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Muore Michael Cimino a 77 anni

Considerato il più visionario della "nidiata" dei registi americani di origine italiana che negli anni 70 cambiarono il volto di Hollywood

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È morto a 77 anni Michael Cimino, regista americano de ‘Il Cacciatore’. Lo ha annunciato il direttore del Festival di Cannes Thierry Fremaux, come riferiscono anche Hollywood Reporter e Variety.

È rimasto solo e incompreso fino all’ultimo dal suo Paese, che non gli ha mai perdonato il successo e la caduta, la genialità e l’irregolarità. Cimino è il più il più visionario della nidiata dei registi americani di origine italiana che negli anni 70 cambiarono il volto di Hollywood. Non è un caso che l’ultimo omaggio gli sia stato reso da un festival europeo (Pardo d’onore a Locarno nel 2015) e che l’annuncio della morte sia stato dato dal direttore del Festival di Cannes, Thierry Fremaux.

Nato a New York il 3 febbraio 1939 da piccoli borghesi immigrati dalla Sicilia, il giovane Michael arde di passione per l’arte fin da adolescente. Studia architettura, musica, letteratura, ma trova la sua prima vocazione nella pittura, che praticherà per tutta la vita esponendo in gallerie di sempre maggior prestigio. Dopo un breve periodo sotto le armi nel cuore del dramma vietnamita, riesce a tornare alla vita civile, lavorando per la tv e la pubblicità. Frequenta anche l’Actors Studio, con compagni come Al Pacino, Dustin Hoffman, Meryl Streep.

Nel ’71 sbarca a Hollywood. Clint Eastwood garantirà per lui, permettendogli il debutto come regista appena tre anni dopo. Al secondo film il trionfo: «Il cacciatore» ha in due attori magnetici come Robert De Niro e Meryl Streep la sua spiegazione più immediata, ma è proprio il talento del regista (si pensi alla sequenza della roulette russa con De Niro e Christopher Walken) a fare la differenza. E il film diventa l’autocoscienza di una generazione, il grido disperato contro l’assurdità della guerra e della furia umana.

Tutta la filmografia dell’italo-americano Michael appare come una ricerca delle radici della sua terra d’elezione, come se ogni volta dovesse giustificare la sua doppia identità interiore.

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