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Ora il Movimento 5 Stelle va messo alla prova

Luigi Di Maio
Luigi Di Maio raggiante all'uscita di casa lunedì mattina a Roma Keystone

Lavoro e immigrazione sembrano essere i due concetti che hanno fatto presa sugli italiani in questa tornata elettorale, che sancisce la fine della Seconda Repubblica e spacca il paese in due.

La valanga grillina nel Meridione, con percentuali che non si ricordano dai tempi d’oro della Democrazia Cristiana, trae origine sicuramente dalle promesse sul reddito di cittadinanza evocate dagli esponenti del Movimento Cinque Stelle. Mentre l’avanzata della nuova Lega targata Salvini, che sorpassa nettamente il partito del redivivo Berlusconi, si spiega con la svolta incarnata dal motto “Prima gli italiani” che ha dischiuso al Carroccio orizzonti insperati solo pochi anni fa.

Escono con le ossa rotte la sinistra e, in misura minore, il Cavaliere, che hanno monopolizzato tutte le elezioni che si sono succedute dal 1994 in avanti, all’indomani della caduta del Muro di Berlino. E vengono meno i fenomeni di accorpamento in senso maggioritario del quadro politico seguiti alla nascita del Partito democratico e successivamente del Partito della Libertà.

Il crollo della sinistra è epocale e segue un trend già intravisto su scala europea ma con alcune peculiarità. Il Pd sparisce dal Sud, continua ad essere assente nel settentrione e perde numerosi collegi anche nelle sue tradizionali roccaforti toscane ed emiliane. E non se ne avvantaggia Liberi e Uguali degli scissionisti Bersani e D’Alema che si fermano poco sopra il 3%. È comunque clamoroso il regresso dei dem dalle europee di 4 anni fa quando raggiunse il 41% e si inaugurò l’effimera stagione di Renzi che ha colpevolmente sottostimato gli insuccessi alle recenti amministrative e al referendum costituzionale del 4 dicembre del 2016.

Ma sul versante opposto non ride nemmeno Forza Italia del Cavaliere, che perde la leadership del centro-destra e si ferma intorno al 14%. Anche in questo caso il 37,4% raccolto dal Partito della Libertà alle legislative del 2008 non è altro ormai che un mesto ricordo.

Si è aperta invece la stagione del Movimento Cinque Stelle, che 5 anni fa impedì a sorpresa l’affermazione del centro-sinistra di Bersani e oggi, dopo una legislatura di apprendistato, rivendica legittime responsabilità di governo. Difficilmente il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, cui spetta il compito di nominare il nuovo presidente del Consiglio, potrà ignorare una formazione votata da un elettore su tre, che ha distanziato di oltre 10 punti tutti gli altri partiti. 

Il quadro politico resta problematico. I numeri, in virtù della nuova legge elettorale proporzionale con correzione maggioritaria, sembrano premiare soprattutto al Senato la coalizione di centro-destra, ma allo stato attuale non sembrano sufficienti a rivendicare la formazione di un governo, peraltro a trazione leghista.

Chi potrebbe rappresentare l’ago della bilancia in questo quadro frastagliato sono gli sconfitti. A ruoli invertiti rispetto al 2013 si potrebbe prefigurare una nuova trattativa M5S-Pd. A Bersani non andò bene ma i dem, o parte di essi, potrebbero garantire i seggi che mancano a Di Maio per la fiducia. Un disegno di difficile concretizzazione ma pur sempre più realistico di un’alleanza Lega-M5S o di un soccorso “rosso” al centrodestra.

Se al candidato premier grillino verrà affidato un incarico, potrà chiedere i voti nel corso del dibattito sulla fiducia che potrebbe riservare sorprese. Sfumata invece, alla luce del pessimo risultato di Pd e Forza Italia, la riproposizione di un esecutivo di più o meno “larghe intese”, come si è visto nella passata legislatura.

In questo scenario tripolare imperfetto l’apertura di credito degli elettori italiani nei confronti del Movimento Cinque Stelle è notevole ma da oggi Grillo e Di Maio non potranno più nascondersi poiché, come insegnano le recenti vicende di Renzi e Berlusconi, il vento può cambiare nel breve volgere di qualche mese.             

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