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Con Jean-Luc Godard se ne va un pezzo di storia della settima arte

Jean-Luc Godard
Jean-Luc Godard nel 2010 a Zurigo durante la cerimonia per l'attribuzione del Grand Prix Design. © Keystone / Gaetan Bally

Dopo la scomparsa due giorni fa di Alain Tanner, il cinema svizzero è di nuovo in lutto: il regista franco-elvetico Jean-Luc Godard, uno dei cineasti simboli della Nouvelle Vague, si è spento all'età di 91 anni nella sua casa di Rolle, sulle rive del lago Lemano.

Jean-Luc Godard è morto martedì “attorniato dai suoi cari”, hanno annunciato la moglie Anne-Marie Miéville e i suoi produttori in un breve comunicato, precisando che non ci sarà nessuna cerimonia ufficiale e che il cineasta verrà cremato.

Il regista ha fatto ricorso al suicidio assistito (autorizzato in Svizzera a determinate condizioni), secondo quanto rivelato dal quotidiano francese Libération e confermato da diverse fonti. “Il suo corpo era stanco; non poteva più vivere normalmente a causa di diverse patologie”, ha spiegato all’agenzia stampa Keystone-Ats un suo amico intimo. “Penso che per un uomo così indipendente, così integro, sia stato un grosso ostacolo non poter fare affidamento sui propri mezzi fisici come tutti gli altri”.

Il decesso di colui che è considerato uno dei registi più significativi della seconda metà del Novecento, esponente di spicco della Nouvelle Vague, che sul finire degli anni Cinquanta rivoluzionò i codici del cinema, ha suscitato un’ondata di reazioni di cordoglio. Il ministro della cultura svizzero Alain Berset si è detto “molto toccato” dalla morte di “uno dei più grandi cineasti” elvetici. “Le sue opere hanno ispirato generazioni di registi in tutto il mondo e la sua immensa eredità e influenza passeranno alla storia”.

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“È stata come un’apparizione nel cinema francese, del quale poi divenne un maestro”, ha reagito da parte sua il presidente francese Emmanuel Macron. “Jean-Luc Godard, il più iconoclasta dei registi della Nouvelle Vague, aveva inventato un’arte decisamente moderna e intensamente libera. Abbiamo perso un tesoro nazionale, lo sguardo di un genio”.

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” E Godard creò il disprezzo ed è all’ultimo respiro che ha raggiunto il firmamento degli ultimi grandi creatori di stelle”: è invece giocando sui titoli dei film più famosi suoi e di Godard che Brigitte Bardot ha invece reso omaggio al regista, che nel 1963 l’aveva appunto diretta in Le Mépris (Il disprezzo).

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Per il direttore della Cineteca svizzera Frédéric Maire, “Godard era IL cinema, con la maiuscola”. La cosa più affascinante del suo lavoro “è che non ha mai smesso di sperimentare”, ha dichiarato Maire all’agenzia stampa Keystone-Ats. “Sperimentava sempre nuovi linguaggi, nuovi modi di raccontare storie. E nuove riflessioni, perché il suo cinema non era vuoto, ma in diretto contatto con i tempi moderni”.

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Jean-Luc Godard è nato a Parigi il 3 dicembre 1930. Dopo un’attività di critico cinematografico e alcuni cortometraggi, ha esordito sul grande schermo nel 1959 con Fino all’ultimo respiro, con Jean-Paul Belmondo, sorta di film-manifesto di quella che sarà poi chiamata la Nouvelle Vague e in cui si rispecchiavano le aspirazioni di molti autori appartenenti alla sua generazione: un cinema a basso costo, fuori dalle strutture industriali, sottratto alle regole dello spettacolo.

Oltre 120 film

Alla critica radicale del linguaggio cinematografico tradizionale, si unì, nei film successivi, una sempre più consapevole critica dei valori sociali dominanti: Questa è la mia vita (1962); La donna è donna (1962); Les carabiniers (1963); Il disprezzo (1963), tratto dall’omonimo romanzo di Alberto Moravia; Una donna sposata (1964); Il bandito delle ore undici (1965); Il maschio e la femmina (1966); Una storia americana (1966); Due o tre cose che so di lei (1966).

A partire dal 1967 Godard si volse a un cinema più esplicitamente militante, sperimentando nuovi modi di produzione e insieme di elaborazione estetica e ideologica con, ad esempio, La cinese (1967); British sound (1969), Pravda (1969), Lotte in Italia (1970) o Crepa padrone, tutto va bene (1972).

Liricità e ironia, consapevolezza della crisi e una nuova sensibilità figurativa sembrano invece prevalere (pur nella fedeltà a un’idea di cinema come rischio formale e ideale e a uno stile sempre innovativo e sperimentale) nei film girati dalla fine degli anni Settanta: Si salvi chi può (1979); Prénom Carmen (1982); Je vous salue Marie (1984); Détective (1985); Nouvelle vague (1990); Germania nove zero (1992).

Negli anni Novanta Godard proseguì la sua ricerca di nuove forme visive realizzando, tra gli altri, Ahimè! (1993) o Forever Mozart (1996). Ha “riscritto”, con un taglio critico, anche una personale storia del cinema attraverso Histoire(s) du cinéma (1998), L’origine du XXIème siècle (2000) e Pour une histoire du XXIème siècle (2000).

Più recentemente ha diretto: Éloge de l’amour (2001); Notre musique (2004); Vrai faux passeport (2006); Film socialisme (2010); Adieu au langage (2013, per il quale l’anno successivo ha ricevuto il Premio della giuria al Festival di Cannes) e, infine, Le livre d’image (2018, Palma d’oro speciale alla 71a edizione del Festival di Cannes).

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