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Controversa email, “Licenziati entro un’ora e avrai la buonuscita”

Veduta dell interno del centro Foxtown a Mendrisio.
Una vertenza di cui i responsabili del centro della moda ticinese avrebbero fatto volentieri a meno. Keystone / Karl Mathis

Contestata iniziativa della direzione dei due negozi Burberry al FoxTown di Mendrisio. Dopo due giorni di trattative trovato un compromesso con il personale.

Si sono riverberati anche oltre frontiera gli echi dei licenziamenti annunciati nei due negozi all’interno del centro commerciale ticinese del noto marchio britannico della moda, a pochi chilometri dal confine con l’Italia.

Venerdì scorso i 35 dipendenti, in stragrande maggioranza frontalieri lombardi, sono stati posti davanti alla scelta di dimettersi, con una buonuscita, entro 57 minuti o, in alternativa, di rischiare seriamente l’imminente licenziamento senza indennità.

“In generale nel cantone – anche se possono verificarsi casi di questo tipo – la situazione è sotto controllo”

Rinaldo Gobbi, segretario Federcommercio Ticino

L’invito, giunto per email dalla direzione della casa di moda britannica agli indirizzi elettronici dei collaboratori alle 15.33, scadeva infatti già alle 16.30. Una procedura per lo meno anomala che ha immediatamente suscitato la viva reazione del personale e dei sindacati che stavano portando avanti con il datore di lavoro le consultazioni nel quadro dell’iter previsto per i casi di licenziamento collettivo.

Federcommercio critica sulle modalità adottate

Ma anche da parte delle organizzazioni del ramo, pur mantenendosi prudenti su quanto avvenuto, trapela un certo scetticismo su questa vicenda. “Non si ravvisano implicazioni penali, né tantomeno ci troviamo in presenza di una truffa ma certamente le modalità adottate” per ridurre l’organico nei due negozi suscitano perplessità e “forse non sono corrette al cento per cento”, commenta Rinaldo Gobbi, segretario delle Federcommercio del Canton Ticino.

Associazione del ramo cui però, va sottolineato, non aderiscono i punti vendita dell’outlet mendrisiense, all’interno del quale vige un contratto aziendale concordato con i sindacati. “In generale nel cantone – anche se possono verificarsi casi di questo tipo – la situazione è sotto controllo”, sostiene il rappresentante del settore commerciale, aggiungendo che “anche noi siamo impegnati nel combattere questi abusi”.

Per protestare contro l’invito alle dimissioni via email, da confermare in meno di un’ora, dipendenti e sindacati si sono subito mobilitati impedendo lunedì mattina la regolare apertura dei due negozi a Mendrisio. A porre fine allo sciopero “sui generis” è stata la comunicazione dei legali di Burberry giunta a metà pomeriggio con cui veniva espressa la disponibilità della casa di moda ad aprire una trattativa con i rappresentanti dei salariati.

Martedì sono partite le trattative, che si sono concluse nello spazio di due giorni. In base all’accordo negoziato dai sindacati (Ocst e Unia) e ratificato mercoledì dall’assemblea dei collaboratori, ci sarà un numero inferiore (ma imprecisato al momento) di licenziamenti e un piano sociale con alcune misure di accompagnamento per il personale toccato dalla ristrutturazione.

Una pratica non del tutto isolata

“Avevamo denunciato il fatto che le procedure adottate non sono state corrette, di più non posso dire in questa fase”, rileva Giangiorgio Gargantini, segretario di Unia. Ma è comunque “positivo che la richiesta di un confronto con i sindacati sia stata accettata, evitando trattative individuali con i singoli impiegati”, che sono poi sfociate, a detta dei lavoratori, in un vero e proprio ricatto non troppo elegante.  

La questione a questo punto è semmai quella di capire se si tratti di un caso isolato o sia invece il sintomo di un fenomeno di deregolamentazione che si sta delineando sul mercato, messo a dura prova da chiusure e zone rosse imposte dalla pandemia. Restrizioni che peraltro si sono ripetute dal mese di marzo dello scorso anno, soprattutto oltre confine da dove proviene la stragrande maggioranza della clientela del centro del lusso e della moda ticinese.

“Un salario lordo di 3’300 franchi lordi al mese è nettamente insufficiente per poter vivere in Svizzera ed è normale che gli stessi dipendenti vadano poi a fare la spesa in Italia”.

Giangiorgio Gargantini, sindacalista Unia 

Proprio in questi giorni sono stati riportati dai media casi analoghi come quello della Gkn Driveline, ex fabbrica fiorentina della Fiat passata a un fondo d’investimento americano che ha appena lasciato a casa 422 lavoratori con una email, e della brianzola Giannetti Fad Wheel che ha comunicato con le stesse modalità ai 152 dipendenti la chiusura definitiva dello stabilimento di Ceriano Laghetto. Se per il segretario di Federcommercio Rinaldo Gobbi il caso Burberry “non è la regola”, per il sindacalista Giangiorgio Gargantini “non è un unicum”, anche se nel settore della vendita la situazione si presenta piuttosto variegata, in funzione dell’ambito merceologico e della clientela.

Mercato sotto pressione

C’è poi la concorrenza della vicina Italia che contribuisce a distorcere il mercato del lavoro nella vendita nel quale, sempre secondo il segretario di Unia, l’entrata in vigore nel gennaio dello scorso anno del contratto collettivo obbligatorio (Ccl) a livello cantonale, non ha migliorato significativamente le condizioni dei collaboratori. “Un salario lordo di 3’300 franchi lordi al mese è nettamente insufficiente per poter vivere in Svizzera”, osserva Giangiorgio Gargantini, “ed è normale che gli stessi dipendenti vadano poi a fare la spesa in Italia” e non nel negozio in cui sono impiegati. 

Va comunque sottolineato che il contratto collettivo di lavoro nella vendita contiene prescrizioni minime, che il sindacato Unia – a differenza dell’Organizzazione cristiano sociale ticinese (Ocst) che ha firmato l’accordo – ritiene inadeguate.

Ai dettaglianti resta la facoltà di concordare con i rappresentanti dei lavoratori dei contratti aziendali che prevedono condizioni migliori, come hanno del resto promosso importanti distributori come Coop, Migros e lo stesso FoxTown. Nel grande centro commerciale della moda c’è un partenariato forte e sono riconosciute compensazioni importanti per i lavoratori, indica Giangiorgio Gargantini, “ma questo non impedisce che si verifichino casi come quello che ha coinvolto i negozi Burberry”. 

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