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L’accordo quadro con l’UE è morto

guy parmelin e Ignazio Cassis
Il presidente della Confederazione Guy Parmelin e il ministro degli esteri Ignazio Cassis hanno comunicato mercoledì la decisione del Governo. Keystone / Peter Schneider

Il Governo svizzero ha deciso mercoledì di non firmare la bozza di accordo istituzionale con l'Unione Europea, negoziato durante sette anni. Bruxelles esprime il suo "rammarico".

Constatando che “sussistono ancora divergenze sostanziali tra la Svizzera e l’UE in alcuni settori chiave” e che “le condizioni per una conclusione dell’accordo non sono soddisfatte”, il Governo svizzero ha “pertanto deciso di non firmarlo”. Dopo sette anni di negoziati, l’accordo istituzionale che avrebbe dovuto regolare i rapporti futuri tra Berna e Bruxelles è quindi naufragato.

L’obiettivo dell’accordo era di rendere omogeneo il quadro giuridico per la partecipazione della Svizzera al mercato unico dell’UE e di stabilire un meccanismo per risolvere eventuali vertenze.

L’annuncio avviene dopo il vertice del 23 aprile scorso a Bruxelles tra il presidente della Confederazione Guy Parmelin e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. L’incontro non aveva permesso alle parti di riuscire a raggiungere un’intesa sulle questioni ancora controverse.

La cronaca, l’intervista al ministro degli esteri Ignazio Cassis e le reazioni nell’edizione serale del TG:

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I punti di attrito

La Svizzera temeva che il testo avrebbe minato la protezione dei salari svizzeri, più alti rispetto a quelli dell’UE. Berna e Bruxelles erano in teoria d’accordo sul principio “a lavoro uguale, salario uguale”, ha sottolineato il ministro degli esteri svizzero Ignazio Cassis. Senza le modifiche auspicate da Berna però, “sarebbe stato impossibile garantire le misure di accompagnamento [che permettono di proteggere il livello dei salari svizzeri, ndr] attuali”.

Il Consiglio federale aveva chiesto chiarimenti anche su altri due punti: le disposizioni europee sugli aiuti di Stato e la direttiva sulla libera circolazione delle persone, che potrebbe rendere più facile l’accesso dei cittadini europei alle prestazioni sociali svizzere.

Per quanto concerne quest’ultimo punto, Berna aveva chiesto che venissero “esplicitamente stabilite alcune eccezioni”; senza tali eccezioni, c’è il rischio che i diritti delle persone che beneficiano dell’accordo di libera circolazione siano estesi, con possibili ripercussioni anche sui costi dell’assistenza sociale. Il recepimento integrale della direttiva equivarrebbe di fatto “a un cambio di paradigma nella politica migratoria, che gode di ampia accettazione tra la popolazione e i Cantoni”.

Nel 2020 la Svizzera ha esportato verso l’UE beni per 108 miliardi di franchi svizzeri (99 miliardi di euro), stando alle statistiche dell’Amministrazione federale delle dogane. I Paesi dell’Unione – e in particolare Germania, Italia e Francia – assorbono praticamente la metà elle esportazioni elvetiche.

La Confederazione dipende fortemente dall’UE anche per i suoi approvvigionamenti: l’anno scorso sono state importate in Svizzera merci per 120 miliardi di franchi, pari al 66,3% delle importazioni totali.

Il rammarico di Bruxelles

La Commissione europea non ha tardato a reagire alla decisione svizzera: “Prendiamo atto di questa decisione unilaterale del Governo svizzero e ce ne rammarichiamo”, soprattutto “alla luce dei progressi compiuti negli ultimi anni per trasformare l’accordo quadro istituzionale in realtà”, si legge in un comunicatoCollegamento esterno.

L’obiettivo principale dell’intesa – prosegue la nota – “era di fare in modo che chiunque operi sul mercato unico dell’Unione, al quale la Svizzera ha un accesso significativo, sia soggetto alle stesse condizioni. Si tratta fondamentalmente di una questione di equità e di certezza del diritto. L’accesso al mercato unico deve andare di pari passo con il rispetto delle stesse regole e obblighi”.

Senza questo accordo, non sarà possibile “modernizzare le nostre relazioni e inevitabilmente i nostri accordi bilaterali invecchieranno: sono passati 50 anni dall’entrata in vigore dell’accordo di libero scambio, 20 anni dagli “Accordi bilaterali” I e II. Già oggi, non sono più all’altezza di ciò che le relazioni tra l’UE e la Svizzera dovrebbero e meriterebbero di essere”, conclude la Commissione.

Salvaguardare la via bilaterale

Una posizione, quella espressa dall’UE, che rischia di scontrarsi con l’auspicio espresso mercoledì da Berna, che vorrebbe appunto ” salvaguardare la collaudata via bilaterale e portare avanti con convinzione gli accordi esistenti”, ampliando – se vi è un reciproco interesse – il partenariato con l’UE.

Il Consiglio federale ritiene che sia nell’interesse di tutti che gli accordi esistenti continuino ad essere aggiornati e che non vengano stabiliti, come già successo nel recente passato, collegamenti politici che coinvolgano, per esempio, la cooperazione nel campo della ricerca o l’equivalenza delle Borse.

Berna propone quindi all’UE “di avviare un dialogo politico al fine di sviluppare e attuare un’agenda condivisa sulla futura collaborazione e punta a cercare di risolvere insieme problemi specifici, garantendo così l’applicazione quanto più fluida possibile degli accordi esistenti”.

Le reazioni in Svizzera

Dopo l’annuncio del Consiglio federale, sono naturalmente piovute innumerevoli reazioni anche in Svizzera. 

Da sempre euroscettica, l’Unione democratica di centro (destra sovranista) saluta il passo compiuto dal Governo, poiché l’accordo istituzionale “avrebbe significato una perdita massiccia di sovranità per la Svizzera e avrebbe minato la democrazia diretta”.

Il Partito liberale radicale (destra) si dice da parte sua “deluso e preoccupato”, criticando nel contempo sia il Consiglio federale, incapace di condurre in porto un dossier così importante per il Paese, sia l’UE, che non ha tenuto conto degli interessi elvetici.

Il Centro prende atto della decisione e sottolinea la necessità di evitare escalation da una parte e dall’altra e di “sviluppare alternative per garantire buone relazioni”.

Il Partito socialista deplora una “rottura che segna una svolta con cui la politica svizzera dovrà confrontarsi per molto tempo”. “A medio termine – prosegue il PS – la migliore opzione resta l’adesione della Svizzera all’UE”.

I Verdi, infine, parlano di un passo “irresponsabile, codardo e sbagliato”, che avrà ripercussioni negative considerevoli per l’UE ma prima di tutto per la Svizzera.

Mondo economico in parte diviso

Nel mondo economico, le reazioni sono quasi diametralmente opposte. Economiesuisse esprime rammarico e chiede al Governo di stabilizzare la via bilaterale e minimizzare i danni. Dello stesso avviso Swissmem, l’organizzazione dell’industria metalmeccanica, la quale sottolinea che la fine dei negoziati non risolverà nessuno dei problemi esistenti con l’UE.

L’Unione svizzera delle arti e mestieri, che rappresenta principalmente l’interesse delle piccole e medie imprese, ritiene invece che il Governo abbia dato prova di buon senso, poiché il testo faceva troppe concessioni e non era adatto a mantenere la competitività dell’economia elvetica.


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