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Violenti? Sì, ma no

L’idea che le palestre di sport da combattimento siano fucine di rissaioli è dura a morire. Eppure…

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L’omicida di Gordola praticava uno sport da combattimento (boxe, stando a nostre informazioni). I giovani protagonisti dell’aggressione avvenuta a Locarno lo scorso 13 settembre erano anche loro pugili. Delitto Jacoma: l’autore era esperto di arti marziali.

Il Ticino – si sa – è un cantone piccolo, e quando capita un fatto di cronaca, basta fare un giro di telefonate per scoprire che, direttamente o per vie traverse, si conoscono i protagonisti. In casi come questi, poi, la sottoscritta, istruttrice di Krav MagaCollegamento esterno da diverso tempo, vuole sapere nome, cognome, palestra e nome dell’istruttore del ragazzo che con un pugno ha ucciso un 41enne. E lo scopre. Fa parte di una scuola nota per avere allievi i cui comportamenti fuori dal ring sono spesso lungi dall’essere esemplari. E poche settimane fa una nuova aggressione a suon di pugni a Locarno: anche in questo caso un paio di messaggi su Whatsapp mi permettono di venire a sapere che, nuovamente, sono avventori dello stesso club di boxe nel Locarnese. Contatto il responsabile, che nega in blocco, puntando il dito contro un’altra scuola. Telefono anche a loro: rimandano le accuse al mittente.

E poi… “Pugili e kickboxer? Tutti degli esaltati violenti!”. Oppure: “Krav Maga? Quella roba israeliana? Ma allora non bisogna farti arrabbiare: sei una che picchia!”. O ancora: “MMACollegamento esterno? Sono solo capaci di menare le mani!”. Queste alcune delle innumerevoli reazioni alla sola nomina di uno sport da combattimento.

Luoghi comuni: quanto c’è di vero?

Ma è davvero così? Determinate attività portano più facilmente a essere violenti, come questi luoghi comuni portano a credere? “Non sono stati fatti studi in tale senso, ma per quanto ci riguarda, non abbiamo rilevato una correlazione diretta tra questi due elementi”, spiega Renato Pizolli, portavoce della polizia cantonale ticinese. Anzi: spesso e volentieri “la disciplina di chi svolge questo tipo di attività sportiva è più alta della media”. Quindi sembrerebbe di no.

Allora sono i media che esagerano? “Se un pugile – fuori dal ring, ndr – mette le mani addosso a qualcuno non è come se lo facesse una ballerina o un ballerino. È normale che la vicenda faccia più rumore nel primo caso”: stando a Ruby Belge, ex pugile professionista, è solo una questione di opportunità e la colpa non è di chi riporta la storia. “Se i media dicono che chi ha commesso un reato era un pugile, e questo si dimostra essere la realtà, non vedo perché bisogna nasconderlo”, aggiunge. Niente. Nemmeno i media sono colpevoli.

Le palestre e i loro codici

E le palestre? Cosa succede al loro interno? Quale la responsabilità degli istruttori? “C’è sempre un codice di rispetto reciproco. Una cosa è praticare [questi sport] in palestra, dove vengono insegnati [dei] valori.  [Un’altra] è vedere la gente che fa risse in strada. Noi abbiamo un regolamento (…) e invitiamo sempre tutti a leggerlo”, spiega Andrea Ferraro, titolare del Fight Gym Club di Canobbio. Inoltre, come ci conferma anche Belge, che oggi insegna, un istruttore ci mette poco ad accorgersi se qualcuno arriva in palestra per imparare una disciplina oppure se è lì per assimilare tecniche da usare per fare “a cazzotti” fuori. “Se il motivo è il secondo, lo allontano subito”.

Le “teste calde”, precisa ancora Ferraro, ci sono sempre state, e non è difficile individuarle, a volte anche con un aiuto esterno. Tanti sono, infatti, gli agenti di polizia che frequentano la struttura di Canobbio e che vengono a riferirgli comportamenti scorretti di altri membri della palestra: “Quando mi riferiscono io prendo i provvedimenti necessari” (ammonimento o espulsione, a dipendenza della gravità, ndr). Istruttori, quindi, che si assumono il compito di insegnare dei valori positivi e la disciplina personale in attività che possono diventare pericolose.

Il casellario non serve…

Anche se, però, persiste un dubbio e decido di fare un paio di telefonate, raccontando sempre la stessa storia: sono una ragazza più o meno 20enne, vorrei iniziare a praticare uno sport di combattimento. Problema: il mio casellario non è vergine. Un’adolescenza movimentata ha fatto sì che sia stata coinvolta in diverse risse e aggressioni. “È un problema?”, chiedo ai miei interlocutori; “No” è la risposta generale. Basta però, che io “faccia la brava” una volta che inizio ad allenarmi.

“Non mi interessa semplicemente insegnare i sei colpi della boxe. A me piace creare persone con valori sani”
Ruby Belge 

Già, perché la palestra, come mi viene confermato da più parti, non è solo sport, ma anche educazione alla vita… Omar, 18 anni, ha avuto una gioventù agitata: spaccio, alcool, coltelli… Non si è fatto mancare nulla. Poi ha iniziato ad allenarsi. Boxe e K-1 (una forma di kickboxe, ndr) lo hanno salvato: non beve più, non fuma più – “Solo sigarette, ma sto cercando di smettere!” – e ora il suo sogno più grande è quello di poter, un giorno, vincere un titolo. 

Gli istruttori, infatti, diventano anche – e spesso soprattutto – degli educatori. Ruby Belge lo è attraverso il pugilato: “[Preferisco] impostare una persona a livello caratteriale, posturale e di filosofia di vita. Non mi interessa semplicemente insegnare i sei colpi della boxe. A me piace creare persone con valori sani e che non commettano stupidaggini in giro”. Un esempio ne è lui stesso: “Ero un ragazzo che si esprimeva con la violenza e il pugilato mi ha aiutato a diventare una persona completamente opposta”. Un cambiamento che, ricordiamolo, nel 2007 lo ha portato a conquistare il titolo di campione del mondo di pesi WelterCollegamento esterno.

C’è chi chiude un occhio

A questo punto mi dico che, allora, la responsabilità è solo e unicamente degli individui che, fuori, non hanno di meglio da fare che esprimersi con la forza. Sarebbe bello se fosse così, ma… Da qualcuno avranno pur imparato, no? Istruttori che chiudono un occhio, in effetti, ce ne sono. 

A confermarmelo è Yann (nome di fantasia, identità nota alla redazione), un agente di polizia che opera sul territorio. Se la maggior parte tiene alla propria immagine e fa attenzione al comportamento degli allievi, spiega, ci sono anche le pecore nere alle quali quello che succede fuori dalla palestra non interessa o – se vengono a scoprirlo – girano la testa dall’altra parte.

La polizia che fa?

Ma, allora, se lo sa anche la polizia, perché non interviene? Da una parte, precisa Yann, se nessuno denuncia la giustizia ha le mani legate. Dall’altra, spiega Renato Pizolli, il fatto che “una persona che è venuta alle mani svolga [uno sport da combattimento] non determina una relazione con la palestra dove si allena”. Conseguentemente, la sua appartenenza a un determinato club non fa sì che le autorità vi si rechino per verificare “se altri membri hanno un’attitudine violenta o meno”.

Una domanda, a questo punto, sorge spontanea: visto il ripetersi di certi episodi e vista la fama che segue determinate strutture, non andrebbero effettuati controlli più approfonditi?

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