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Lingue classiche razziste? Non proprio…

mosaico con scritta in greco
Delle tradizioni ancora difficili da debellare: lo studio degli antichi resta prerogativa di chi è benestante Keystone / Jim Hollander

Diverse settimane fa è circolata la notizia che la prestigiosa Università di Princeton ha deciso di eliminare l’obbligo dello studio del greco antico e del latino perché considerate razziste. O almeno così diceva la Rete. Ma la Rete, si sa, ha delle verità tutte sue.

Leggendo il comunicato diffuso dall’ateneo Collegamento esternosi scopre infatti che la realtà è un po’ diversa: ad essere eliminato non è lo studio delle due lingue, ma l’obbligo di conoscerle prima di accedere all’Università.

La ragione è (apparentemente) semplice: spesso e volentieri negli USA chi le studia è chi ha frequentato scuole d’élite, la cui composizione di allievi (e professori) è a grande maggioranza bianca. Studenti afroamericani o latinos, che frequentano principalmente scuole dove non hanno accesso a lezioni di greco antico o latino prima dell’università, si trovano quindi precluso un percorso universitario classico.

Una discriminazione, quindi, esiste, ma non è quella di cui si discute sui social: non è il contenuto dei classici ad essere discriminante, ma l’accesso al loro studio.

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Lucia Orelli Facchini

Abbiamo voluto discuterne con la professoressa Lucia Orelli Facchini, vicepresidente dell’Associazione Italiana di Cultura Classica, Delegazione della Svizzera Italiana (AICC-DSI), membro di comitato dell’Associazione Svizzera dei filologi classici (SAV/ASPC/ASFC) e figlia dello scomparso poeta e scrittore ticinese Giorgio Orelli.

Cosa pensa della decisione dell’Università di Princeton?

Lucia Orelli Facchini: Princeton non lo dice apertamente, ma non c’è dubbio: per tentare di capire cosa stia accadendo bisogna situare il fenomeno nel contesto attuale delle ‘cancellazioni’, delle intolleranze, della battaglia ‘contro il razzismo sistemico’ del movimento Black Lives Matter. Negli USA, in Inghilterra, ma non soltanto, la corrente di pensiero della Cancel Culture. A seguito di puntuali petizioni di attivisti si cancellano statue, ritratti, libri. Sembra di tornare ai roghi dei libri legati agli autodafé. Chi mai può salvarsi da questa farneticazione collettiva?

A seguito di puntuali petizioni di attivisti si cancellano statue, ritratti, libri. Sembra di tornare ai roghi dei libri legati agli autodafé.

La battaglia giusta per cause giuste (contro la discriminazione razziale, per la parità di genere e per la parità sociale) rischia ora paradossalmente di trasformarsi in oscurantismo. Ovvio che anche il greco e il latino vengano presi di mira. Non stanno forse cancellando tasselli cardine della storia dell’occidente? È una storia scritta per gran parte in greco e in latino!

Anche dalle nostre parti si tratta di studi elitari come negli USA?

Quello del liceo classico italiano è stato ed è ancora un grandioso esperimento di democrazia scolastica, che ha reso possibile la diffusione della cultura tradizionale dell’élite in una scuola pubblica non solo giusta, ma anche di ottima qualità. In questo esperimento lo studio della lingua, indissolubilmente legato allo studio dei contenuti, è stato ed è imprescindibile.

A cosa servono mai lo studio serio della grammatica, della sintassi, della struttura generale della lingua, la coscienza etimologica, l’esercizio della versione a fronte dei contenuti? Permettono di acquisire metodi intellettuali rigorosi, mentalità filologica, saperi trasversali. Forniscono la valigetta degli strumenti per affrontare con esattezza creativa qualsivoglia contenuto. Perché il contenuto di un’opera bisogna da una parte comprenderlo nel suo contesto,  dall’altra saperlo traghettare nella lingua moderna e nel tempo presente.

L’iniziativa dell’Università di Princeton non appare lungimirante e lancia un messaggio errato e pericoloso.

Questo esercizio favorisce la flessibilità cognitiva, crea saperi “spendibili”, pronti ad essere generalizzati e utilizzati nelle altre discipline, anche in quelle scientifiche. Quindi, l’iniziativa dell’Università di Princeton non appare lungimirante e lancia un messaggio errato e pericoloso. Sarebbe piuttosto proficuo che anche negli USA gli studenti del livello secondario I e II (scuole medie e liceo) godessero tutti di pari opportunità d’accesso alle lingue antiche.

Pensiamo al proposito che a Berlino, ad esempio, negli ultimi anni si è potuta documentare la grande utilità dello studio del latino per gli alloglotti stranieri confrontati con l’apprendimento di un tedesco che vada oltre il livello di base. L’alloglotto che studia le lingue antiche è allenato a riconoscere la struttura della lingua ed è facilitato non solo nell’approccio alle lingue romanze, ma a qualsiasi lingua indoeuropea. Grazie alle lingue antiche può inoltre calarsi nella cultura in cui si trova immerso e confrontarsi criticamente con i suoi pregi e difetti. La padronanza della lingua e il recupero del senso della storia è il primo rimedio contro il disorientamento. Ecco quindi che il latino favorisce l’integrazione.

È possibile, secondo lei, intraprendere studi classici senza aver mai studiato greco e latino?  

Questa domanda è cruciale. Affrontare studi classici senza avere studiato prima greco e latino è possibile, ma solo perché tutto è possibile, anche scalare il Cervino con i tacchi alti, se fatto per bene e con impegno. Ma non può e non deve essere la regola. Perché anzitutto, come detto, così facendo si rinuncia d’emblée al fondamentale aspetto formativo di queste discipline: l’assunzione di quell’abito mentale di cui ho appena parlato, che dovrebbe avvenire progressivamente negli anni, diciamo così, –teen. Inoltre è anche una questione di maturazione.

La scuola secondaria di livello II prevede un ricco curriculum di letture di capolavori sempreverdi o di testi considerati fondanti per la nostra cultura. È quasi impossibile recuperare tutte queste letture all’università, quando c’è ancora molto altro da aggiungere alla lista. Ricordiamolo: ogni capolavoro del mondo greco e latino educa all’interpretazione e al confronto dialettico con il passato di questa fetta di mondo e solleva domande intelligenti e sempre attuali. L’educazione all’interpretazione e al confronto dialettico avviene per gradi e richiede tempi lunghi, certo più lunghi dei cinque anni universitari.

Il rischio non è quello di avere sempre meno studenti che studiano prima dell’università?

Certamente, il rischio è questo. Bisogna fare di tutto per impedirlo. Sarebbe sciocco rinunciare a quell’alto potenziale educativo dato dai metodi d’approccio alle lingue antiche.

La maturità con greco e latino rimane uno dei migliori passepartout per gli studi universitari e politecnici.

Com’è la situazione in Svizzera e in Ticino? C’è ancora interesse per queste lingue?

La situazione in Svizzera e in Ticino non è delle più rosee. Ma l’interesse è ancora molto alto. Direi che i problemi vadano ricercati non tanto nella domanda quanto nell’offerta. La riforma della maturità del 1995 ha gettato il greco e il latino nel calderone delle “lingue”, in competizione diretta con le lingue moderne. Eppure si sa che il greco e il latino sono lingue “speciali”, perché si studiano esclusivamente come langue culture. Nei confronti delle lingue moderne (e di tutte le altre discipline) il loro ruolo è quello di integrarle dal punto di vista storico-letterario. È errato pensare di poter scegliere tra inglese e latino. Bisogna scegliere inglese e latino!

Tutto sommato però, considerata tutta la serie di “angherie” subite dalle lingue antiche a causa del modello strutturale scolastico, è davvero sorprendente prendere atto della resilienza di queste discipline. Con l’imminente nuova riforma della maturitàCollegamento esterno aumenterà ancora la competizione tra le opzioni specifiche liceali. Nei giovani cresce in parallelo anche la paura di un futuro precario. Ma ora è possibile mostrare, con dati alla mano, che la maturità con greco e latino rimane uno dei migliori passepartout per gli studi universitari e politecnici. Quindi restiamo fiduciosi e puntiamo sulla qualità.

E in Italia invece?

Anche in Italia prende piede il liceo scientifico senza latino e il liceo classico viene riformato per dare maggiore peso alla matematica. È in corso un dibattito acceso al proposito: il liceo classico va aggiornato in maniera intelligente. Ma il liceo classico rimane il liceo per antonomasia.

Oggi come ieri è più facile che segua il greco e il latino chi li conosce per tradizione familiare.

Anche in Svizzera questi studi sono un appannaggio delle classi sociali più elevate come negli USA?

Oggi come ieri è più facile che segua il greco e il latino chi li conosce per tradizione familiare. Spesso si tratta di famiglie di accademici. Un’indagine statistica recente ha mostrato che il maturando modello, da noi, è donna, svizzera, figlia di accademici e ha seguito le lingue antiche al liceo. È questo il profilo che assicura le migliori chance di riuscita nello studio universitario, quale che sia. Ma sono in aumento gli studenti di altre lingue e culture, onnivori e curiosi. Per loro e le loro famiglie l’informazione è fondamentale.

Si immagini che non sono rari, oggi, i genitori che di fronte a un curriculum noto per essere impegnativo come quello delle lingue antiche chiedono “Ma a cosa serve parlare (sic!) il greco antico oggi?” Ecco: molto, anzi, quasi tutto dipende dalla risposta che si riesce a dare a questa domanda ingenua e spiazzante. Il nostro sistema scolastico non si cura di agire preventivamente suggerendo o fornendo la risposta, promovendo queste discipline. Tutto grava sulle spalle dei dirigenti scolastici di ogni grado e sui docenti stessi.

Le lingue antiche sono la matematica dell’ambito umanistico.

E quindi non ci stanchiamo di ribadire che il greco e il latino non si parlano, ma si studiano, che lo studio delle lingue antiche permette di penetrare nella mente dei grandi scrittori del passato che si sono espressi su quelle parti del sapere che sono diventate le nostre discipline scolastiche, come la filosofia, la storiografia etico-politica, la matematica, la geometria, la medicina, l’architettura, il teatro… in opere che hanno influenzato direttamente e a più riprese la nostra cultura. Non ci stanchiamo di ribadire che in generale le lingue antiche educano alla comprensione e traduzione del pensiero complesso degli ambiti più diversi e alla sua interpretazione critica… Che sono la matematica dell’ambito umanistico.  

Qual è la sua esperienza da insegnante? Negli anni è cambiato qualcosa nell’approccio, sia da parte degli allievi che degli insegnanti?

Nella mia esperienza trentennale (ho iniziato a insegnare a Zurigo nel 1991, vi sono rimasta fino al 2003, oggi insegno in Ticino) ho vissuto sconcertanti alti e bassi. Mi sono resa conto che è fondamentale il ruolo dei dirigenti scolastici. Quando le informazioni passano, tutto funziona come in passato e anche meglio. Gli allievi armati di smartphone leggono sempre meno, affrontano spesso il liceo con un bagaglio lessicale e culturale minimo. Però sono ancora sempre “studenti”, etimologicamente: “bramanti”, “avidi di sapere”.

Il greco e il latino li trasportano in mondi lontani, anche remoti, eppure nel contempo affini e familiari. Indirettamente arricchiscono il loro lessico e illuminano in maniera nuova, dall’interno, la cultura che li circonda. Ad esempio, si rendono conto prestissimo di quanto la qualità del loro italiano profitti del latino.

Studiare i classici significa capire come il mondo di ieri ha contribuito e rafforzato le dure realtà di razza e misoginia di oggi? Non posso che essere perfettamente d’accordo.

La direttrice di The Daily Princetonian (quotidiano studentensco indipendente dell’Università di Princeton) Emma Treadway scriveCollegamento esterno che “definire lo studio dei classici come lo studio del latino o del greco antico è incredibilmente limitante. La conoscenza di queste lingue migliora sicuramente lo studio del mondo antico, ma i classici sono molto più grandi di così. In realtà, studiare i classici significa esplorare il mondo antico del Mediterraneo, del Nord Africa, della Gran Bretagna e oltre. Studiare i classici significa immergersi nella filosofia, nella storia e nell’archeologia. E, probabilmente più importante, studiare i classici significa capire come il mondo di ieri ha contribuito e rafforzato le dure realtà di razza e misoginia di oggi”. Cosa ne pensa?

Studiare i classici significa capire come il mondo di ieri ha contribuito e rafforzato le dure realtà di razza e misoginia di oggi? Non posso che essere perfettamente d’accordo. È molto importante sottolineare a scuola che del mondo greco-latino ci portiamo addosso anche gravi difetti genetici. Ad esempio, non si può parlare di misoginia senza tornare a studiare la storia della patria potestas romanaCollegamento esterno.

Il greco e il latino servono appunto a dirci chi siamo, nel bene e nel male. Ma è giusto puntare soprattutto sul bene e fare nostro il retaggio positivo di quanto è stato pensato di davvero importante prima di noi negli ambiti più diversi. Enorme è ad esempio il contributo delle lingue antiche a quella che oggi si pretende di isolare come ‘educazione civica’.

Sulla necessità della partecipazione collettiva dei cittadini alla vita della società, sulla democrazia come creatura in continuo divenire che va continuamente monitorata e rivitalizzata, si ragiona da prospettive diverse nei testi filosofici, storico-politici, letterari, d’architettura… In generale in queste discipline si punta molto a dare un retroterra, un orizzonte di senso per il presente e il futuro, che tenga conto degli obblighi e delle responsabilità insiti nella vita sociale.

Come sempre accade, l’opinione pubblica punta il faro soltanto su un lato e dimentica tutti gli altri. Viene in mente la metafora del parto: ‘Non buttare via il bambino con l’acqua sporca.’ Mettiamoci nei panni della sage-femme. La tradizione ci affida il bambino e l’acqua sporca. Analizziamo bene l’acqua sporca, perché è molto, molto importante, ma non dimentichiamo il bambino e teniamocelo stretto.

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