sull’apposito sito internet. Una volta ricevuta la conferma di registrazione può iniziare la raccolta delle dichiarazioni di sostegno.

A decorrere da quel momento, i promotori hanno tempo un anno per raccogliere il sostegno di almeno un milione di cittadini europei iscritti nelle liste elettorali dei propri paesi, provenienti da almeno sette dei 28 stati membri.

È inoltre richiesto un minimo di firmatari in ciascuno di questi sette Stati membri, calcolato in base al totale dei loro elettori.

Per sostenere un’iniziativa, i cittadini dell’UE devono compilare un apposito modulo. In linea di principio questo è disponibile sia su Internet sia su carta. I requisiti formali sono regolati a livello nazionale.

Se un’ICE raccoglie le firme necessarie nei termini previsti, la Commissione europea deve esaminare il contenuto entro tre mesi dalla data in cui l’ha ricevuta.

La Commissione non ha tuttavia l’obbligodi proporre un atto legislativo. Il collegio dei commissari è semplicemente tenuto ad adottare una risposta formale in cui espone le motivazioni della decisione.

Se la Commissione decide di dare seguito a un’ICE, presenta una proposta al parlamento e al Consiglio UE. Se adottata, ha forza di legge.

swissinfo.ch: I cittadini dell’UE e gli svizzeri lanciano iniziative su tematiche analoghe?

Lorenz Langer: Gli argomenti che interessano ai cittadini sono molto simili. La differenza è la misura in cui queste preoccupazioni possono effettivamente essere portate avanti tramite una iniziativa.

Per fare un esempio: dopo il disastro nucleare nel 2011 a Fukushima, in Giappone, sono state lanciate iniziative per l’abbandono dell’energia atomica sia in Svizzera sia in paesi membri dell’UE.

In Svizzera è stato raccolto un numero sufficiente di firme per obbligare a sottoporre la proposta a votazione nazionale. Nell’UE, invece, il tentativo è stato stroncato sul nascere, perché la proposta non soddisfa i criteri per le iniziative stabiliti da Bruxelles.

Si è ritenuto che andasse oltre le competenze dell’UE, in quanto le questioni nucleari a livello europeo sono regolate in un trattato della Comunità europea dell’energia atomica.

Un altro esempio è un’iniziativa su un reddito minimo garantito. Anch’essa è stata dichiarata inammissibile, in quanto gli esperti hanno detto che non è una questione che può essere regolata a livello di UE.

Così i promotori dell’iniziativa hanno dovuto rilanciare la questione in un’altra versione, chiedendo di effettuare studi sulla fattibilità e l’uso del reddito di base, invece dell’introduzione diretta dell’indennità proposta.

c2d.ch

swissinfo.ch: Il suo studio ha identificato l’impatto politico come una delle principali differenze tra l’iniziativa svizzera e quella europea. Dove è più forte?

L. L.: Nell’UE potenzialmente potrebbe non accadere nulla anche quando un’iniziativa riesce a ottenere le firme necessarie. La partecipazione popolare finisce in quella fase. Legalmente la Commissione europea non ha l’obbligo di attuare la proposta: può modificarla o addirittura non intraprendere alcuna azione.

In Svizzera unicamente il parlamento può dichiarare un’iniziativa non valida e questo soltanto per motivi molto limitati. Ciò è successo solo quattro volte dopo l’introduzione dell’iniziativa popolare nel 1891.

Se i promotori raccolgono un numero di firme sufficienti e se successivamente vincono la votazione, il testo è ancorato nella costituzione. Tuttavia possono anche sorgere difficoltà, quando entra in gioco il rapporto tra il cambiamento proposto e dei principi costituzionali esistenti o degli obblighi internazionali. Lo dimostra la decisione della Corte suprema dello scorso ottobre di non applicare le condizioni di una iniziativa per l’espulsione automatica di stranieri autori di reati, che era stata approvata in votazione popolare.

L’iniziativa popolare svizzera è una proposta di emendamento della Costituzione federale: può trattarsi di un nuovo articolo oppure di una modifica o della soppressione di uno esistente.

I promotori devono raccogliere almeno centomila firme di elettori entro 18 mesi dal lancio affinché la proposta sia sottoposta a votazione popolare.

Se è formalmente riuscita, l’iniziativa è esaminata dal governo federale, che prende posizione e la trasmette al parlamento. Quest’ultimo ne dibatte e formula le sue raccomandazioni di voto all’indirizzo dell’elettorato.

Il parlamento può invalidare un’iniziativa popolare soltanto se essa viola il principio dell’unità della forma o della materia o disposizioni cogenti del diritto internazionale.

In linea di principio il parlamento deve decidere le raccomandazioni di voto entro trenta mesi dal deposito di un’iniziativa. Questo termine può essere prolungato al massimo per due volte di un anno, se il parlamento decide di elaborare un controprogetto.

Il governo deve sottoporla a votazione popolare al più tardi dieci mesi dopo il voto finale delle Camere federali.

Per essere approvata, un’iniziativa nella votazione popolare deve ottenere la doppia maggioranza di sì: del popolo e dei cantoni.

Dall’introduzione nel 1891 all’agosto 2013, solo 20 iniziative hanno ottenuto questa maggioranza. In totale ne sono state lanciate 420, delle quali 184 sono giunte al voto popolare. Le altre o non hanno raccolto il numero di firme sufficienti, o sono state ritirate oppure invalidate.

Al momento si stanno raccogliendo le firme per almeno 16 iniziative.

swissinfo.ch: Perché è piuttosto critico sul modo in cui la leadership dell’UE applica l’iniziativa dei cittadini?

L. L.: In base al trattato UE, la Commissione e il parlamento devono redigere e adottare un’ordinanza, rimpolpando i dettagli di un’iniziativa dei cittadini. Ma in quella fase del processo, quelle istituzioni si sono mostrate piuttosto scettiche sulla partecipazione dei cittadini.

I requisiti che hanno posto per le iniziative indicano che – per usare un eufemismo – non vi è una profonda fiducia nella partecipazione dei cittadini.

swissinfo.ch: Ciò nonostante la Svizzera ha qualcosa da imparare dal modo in cui l’UE utilizza questo strumento politico?

L. L.: La risposta istintiva della maggior parte degli svizzeri, naturalmente, è un secco no, poiché considera il proprio paese il campione indiscusso della democrazia…

Ma anche noi abbiamo dei problemi, quale il potenziale scontro tra la democrazia diretta e i diritti umani o il diritto internazionale, come ha dimostrato in particolare il caso dell’iniziativa per l’espulsione automatica degli stranieri che hanno commesso reati.

Questo conflitto è divenuto più evidente nel corso degli ultimi anni e si verificherà di nuovo con l’iniziativa per accelerare l’applicazione della suddetta espulsione automatica [la cosiddetta “iniziativa per l’attuazione”, Ndr.].

Non è veramente stato trovato un modo per bilanciare la democrazia diretta e gli standard internazionali. Attualmente sono al vaglio proposte di introdurre un esame preliminare, non vincolante, delle iniziative, o di invalidare iniziative che violano l’essenza dei diritti fondamentali.

Ma nessuno sembra essere entusiasta dell’essenza. È un termine che richiede ancora l’interpretazione da parte di esperti di diritto e dei tribunali. Le conseguenze pratiche, in ogni caso, rischiano di essere limitate. A mio avviso, la soluzione meno soddisfacente sarebbe se fossero i tribunali a dover decidere.

L’UE ha affrontato questo problema fin dall’inizio. Ha messo in chiaro che qualsiasi iniziativa che si scontra con i principi dell’Unione è eliminata. Questi valori fondamentali comprendono il rispetto della dignità umana, la libertà, la democrazia, la tutela dei diritti delle minoranze.

swissinfo.ch: Tornando appunto all’UE, cosa occorre fare per rendere più democratico il blocco di 28 nazioni?

L. L.: Potrebbe sembrare una contraddizione, ma nel contesto dell’iniziativa dei cittadini europei, più democrazia richiederebbe maggiori poteri per l’UE. Molte iniziative vengono invalidate perché la materia trattata non rientra nella competenza dell’Unione.

I promotori della democrazia diretta all’interno degli Stati membri dell’UE spesso tendono ad ignorare questo fatto.

La corte e il parlamento europei dovranno far pressione sulla Commissione affinché sia favorevole alle iniziative per avvcinare un po’ di più l’Unione ai cittadini.

swissinfo.ch: Quanto contano le iniziative per misurare il successo e il fallimento della democrazia diretta?

L. L.: È una domanda insidiosa. Dipende da molte cose. In primo luogo: cosa consente di raggiungere l’iniziativa e chi c’è dietro? C’è sempre il rischio che una democrazia plebiscitaria sia sfruttata dai politici. Quando per loro è conveniente reclamare un voto, se ne servono come strumento politico per ottenere legittimità democratica.

Per questa ragione, la democrazia diretta richiede una certa tradizione politica. I politici accettano che i votanti abbiano l’ultima parola, se scelgono la via delle urne.

Un altro problema sembra essere la specifica situazione geo-politica. La democrazia diretta è più facile da implementare in un piccolo paese come la Svizzera, con una società piuttosto compatta. A titolo di confronto, può essere difficile trovare tematiche rilevanti per l’intera UE.

(Traduzione dall’inglese: Sonia Fenazzi)

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