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Il voto amministrativo fa felice Draghi

Le schede elettorali in un seggio romano.
Keystone / Angelo Carconi

Il giorno dopo il primo turno delle amministrative che hanno coinvolto 12 milioni di italiani è possibile, sulla scorta dei risultati consolidati, scorgere qualche ulteriore indicazione dal voto.

C’è chi si è affrettato a interpretare l’esito della consultazione, in ottica nazionale, come un forte sostegno dell’elettorato a Mario Draghi. L’inaspettata tenuta e, in diverse realtà locali, la crescita del Pd, la forza politica che più di altre appoggia (seppur in modo apparentemente defilato) le politiche sanitarie ed economiche del premier, è senz’altro una chiave di lettura legittima.

Pare di capire che gli italiani, nonostante le limitazioni del green pass e le nubi che tuttora oscurano gli spiragli di ripresa economica, temano avventurismi e fughe in avanti che potrebbero compromettere la riconquista di una certa normalità, dopo i vari lockdown che si sono succeduti in questi due anni. Va riconosciuto poi a Enrico Letta il merito di aver saputo raddrizzare la rotta, ricompattando il partito dilaniato dalle correnti – fomentate o subite, rispettivamente da Matteo Renzi e Nicola Zingaretti – e favorendo alleanze nel campo del centro-sinistra, in particolare con i Cinque Stelle.

Sarebbe però un clamoroso errore per i dem enfatizzare il pur lusinghiero risultato di ieri – tre delle cinque grandi città conquistate al primo turno, tra cui Milano, feudo storico della Lega e del berlusconismo: è vero che le urne hanno in parte ridimensionato le formazioni sovraniste (che restano maggioritarie nel paese con Forza Italia) ma si è trattato pur sempre si un voto amministrativo e dove trionfa il centro-sinistra (Sala a Milano, Manfredi a Napoli) lo fa soprattutto con personaggi esterni al partito e provenienti dalla cosiddetta società civile. Inoltre, storicamente la bassa affluenza al voto – i precedenti, in particolare nel 1993, insegnano – sembra aver pesantemente condizionato il voto.

L’astensionismo nelle periferie, la capacità di mobilitazione delle organizzazioni di sinistra e una certa tradizione di governo, che ha fatto maturare nel tempo un ceto di amministratori a livello locale, hanno senz’altro avuto la loro rilevanza. Ed è improprio proiettare questo risultato, in attesa peraltro dei ballottaggi, sulle legislative del 2023 ed Enrico Letta, questo dovrebbe saperlo.

La novità è costituita semmai dal fatto che il fronte progressista, se saprà stringere alleanze credibili e proporre candidati apprezzati, non parte battuto. In questo senso sarà interessante seguire la parabola di Mario Draghi, non tanto in vista del Quirinale il prossimo anno, ma delle scadenze elettorali successive.

Il secondo chiaro dato che emerge dalle amministrative parziali di ieri è l’ennesimo ridimensionamento del Movimento Cinque Stelle, avviato a un declino che la stessa reggenza di Giuseppe Conte non sembra al momento in grado di scongiurare. I trionfi di Virginia Raggi e Chiara Appendino di cinque anni fa sembrano risalire a epoche consegnate ormai alla storia. In particolare il movimento pare aver definitivamente perso autonomia d’azione e il rischio concreto è quello di essere costretto, per sopravvivere, a un ruolo di subalternità nei confronti del Pd.

Nello schieramento opposto si registra una battuta d’arresto, di cui solo i prossimi appuntamenti elettorali potranno chiarire la portata, che evidenzia la lunga catena di errori commessi, di cui per il momento solo il leader della Lega ha fatto ammenda. L’onda lunga dei sovranismi di varia foggia, come hanno recentemente confermato le elezioni tedesche, sembra essersi per il momento fermata a livello continentale.

Forse si tratta solo di una pausa di riflessione ma comunque la destra resta saldamente maggioritaria in Italia, come indicano i sondaggi nazionali. Probabilmente la concorrenza interna alla coalizione, tra Lega oscillante al governo e Fratelli d’Italia all’opposizione, ha disorientato più di un elettore, così come l’intricata, laboriosa e contrastata procedura di selezione di candidati comuni.

Ma forse è stato commesso anche qualche errore strategico: gli ammiccamenti al popolo novax – costanti da parte di FdI, discontinui dal Carroccio – che resta un’esigua minoranza nel paese, non sono stati compresi da tutta la base di centro-destra, che non a caso ha premiato in Calabria il candidato moderato di Forza Italia Roberto Occhiuto, con uno score sfavillante. Del resto non è un mistero che il ceto degli amministratori della Lega, che governa importanti aree del Nord produttivo, sia in aperto dissenso su molte posizioni di Matteo Salvini nei confronti della politica dell’esecutivo.

A pesare poi, hanno ripetuto molti commentatori, è soprattutto la mancanza di un vero leader capace di federare tutto lo schieramento e di riequilibrare verso il centro, su posizioni moderate, la coalizione, che sta pagando anche l’accesa concorrenza Lega-FdI. L’omaggio tardivo di queste ore del Pd a Silvio Berlusconi è significativo in proposito.

Di sicuro questo voto amministrativo allontana, forse definitivamente, le elezioni anticipate. Con le attuali turbolenze Giorgia Meloni all’opposizione, al di là dei proclami, non vorrà azzardare questa carta. L’incognita è forse costituita dal segretario della Lega, soprattutto se nei prossimi mesi sarà messo all’angolo e potrebbe essere tentato di far saltare il banco. Ma anche in questo caso la storia insegna che alle Camere spuntano sempre le truppe dei “responsabili”, pronte a salvare il paese.

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