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Pizza mon amour!

pizza in un forno
La pizza come la conosciamo oggi esisterebbe dal XVII secolo. Keystone / Cesare Abbate

L’arte napoletana del pizzaiuolo (rigorosamente con la u), fatta di movimenti sempre uguali a metà tra tecnica e rito, dal 2017 è patrimonio immateriale dell’Umanità. Il comitato internazionale dell’Unesco, infatti, nel dicembre di quell’anno votò all’unanimità l’ingresso dell’arte della pizza napoletana (non la pizza in sé come alcuni erroneamente pensano) nella lista dei riti che l’essere umano deve preservare. Da quel giorno, ogni 17 gennaio (festa di Sant’Antonio Abate, protettore dei pizzaioli) viene festeggiata la Giornata Mondiale della pizza.

Quello del pizzaiuolo, dunque, è un rito che si tramanda di generazione in generazione da moltissimi anni. Quanti di preciso è difficile a dirsi. “Anche perché il termine pizza viene ritrovato in diversi documenti del Cinquecento e del Seicento per indicare un dolce. Dunque, non è chiaro quando questo termine ha iniziato ad indicare la pizza salata che mangiamo noi oggi”, spiega Donatella Mattozzi che insieme al padre Antonio ha firmato la seconda edizione di Pizza. Una storia napoletana edito da Slow Food Editori.

Antonio e Donatella Mattozzi, entrambi professori di materie letterarie delle scuole superiori, provengono da una delle famiglie napoletane più strettamente legate all’arte della pizza. “Fu per ricostruire la storia della nostra famiglia – spiega Donatella Mattozzi – che mio padre iniziò la sua ricerca. Ma la quantità di materiale ritrovato era tanto da aver permesso la nascita di un libro che trattasse la storia della pizza in maniera più generale”.

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Per anni la ricerca storica sulle origini della pizza è stata un’esclusiva delle storiche famiglie di pizzaiuoli napoletane. “Il nostro lavoro, però, è il primo ad avere una robustezza accademica”, ci tiene a sottolineare la professoressa Mattozzi.

Dal XVII secolo

Ciò che è certo è che la pizza napoletana – sebbene diversa nella forma e negli ingredienti da quella tipica dei giorni nostri – fa la sua comparsa intorno agli inizi del Settecento per diventare poi un cibo universalmente apprezzato tra le mura di Napoli agli inizi dell’Ottocento.

Ma in una città costantemente impegnata nella rivendicazione del suo passato, a fare la differenza sono le date. All’ingresso dell’Antica pizzeria Port’Alba c’è un’insegna che indica il nome della pizzeria e un anno: 1738. Secondo l’attuale proprietario della pizzeria, Gennaro Luciano, è la data in cui venne aperto il primo forno per pizze al civico 18 di via Port’Alba, lo stesso locale in cui si trova oggi.

“All’epoca – spiega Luciano – si trattava di una pizzeria assai diversa da quella che si vede adesso. Qui c’era il forno in cui venivano cotte le pizze e dove andavano a rifornirsi i venditori ambulanti che poi le rivendevano nelle strade e nei vicoli della città”.

Se questa data venisse confermata, ciò renderebbe quella di Port’Alba la pizzeria ancora in attività più antica del mondo con 284 anni di storia alle spalle. “Dirò di più – rincara il titolare Gennaro Luciano – la nostra è la prima pizzeria ad aprire nella storia in assoluto”.

La presunta data di apertura della pizzeria Port’Alba viene indicata nel libro del 1992 La pizza napoletana: mito, storia e poesia del giornalista napoletano Gabriele Benincasa. L’autore scrive: “Nel 1738 nasce a Port’Alba l’omonima pizzeria che è ancora lì con il suo ‘piano superiore’ ad accogliere gli studenti delle scuole vicine”, senza però indicare la fonte dalla quale viene fuori quella data.

Volendo prendere per buone le parole di Benincasa, però, quella di Port’Alba non sarebbe la prima pizzeria della storia. Nelle pagine subito precedenti, infatti, Benincasa parla di una pizzeria fondata nel 1727 e una nel 1732.

Dati sul consumo globale di pizza nella Confederazione non esistono. Tuttavia, come in altri Paesi, è sicuramente uno dei piatti più consumati.

Nel 2020, stando ai dati della piattaforma di consegna a domicilio eat.ch,Collegamento esterno la pizza Margherita è stato il pasto a domicilio più comandato dagli svizzeri e dalle svizzere, davanti all’hamburger e alle patatine fritte.

Al quinto figura la pizza al prosciutto, poi al settimo la pizza Hawaii (sic).

Una storia ancora avvolta nel mistero

“Sono date alquanto improbabili – spiega Donatella Mattozzi – che non sono supportate da alcun documento e alcun rigore storico. La prima fonte utile a datare le prime pizzerie comparse a Napoli è un documento del Ministero delle finanze dell’amministrazione borbonica (i reali del Regno delle Due Sicilie di cui Napoli era capitale, ndr) datato 1807. In questo documento si presenta la lista delle pizzerie con bottega fino a quel momento presenti in città”.

In quella lista non è presente il nome della Pizzeria Port’Alba. “È soltanto dal 1830 – spiega il titolare Luciano – che la pizzeria Port’Alba si trasforma da bottega che sforna pizze per venditori ambulanti a pizzeria con tavoli e sedie vera e propria”. Dunque, la tesi secondo cui avrebbe aperto nel 1738 potrebbe ancora reggere non avendo a quell’epoca una “bottega” con tavoli e sedie.

“Documenti storici a sostegno della tesi secondo cui le prime pizze venivano vendute nelle strade di Napoli e che dunque avvalorino la storia della Pizzeria Port’Alba non esistono”, spiega Donatella Mattozzi.

È vero anche, però, che non esistono documenti che dimostrino il contrario. Dunque, la cosa certa è che l’origine della pizza a Napoli è ancora avvolta nel mistero. E che la lotta alla ricerca di una data definitiva per indicare la pizzeria più antica di Napoli non è di certo terminata.

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