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Non ha fine il dramma nel Mediterraneo

Nuova strage nel Mediterraneo in un weekend di Pasqua che ha visto circa 7mila migranti salvati in una cinquantina di interventi di soccorso coordinati dalla Guardia costiera italiana. 8 persone sono però morte.

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Alcuni gommoni carichi di persone si sono trovati in difficoltà a 20-25 miglia dalle coste della Libia: sette i cadaveri recuperati dalla nave Phoenix dell’organizzazione non governativa “Moas”, intervenuta in aiuto. Un altro cadavere, che si trovava su un differente gommone, è stato preso a bordo dalla nave di un’altra ong, Sea Eye. Potrebbero esserci diversi dispersi.

Flusso inarrestabile

Non si arresta, dunque, il flusso migratorio nel Canale di Sicilia, favorito dalle buone condizioni del mare. Sabato superlavoro per i mezzi di soccorso che hanno fatto ben 33 interventi, con 4500 persone recuperate ed domenica altri 21 operazioni hanno salvato ulteriori duemila partiti dalla Libia. In azione anche pescherecci e mezzi delle ong che continuano nel loro lavoro umanitario in mare.

Proprio da una di queste ong, la Moas, è arrivata la drammatica testimonianza degli interventi in atto, “una maratona di 24 ore – spiegano – dove si sono susseguite continue operazioni di soccorso, tuttora in pieno svolgimento, nell’assistenza a 9 imbarcazioni, fra cui 7 gommoni e 2 barche di legno”. La Phoenix ha così preso a bordo ben 490 migranti ed ha recuperato anche sette cadaveri: 4 uomini, due donne ed un bambino di 8 anni.

Un fotografo a bordo della Phoenix ha riferito di venti morti, ma il numero non sarebbe confermato, anche se i soccorritori parlano di altri corpi in mare. Nella zona, oltre alla nave di Moas sono attivi i mezzi di due ong tedesche, Sea Eye e Jugen Rettet. Le navi hanno lanciato sos perché già cariche di passeggeri. E ci sarebbero altre imbarcazioni in difficoltà.

Intanto, è arrivata a Reggio Calabria una nave con a bordo 649 migranti soccorsi due giorni fa. “Molti di loro – ha raccontato Michele Trainiti, responsabile del soccorso e della ricerca in mare di Medici senza frontiere – presentavano segni di tortura e delle sofferenze subite in Libia o durante il tragitto. Per la prima volta cominciamo a vedere anche i segni delle guerre: feriti da arma da fuoco e segni di maltrattamenti e torture”. Altri 851 sono sbarcati a Lampedusa.

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