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Profitti da record per le società di trading di materie prime

cumuli di terra in un deserto
L'oro bianco del Salar de Uyuni, in Bolivia, non è il sale, bensì il litio, indispensabile per la produzione di batterie. Keystone / Dado Galdieri

L'elevata volatilità causata dalla crisi del Covid-19 giova alle multinazionali che commerciano materie prime. Diverse società con sede in Svizzera hanno registrato utili da record dall'inizio della pandemia.

Il rincaro delle materie prime è spesso citato come la ragione principale dell’aumento generale dei prezzi. Il settore sostiene di non beneficiare dell’inflazione galoppante, poiché questa non riflette realmente la dinamica della domanda e dell’offerta, ma piuttosto l’inceppamento della catena di approvvigionamento.

Certo, i produttori traggono beneficio dall’aumento dei prezzi. Nello stesso tempo, però, anche i loro costi aumentano, spiega all’agenzia Keystone-ATS Florence Schurch, direttrice dell’Associazione svizzera del commercio di materie prime e del trasporto Marittimo (STSA).

Dopo un periodo di importante flessione del commercio internazionale, la ripresa è stata troppo rapida e la domanda troppo grande perché il settore potesse rispondere facilmente. A causa delle strozzature nella catena logistica, “le merci si muovono più lentamente, come se stessero diventando scarse”.

Florence Schurch ricorda che “i costi di trasporto sono quintuplicati, le carenze causate da problemi logistici sono aumentate e i problemi climatici di questa estate non hanno contribuito a migliorare la situazione”.

Presentando i risultati semestrali di Glencore, la multinazionale con sede nel Canton Zugo, l’amministratore delegato Gary Nagle ha sottolineato che la ripresa economica ha fatto salire il prezzo della maggior parte delle materie prime del gruppo, “che hanno raggiunto più volte livelli record”.

Il gigante del commercio di materie prime ha registrato un risultato operativo (Ebit) di 1,8 miliardi di dollari (1,7 miliardi di franchi) nella prima metà dell’anno dalle sue operazioni commerciali e punta a una cifra compresa tra 2,2 e 3,2 miliardi per l’intero anno.

Altri importanti attori del settore con sede in Svizzera, come Trafigura e Gunvor, hanno conseguito guadagni da record. Il più grande commerciante di petrolio del mondo, Vitol, ha registrato un utile netto di 3 miliardi di dollari l’anno scorso, in aumento di quasi un terzo, secondo Bloomberg.

Peggio dell’FMI

“Coloro che negoziano materie prime non conoscono la parola crisi”, dichiara Adrià Budry Carbò, esperto di materie prime della organizzazione non governativa Public Eye.

Quando è scoppiata la pandemia e i prezzi sono scesi, hanno potuto avvalersi della loro attività di credito per aiutare i produttori in difficoltà e della loro esperienza logistica per sfruttare al meglio le differenze di prezzo. Ora che i prezzi stanno risalendo, possono approfittare dei contratti di fornitura a lungo termine firmati quando erano al minimo.

“I Paesi produttori, spesso fortemente indebitati, sono esclusi dai canali di finanziamento tradizionali, e le condizioni alle quali i commercianti prestano capitali fanno sembrare il Fondo monetario internazionale una banca di sviluppo”, dice l’esperto di Public Eye.

A metà ottobre, Glencore ha iniziato i colloqui con il Governo del Ciad per ristrutturare il suo debito commerciale di 1,1 miliardi di dollari, principalmente attraverso accordi “oil for cash” (petrolio in cambio di contante).

In una lettera citata da Reuters, la multinazionale con sede a Zugo, che rappresenta il 98% del debito commerciale del Paese africano, ha detto che si stava impegnando nelle discussioni “in modo costruttivo e in buona fede”.

Il debito totale del Ciad, descritto come insostenibile dal Fondo Monetario Internazionale, si avvicina ai 3 miliardi di dollari e la sua ristrutturazione è una condizione per ricevere ulteriore sostegno finanziario.

Secondo l’ultima stima della Segreteria di Stato dell’economia, il centro di competenza della Confederazione per le questioni economiche, il settore delle materie prime in Svizzera comprende circa 900 aziende che impiegano circa 10’000 persone, distribuite principalmente tra Ginevra (44%), Zugo (21%) e il Ticino (10%).

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