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Il popolo è il sovrano della Svizzera

Il primo passo della democrazia diretta è compiuto per le strade e le piazze: è lì che i promotori di iniziative e referendum raccolgono le firme necessarie per sottoporre i testi al voto popolare Keystone

Gli svizzeri sono “campioni delle urne”. Nella Confederazione infatti il popolo partecipa direttamente al processo decisionale politico. In media è chiamato a votare almeno quattro volte all’anno su numerosi temi, a tutti i livelli – comunale, cantonale e federale – e in tutti i settori.

La Svizzera non detiene l’esclusiva della democrazia diretta, ma è certamente il paese in cui essa è praticata nel modo più ampio e da più tempo. È infatti stata introdotta anche a livello nazionale, oltre che comunale e cantonale, sin dal XIX secolo e si è continuamente sviluppata.

Per la precisione, il sistema elvetico è misto, anche detto di democrazia semidiretta: vale a dire che la democrazia diretta affianca quella rappresentativa. Concretamente, il popolo elegge il parlamento federale a scadenze quadriennali. Inoltre vota circa ogni tre mesi su proposte di modifiche costituzionali e su leggi emanate dal parlamento. Alle elezioni e votazioni federali si aggiungono quelle cantonali e comunali, basate su un sistema più o meno analogo.

L’elevata frequenza delle votazioni popolari e i numerosi temi che esse comportano sono dovuti al fatto che il popolo detiene la sovranità delle decisioni politiche dello Stato: può esprimersi in ultima istanza su tutte le leggi e deve pronunciarsi su qualsiasi emendamento o revisione costituzionale. Lo fa tramite due strumenti: il referendum e l’iniziativa.

Fino al 1971 la Svizzera federale è stata una democrazia esclusivamente maschile, anche se a livello cantonale e comunale, le donne avevano ottenuto il diritto di voto e di eleggibilità già a partire dagli anni ’60. La Confederazione elvetica è stata uno degli ultimi paesi europei a concedere i diritti politici alle donne.

Oggi, nonostante che il suffragio universale sia stato acquisito, in media meno di una persona con diritto di voto su due partecipa realmente alle votazioni.

Un colpo al freno

In primo luogo c’è il referendum obbligatorio: vi è sottoposto qualsiasi cambiamento della Costituzione federale, sia che si tratti di una modifica, di uno stralcio o di un’aggiunta, da parte del parlamento. Affinché possa entrare in vigore, il cambiamento deve essere approvati in votazione federale, con la doppia maggioranza del popolo e dei cantoni.

E i casi di modifiche costituzionali non sono rari, poiché la Carta fondamentale dello stato in Svizzera contiene molte disposizioni suscettibili di cambiamenti piuttosto regolari. Un esempio fra tanti? L’imposta sul valore aggiunto (IVA).

Anche le proposte di adesione della Svizzera a strutture sovranazionali devono essere sottoposte al voto popolare e ottenere la doppia maggioranza.

Il referendum facoltativo può invece essere impugnato contro tutte le leggi o le modifiche legislative adottate dal parlamento. Esso dà la facoltà agli oppositori del testo in questione di farlo sottoporre a votazione popolare. Per riuscirvi devono raccogliere almeno 50mila firme di cittadini con diritto di voto e depositarle alla Cancelleria federale entro cento giorni dalla pubblicazione della legge contestata. Questa, per superare lo scoglio delle urne, basta che ottenga la maggioranza di sì dei votanti.

Dall’introduzione, nel 1891, dell’articolo che permette una revisione parziale della Costituzione federale tramite iniziativa popolare, fino al 9 giugno 2013, ne sono state lanciate 420.

Sulle 304 formalmente riuscite, sono state sottoposte a votazione federale 183 iniziative, mentre 4 sono state dichiarate nulle, 2 archiviate e 90 ritirate. Le rimanenti 25 sono pendenti: 3 sono pronte per essere poste in votazione, mentre le altre devono ancora concludere l’esame del governo e del parlamento.

Soltanto 20 iniziative sono state accolte dal popolo e dai Cantoni. La prima, nel 1893, era per il “Divieto della macellazione rituale” e aveva un carattere antisemita. L’ultima è quella “Contro le retribuzioni abusive”, approvata il 3 marzo 2013.

La proporzione di accettazione è nettamente aumentata in questi ultimi anni. Tra il 1891 e il 2003 ne erano state approvate 13, mentre dal 2004 alla fine del 2013 ne sono state avallate 7.

Quanto ai referendum facoltativi, dal 1848 alla fine del 2012, ne sono riusciti 170. In 76 casi i promotori hanno vinto, vale a dire che la legge contestata è stata bocciata dai votanti, mentre gli altri 94 testi sono stati avallati dai votanti.

Nello stesso periodo, sui 230 referendum obbligatori, popolo e cantoni hanno accettato 166 testi e rifiutato gli altri 64.

…e uno all’acceleratore

L’iniziativa popolare consente ai cittadini di proporre degli emendamenti costituzionali, sia introducendo nuove disposizioni nella Magna Charta, sia modificando o abolendo disposizioni esistenti. Affinché l’iniziativa sia sottoposta a scrutinio popolare, i promotori devono raccogliere almeno 100mila firme di aventi diritto di voto e depositarle alla Cancelleria federale entro 18 mesi dal lancio.

Prima di essere sottoposta a votazione popolare, l’iniziativa passa al vaglio del governo e del parlamento. Quando si tratta di una proposta che divide profondamente il parlamento, questo processo può durare anche diversi anni.

Se il parlamento riconosce la legittimità delle rivendicazioni dell’iniziativa, ma non condivide la soluzione da essa prevista, può opporle un controprogetto. Questo può essere diretto, vale a dire che è regolato a livello costituzionale. Iniziativa e controprogetto sono sottoposti simultaneamente a scrutinio federale, insieme a una domanda sussidiaria. Ai votanti è chiesto quale dei due dovrà entrare in vigore, nel caso in cui entrambi abbiano ottenuto la doppia maggioranza di popolo e cantoni.

Il parlamento può però anche optare per un controprogetto indiretto, ossia regolato a livello legislativo. In questo caso è posta in votazione federale solo l’iniziativa. In caso di bocciatura, è messo in vigore il controprogetto, a condizione che contro di esso non sia impugnato con successo il referendum.

Ma può anche succedere che il comitato promotore dell’iniziativa sia soddisfatto del controprogetto e decida di ritirare il proprio testo. In tal caso l’iniziativa non è sottoposta a votazione popolare.

Tra biasimi ed elogi

Se il referendum costituisce piuttosto un freno alle decisioni del parlamento, l’iniziativa rappresenta un acceleratore per questioni che il parlamento non vuole affrontare o a cui non ha mai pensato. A questi strumenti della democrazia diretta ricorrono spesso formazioni politiche e sociali che faticano ad ottenere una maggioranza in seno al parlamento.

Si tratta spesso della sinistra, per temi di carattere economico e sociale, e della desta conservatrice, per temi legati all’identità nazionale e agli stranieri. Succede però anche che a farne uso siano piccole associazioni o privati cittadini. Le loro probabilità di successo in votazione popolare sono alquanto remote, ma non escluse in assoluto.

Benché il sistema svizzero sia frequentemente citato come modello di democrazia diretta, le critiche non mancano. Le più frequenti riguardano il numero e soprattutto la complessità degli scrutini. Fattori che incidono negativamente sulla mobilitazione dell’elettorato. La media della partecipazione alle votazioni federali tra il 2001 e il 2012 è stata di poco meno del 45%.

C’è anche chi mette in dubbio l’opportunità che il popolo si esprima su tutto, dal momento che può soccombere facilmente dei parlamentari a ragionamenti viscerali.

Di fronte a questi rimproveri, i politologi sottolineano i vantaggi dei diritti popolari. Il referendum è considerato uno strumento per promuovere la politica di consenso tra partiti, ossia la tipica concordanza del sistema svizzero.

Con la minaccia del referendum, sia il governo sia il parlamento sono infatti spinti a cercare il consenso più ampio possibile, nella speranza di far passare una determinata legge. Se il malcontento va oltre una cerchia ristretta, per esempio un solo partito, ci sono forti probabilità che il popolo respinga un progetto.

Quanto all’iniziativa popolare, presenta il vantaggio di lanciare dibattiti di fondo su argomenti che altrimenti non verrebbero trattati dal parlamento e, a volte, di permettere ai promotori di veder soddisfatte parte delle loro rivendicazioni, tramite un controprogetto parlamentare.

Vi sono poi anche casi, seppur rari, in cui delle iniziative bocciate dalla maggioranza del parlamento ottengono la doppia maggioranza di popolo e cantoni. Per esempio, l’iniziativa “contro le retribuzioni abusive”, che consente agli azionisti di influire sulle rimunerazioni dei top manager, promossa dal piccolo imprenditore, senza partito, Thomas Minder, è stata approvata nella votazione federale del 3 marzo 2013, con il sì di circa il 68% dei votanti e di tutti i cantoni.

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