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Una giornata all’Expò incrociando Bibì e Bibò

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Percorso "alternativo" di Enrico Lombardi tra padiglioni, cibi confezionati e qualche sorpresa

In un caldissimo lunedì mattina di maggio, arrivare con il taxi all’ingresso di Expo dalla parte della stazione di Rho e trovarvi praticamente un cantiere non è particolarmente incoraggiante.

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Ma sapere che dentro, lungo il viale principale dell’area chiamato Decumano, Bibì e Bibò sono già in missione rimette di buon umore e induce all’ottimismo. Se ci sono entrati loro…

Infatti Bibò segnala di essere al Padiglione dell’Angola mentre noi stiamo dentro quello brasiliano, in un concentrato di foresta amazzonica (forse quel che ne è rimasto, in realtà) mentre sopra le nostre teste saltellano scolaresche in un “avventuroso” percorso a fil di rete.

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Sotto il tendone che protegge il Decumano, la temperatura è sopportabile, ma sfidiamo il buon senso e ci avventuriamo nella zona “Cascina Triulza”, dove c’è il mercato della “filiera corta” (a me suona tipo “chilometro zero”). Ma qui più che il chilometro zero ancora incombe la legge del chilometro uno, o meglio dell'”ultimo chilometro”, dato in appalto da EXPO ad un’azienda di trasporti che ha finora dettato legge e imposto regole davvero incompatibili con i principi (e le necessità) dei prodotti artigianali di qualità. “Ma come si fa” ci dicono al mercato della Cascina dei produttori di pane e di dolci piemontesi, “come si fa a consegnare ad un camion i nostri prodotti freschi una settimana prima della loro messa a disposizione sulle nostre bancarelle di EXPO?” Una signora sbotta: “ma a queste condizioni io il pane che espongo lo grattugio!!”.

Ma, a quanto pare, a furia di proteste e reclami, le maglie rigide dei regolamenti di EXPO si stanno allargando e qualche spiraglio di buon senso forse appare all’orizzonte (con tutto il rispetto per le esigenze di sicurezza): perché se è vero che anche negli stadi calcistici hanno scoperto che gli ultras nascondono bombe carta e petardi nei panini, c’è da immaginare che qui, dove ultras non c’è n’è, se non del colesterolo, e i black bloc han fatto il loro osceno spettacolino da impuniti in centro Milano il primo maggio, il vero scempio, per ora, è quello che quanto si mangia è, sostanzialmente, preconfezionato, congelato, industriale. La maggioranza dei visitatori finisce con l’abbandonarsi stremata ad un tramezzino cotto (ma nella boutique “taste of toast”), o con l’assalire il reparto pizze di Eataly.

Noi ci siam fatti un ottimo gelato italiano nel padiglione Israeliano: gelataio italico, che ci dice di fare tutto al volo dentro il suo baretto: per Israele ha il gusto “Yogurth kosher”, per il padiglione messicano, confessa, prepara un ottimo sorbetto mais-tequila!

Lì vicino, l’imminente Padiglione italiano, preso d’assalto dalle scolaresche, non si sa perché.

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Nell’aria l’eccellenza italiana si esprime con le note di Vivaldi e di Jovanotti, accoppiata ardita, bel salto carpiato cronologico.

Ed eccoci infine al “nostro” Padiglione, il padiglione svizzero; se ne sta, forse emblematicamente, discretamente discosto, neppure affacciato sul Decumano; di fronte l’esuberanza quasi sfacciata del padiglione sloveno, che con canti e danze invade il Decumano.

E noi? Noi no, noi stiamo composti ed educati, attiriamo l’attenzione con pupazzoni che richiamano gli alimenti delle quattro torri: acqua, mele, sale, caffè. Così, quattro anonimi gabibbi vestiti da superchicco, supersalino, supergoccia, e melona, provano a richiamare l’attenzione e indurre i passanti a far due passi più in là e visitare il nostro Padiglione, che da lontano, in verità, né attira né incuriosisce, specie se confrontato con quelli che lo circondano. Ma poi, come spesso avviene, anche in altre circostanze, il nostro è un po’ il fascino discreto di chi c’è facendo finta di non esserci, o di esserci per dire che potrebbe non esserci, che non sa se fa bene ad esserci, ma che visto che c’è, ha pure qualcosa da dire. E infatti, dentro il Padiglione, le mostre e l’atmosfera sono piacevoli. Il padiglione svizzero non esibisce praticamente nulla (vedi il palco eventi, quasi invisibile, più o meno un “sottoscala”) ma sa comunque dire, porre domande (di cibo “Ce n’è per tutti?” v. Immagine), che dentro trovano un sensato sviluppo.

Insomma, mal che vada, col passare delle settimane, il nostro sarà un Padiglione in cui “rifugiarsi” (come il nostro paese?), per riposarsi ed andare a letto presto, mentre intorno il mondo fa un (discutibile) entusiastico e roboante fracasso.

Gironzolando per i padiglioni

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