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Muro della May su Irlanda e giurisdizione Ue

Unione europea e Regno Unito sembrano sempre distanti sulla Brexit. A impedire un’intesa restano due nodi che allo stato delle discussioni restano insormontabili. La giurisdizione della Corte di giustizia europea, che per Londra è destinata a cessare nel breve periodo, e la frontiera con l’Irlanda.

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Nel suo atteso terzo discorso-manifesto sul tema, la premier Theresa May ha ribadito la necessita di giungere a un’intesa che consenta però a Londra il recupero del controllo “dei nostri confini, del nostro denaro e delle nostre leggi”.

La libertà di movimento dei cittadini europei è quindi destinata a finire. Per l’inquilina di Downing Street non sono pensabili, nonostante le polemiche di queste settimane, passi indietro sull’unione doganale, sul mercato unico e sui contestati confini con l’Irlanda.

Su quest’ultimo punto Theresa May ha espresso profonda contrarietà alla proposta dell’Ue di un’area comune tra le due Irlande (da cui sarebbe esclusa la Gran Bretagna). Per la leader dei Tory è infatti “inaccettabile creare barriere nel mercato interno del Regno Unito”, anche se nel contempo ha riconosciuto che il suo esecutivo non potrà ottenere “tutto quello che vuole” nei negoziati sulla Brexit.

La priorità resta sempre quella di giungere a un accordo commerciale con l’Ue “il più ampio possibile”. Ma per le controversie in questo ambito occorre una  meccanismo indipendente d’arbitrato”, un organismo terzo, poiché non può essere la corte “di una delle parti” a dirimere future dispute.

La premier britannica ha poi elencato cinque principi cardine ai quali dovrà sottostare il patto con Bruxelles: il primo è “il rispetto del risultato del referendum”, il secondo è che sia un’intesa duratura, da non rimettere in discussione, il terzo che tuteli “il lavoro e la sicurezza” dei cittadini, il quarto che sia “coerente con il tipo di Paese che vogliamo”, cioè “una democrazia europea aperta, affacciata sull’esterno e tollerante” e il quinto che non indebolisca “l’unione delle nazioni e dei popoli” del Regno. E in definitiva, ha avvertito, è meglio “nessun accordo che un cattivo accordo”.

 

 

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