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Dall’avamposto dell’Occidente, le foto di René Burri

Una coda di profughi rené burri

Foto di profughi nel campo profughi: si potrebbe intitolare così la mostra fotografica di René Burri in corso al campo profughi di Marienfelde a Berlino.

Per la prima volta vengono mostrate al pubblico le foto in bianco e nero che Burri ha scattato più di 40 anni fa in quello che fu considerato l’avamposto dell’Occidente.

La mostra è allestita in un’ala del campo profughi di Marienfelde di Berlino ora adibita a mostra permanente sui profughi nella Germania divisa. Le foto tornano così nel luogo dove sono state prese e forniscono un documento eccezionale di quello che è avvenuto proprio in quei corridoi, in quelle corti ed in quegli stanzoni.

Il viaggio del fotografo svizzero

Burri, il grande fotografo svizzero ed attuale presidente della leggendaria agenzia fotografica Magnum, nell’estate del 1961 ha viaggiato in lungo e in largo per la Repubblica Federale e la Repubblica Democratica Tedesca.

Facilitato dal fatto di avere un passaporto svizzero, e quindi di risultare estraneo al conflitto fra le due Germanie in piena guerra fredda, Burri è riuscito a muoversi con facilità anche nella Germania Est in un momento di massima tensione culminato poi con la costruzione del muro di Berlino il 13 agosto 1961.

Foto eccezionali

Le foto fatte allora sono state raccolte poco dopo, nel 1962, in un volume intitolato “I tedeschi”, che ha avuto due versioni, in tedesco e in francese. Già allora è stata subito percepita l’eccezionalità delle foto, tant’è che l’edizione francese ha avuto una prefazione del grande sociologo Jean Baudrillard.

Delle foto scattate a Marienfelde nel luglio del 1961 soltanto alcune sono state pubblicate nel volume del 1962, mentre vengono mostrate in un’ampia selezione solo ora, in uno stanzone spoglio del campo profughi.

Vietato fotografare

Le foto sono un documento eccezionale per molti motivi: per la loro qualità estetica, per il fatto che Burri fotografa il campo in un momento particolarmente drammatico, quando immediatamente prima della costruzione del muro di Berlino vi arrivavano fino a 2000 profughi al giorno, e soprattutto anche perché al campo era vietato fotografare.

Difatti la mostra permanente sulla fuga nelle due Germanie in cui la mostra di Burri è integrata ricostruisce molto bene il clima di tensione che vigeva al campo, considerato dalla Germania Est un “oggetto nemico” tenuto sotto osservazione dalla Stasi, i servizi di sicurezza della Repubblica Democratica Tedesca, che vi mandava le proprie spie e teneva sotto controllo i telefoni.

Per la protezione dei profughi, e soprattutto per quella dei parenti rimasti nella Germania Est, nonché per chi aveva aiutato la fuga, a Marienfelde, appunto, era vietato fotografare, ed i profughi venivano ammoniti con grandi cartelli disposti all’ingresso del campo a non parlare con estranei ed a non accettare inviti fuori dal campo.

Il dramma di tante persone

Si crea così quel clima di tensione che le foto di Burri esprimono magistralmente: una tensione che ha molti gradi e vari motivi. In primo luogo il dramma di persone che hanno lasciato tutto dietro di sé e che devono rifarsi un’esistenza con un borsone e tre maglie infilate una sull’altra per riuscire a portar via più roba possibile.

Poi la tensione di chi non è sicuro di essere accettato come profugo. Anche a questo la mostra permanente accenna pudicamente: la Germania Federale, che dal dopoguerra si è trovata a dover integrare 14 milioni di profughi tedeschi provenienti dai territori dell’Europa dell’est come i Sudeti, la Slesia o la Prussia Orientale, in realtà cercava di limitare il flusso di profughi dalla Germania Est, e non a tutti i profughi veniva riconosciuto lo status di profugo. Questi spesso rimanevano illegalmente a Berlino Ovest, in condizioni abitative e lavorative drammatiche.

Le foto di Burri hanno un grande valore storico perché colgono l’atmosfera del momento. Sono sempre foto di persone mute e come impietrite, riprese subito dopo una fuga avventurosa e con un futuro incerto davanti.

Burri ritrae i profughi che già all’alba si affollano all’aperto, sotto una pioggia battente, all’ingresso del campo ancora chiuso. Oppure le lunghe file per avere un buono pasto o l’assegnazione di un posto letto, oppure la gente ammassata nei grandi stanzoni spogli dove s’iniziava la trafila estenuante ed incerta delle interrogazioni per essere riconosciuti come profughi.

Con la sua piccola Leica Burri si accosta alle persone con naturalezza, quando queste non si sentono osservate, e sceglie una prospettiva mai centrale ma spesso un po’ defilata. Burri riesce così a fare delle fotografie intime e con un grande senso per il dettaglio e ci lascia un documento importante di come doveva apparire l’avamposto dell’occidente nell’estate del 1961.

swissinfo, Silvia Cresti, Berlino

Dal 1953 al 1990 sono transitate da Marienfelde quasi un milione e mezzo di persone, circa un terzo delle persone fuggite dalla Repubblica Democratica Tedesca verso la Germania Federale.

La mostra a Berlino intitolata “L’anticamera dell’occidente” è aperta fino al 19 agosto nei locali alla Marienfelder Allee.

Il campo profughi di Marienfelde di Berlino è stato uno dei più importanti della Germania Federale ed è tutt’ora in funzione per i profughi dei paesi dell’ex Unione Sovietica.

Fu costruito nel 1953 a Berlino Ovest, dopo che nel 1952 la Germania Est aveva chiuso le frontiere con la Germania Federale.

Da allora, e fino alla costruzione del muro di Berlino nel 1961, fu possibile fuggire passando da Berlino Est in uno dei tre settori occidentali di Berlino Ovest.

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