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Cervi troppo voraci sul confine, la rabbia degli agricoltori

Una branco di cervi che staziona nel Porlezzese.
Una branco di cervi che staziona nella regione del Ceresio, tra Porlezza e Menaggio (Como). tvsvizzera

Gli allevatori nella regione del Ceresio, sul versante Comasco, si lamentano per i crescenti danni provocati dagli ungulati, ma anche nella Svizzera italiana, dove il tasso di crescita annuo dei cervi è del 50%, il problema è ben presente.

Uomini e animali selvatici, una convivenza non sempre facile, soprattutto nella stagione invernale quando freddo e neve ad alta quota spingono gli ungulati a ridosso degli abitati. È quello che stanno denunciando in queste settimane allevatori e agricoltori nella regione attorno ai laghi di Lugano e Como che ormai quotidianamente si trovano a fare i conti con le incursioni di cervi.

E non si tratta di casi isolati, di alcuni esemplari intrepidi che approfittando delle tenebre si avvicinano alle pastoie degli animali da reddito ma di interi branchi che, come documentiamo nel servizio video girato nei pressi della riserva naturale Lago di Piano a Carlazzo (Como), a est del Ceresio, pascolano tranquillamente in pieno giorno a poche decine di metri dalle case. Approfittando anche dell’area protetta di circa 180 ettari che offre loro un sicuro rifugio. Solo nel Porlezzese ne hanno contati non meno di quattrocento esemplari.

Cervi avidi di foraggio

Ma se l’incontro con questi docili animali può far felici molte persone – soprattutto gli amanti della natura, sempre più minacciata dal nostro modello di sviluppo – la stessa cosa non può dirsi per i battaglieri allevatori della zona, costretti a fare la conta quotidiana dei danni provocati dalla voracità dei cervi: recinsioni divelte, balle di foraggio violate, colture depredate e alberi da frutto scortecciati e quindi destinati a deperimento.

Non da ultimo, ci viene sottolineato dai nostri interlocutori, deiezioni sparse dappertutto che vanno ad alterare il regolare ciclo dei terreni destinati al foraggio dei bovini. Una vera disdetta, insomma, per chi deve garantire l’alimentazione delle proprie bestie, in particolare delle mucche da latte allevate nella frazione Castello a Carlazzo.

Naturalmente sono previsti appositi indennizzi della Regione agli allevatori ma sulle valutazioni dei danni e le modalità di erogazione vengono espresse riserve e critiche da parte di questi ultimi. Per ovviare agli inconvenienti creati dalla presenza degli ungulati, cui va ad aggiungersi proprio in questo periodo l’emergenza della peste suina veicolata dai cinghiali – segnalata per il momento soprattutto in Liguria e Piemonte – le autorità regionali hanno promesso il loro intervento mentre ai responsabili della locale comunità montana e della riserva naturale è giunta l’espressa richiesta di promuovere il trasferimento di parte della popolazione degli ungulati in altre zone.

Situazione in Svizzera e Italia

La popolazione dei cervi è comunque in costante crescita anche al di là del confine ad ovest del Porlezzese, e le problematiche paiono del tutto analoghe, anche perché nei cantoni alpini che confinano con il Belpaese (Grigioni, Ticino e Vallese) l’habitat è ideale per questi ungulati. Negli ultimi 20 anni il loro numero è costantemente aumentato nella Svizzera italiana (Ticino e Mesolcina, nei Grigioni), in particolare nelle valli superiori, ma un’evoluzione analoga riguarda anche numerose regioni della Confederazione, dove a metà ‘800 questa specie era quasi scomparsa.

Oggi si contano oltre 35’000 esemplari in Svizzera (ce n’erano 28’500 nel 2010) che sono diffusi soprattutto sull’arco alpino centrale e orientale (16’000 nei Grigioni, 6’500 in Ticino e 5’200 in Vallese) ma l’attualità non riporta in questa fase criticità riguardanti gli ungulati. La cronaca e la politica, federale e cantonale, si occupano con maggiore frequenza e risalto della diffusione di altri animali, come il lupo che continua a monopolizzare il dibattito e i servizi dei media.

La popolazione dei cervi in Italia è stimata in 44’000 esemplari, la metà dei quali nelle Alpi centro-meridionali (22’400), 11’600 vivono sulle Alpi occidentali, 5’400 nell’Appennino settentrionale. Il resto degli ungulati e diviso tra Sardegna (2’700 capi) e Appennino Centrale (1’500). Sono previsti piani di abbattimento selettivo nelle Alpi, da parte dei cacciatori, allo scopo di regolarne la crescita (nel 1998-99 il prelievo è stato di 3’800 animali). Ma per gli agricoltori questo non basta.

Questo non significa che qualche malumore affiori di tanto in tanto anche al di qua del confine. “In primavera ne hanno contati 700/800 in una sola notte qui in Leventina (Ticino settentrionale)”, ci dice Omar Pedrini, presidente dei contadini ticinesi.  “Ogni tanto girano in paese e arrivano fino alla porta di casa. Adesso non fanno grandi danni all’agricoltura perché è tutto gelato ma quando inizia la primavera seguono la crescita dell’erba, dalle quote basse a quelle più alte”. È previsto un piano di abbattimento selettivo emesso dalle autorità cantonali “ma non basta”, asserisce Omar Pedrini. E riguardo agli eventuali indennizzi “non li chiedo più, troppa carta da riempire”, taglia corto il portavoce degli agricoltori del Cantone meridionale.

Crescita annua del 50%

In effetti, riconosce Andrea Stampanoni, dell’Ufficio caccia e pesca ticinese, il problema è reale e i servizi cantonali ricevono ogni anno circa 250 richieste di indennizzo e 1’500 reclami per i danni provocati dalla selvaggina (causati in particolare da cervi e cinghiali) che gravano sulle casse pubbliche per un ammontare superiore al mezzo milione di franchi. Del resto in Ticino, osserva il collaboratore tecnico e guardacaccia, che ha una superficie immensa ricca di boschi e montagne, il cervo trova condizioni ottimali e, con un tasso di riproduzione annuo del 50% (durante gli inverni con scarse nevicate come quello attuale), lo si trova dal Piano di Magadino fino a tremila metri.

Per contenerne la proliferazione e ridurre i danni all’agricoltura la strategia è duplice: da un lato il cosiddetto prelievo venatorio, che “resta fondamentale” e che nella stagione che si è appena chiusa ha riguardato 2’100 capi (circa il 40% dei cervi presenti nel cantone sudalpino) su un totale di circa 5’000 ungulati cacciati all’anno e dall’altro la collaborazione con i contadini, in termini di incentivi alla protezione delle colture (in particolare le recinzioni a quelle pregiate come la vigna) e la gestione dei danni attraverso l’apposito sportello online.

Naturalmente poi i servizi cantonali si occupano dell’elaborazione del censimento della fauna e dei piani di abbattimento. Sono inoltre stati segnalati (nell’ambito del progetto intercantonale Tigra) spostamenti sulla fascia di confine, in particolare verso il Comasco, indica Andrea Stampanoni, ma non si tratta di flussi migratori rilevanti, dal momento che non vi è l’incentivo a migrare.

Un fenomeno rilevato anche da Nicola De Tann, guardacaccia nel Grigioni Italiano da dove alcuni ungulati si dirigono durante la stagione invernale verso sud per poi tornare in primavera. “Vanno dove trovano migliori condizioni, in termini di qualità di nutrimento e di tranquillità”, dato che capiscono di essere al sicuro nelle riserve naturali come quella di Pian di Spagna, tra Valtellina e Valchiavenna, “ma non c’è una regola precisa”. Di sicuro, continua Nicola De Tann, “da noi d’inverno nell’alta valle, dove la neve non va via, non c’è selvaggina”.  

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