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Benzina alle stelle, Berna non si muove: a sconfinare per il pieno sono ora gli svizzeri

Distributore di benzina in Lombardia.
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Impennata dei prezzi dei carburanti, i governi adottano contromisure ma Berna non si muove. E con il taglio delle accise in Italia a sconfinare sono ora gli svizzeri.

L’aumento vertiginoso del prezzo del carburante di questi giorni sta iniziando a pesare sulle tasche delle famiglie e la politica studia possibili agevolazioni. In tutti i paesi vicini i governi hanno adottato misure per contenere i continui rialzi applicati dai distributori ma per il momento Berna è rimasta inerte.

Da martedì 22 marzo in Italia è entrato in vigore il taglio delle accise sui carburanti deciso dal Governo Draghi che porta a un risparmio di circa 30 centesimi al litro (pari a 25 di sconto e 22% di Iva) fino al prossimo 20 aprile. Il prezzo alla pompa è immediatamente sceso da 2,13 a 1,78 euro e già nel pomeriggio sono state notate code di auto immatricolate in Svizzera alle stazioni di servizio del Comasco e del Varesotto.

Turisti del pieno all’incontrario

Una differenza che arriva fino a circa 20 centesimi al litro e che per un pieno può portare a un risparmio, per i “frontalieri del pieno” elvetici, di 10-11 franchi (0,98-10,73 euro). Un fenomeno inedito e opposto a quanto avvenuto nei decenni passati quando a passare il confine per fare il pieno erano gli automobilisti lombardi, attratti dal minore carico fiscale sui carburanti praticato storicamente nella Confederazione.

Ma la guerra in Ucraina ha rimescolato le carte. Nonostante l’apprezzamento del franco, molto richiesto sui mercati finanziari nei periodi di crisi, il prezzo del litro di benzina è schizzato anche in Svizzera da circa 1,80 franchi, alla vigilia dell’inizio dell’invasione russa (24 febbraio), ai 2,30 dello scorso 10 marzo. E per gli analisti il costo dell’energia è destinato a rimanere elevato anche nei prossimi mesi, anche perché la crisi nell’Est Europa si è inserita in un trend che era già in atto.

L’imposta federale sugli oli minerali è pari a 76,82 cts al litro di benzina (di cui 31,52 per il supplemento d’imposta carburanti) e 79,57 cts per litro di diesel (31,46 di supplemento d’imposta). Nel 2020 ha fruttato 2,5 miliardi (a cui vanno aggiunti 1,66 miliardi per il supplemento d’imposta carburanti).

Il 50% di questo tributo sui consumi è vincolato al traffico stradale e aereo, il 5% è destinato al Fondo per le strade nazionali e il traffico d’agglomerato e il 45% finisce nelle casse della Confederazione. Il margine di manovra di un eventuale taglio d’imposta si rifletterebbe su quest’ultima quota, che non è vincolata.

L’altra misura dibattuta al Consiglio Nazionale riguarda l’Iva che,  una volta terminato l’iter parlamentare, sarà tolta dalla quota delle tasse che gravano sul prezzo dei carburanti. Il costo del litro dovrebbe scendere di circa 7 cts, determinando un minore gettito annuo di 240 milioni di franchi.

Ma qualcosa a Palazzo federale si sta muovendo. Innanzitutto è stata rispolverata nei giorni scorsi un’iniziativa parlamentareCollegamento esterno depositata nel marzo 2019 del deputato Udc (destra) Franz Grüter che chiede di sopprimere l’Iva sulle imposte che gravano sui carburanti (benzina, diesel, olio combustibile). Oggi infatti questo tributo viene riscosso sull’intero prezzo del combustibile, compresa quindi la quota delle tasse già percepita dall’erario.

Al voto positivo del Nazionale (Camera bassa) farà ora seguito l’esame degli Stati. In aggiunta a questo si vuole dotare il governo federale degli strumenti per ridurre in tempi rapidi – qualora ve ne fosse l’esigenza come in questo frangente – le imposte sui carburanti, eventualità che gli è attualmente preclusa per assenza di una specifica base legale.

A questo scopo, sempre al Consiglio Nazionale, si è coagulata una maggioranza “borghese” (centro, liberali, Udc) attorno a una mozione che consentirà al Consiglio federale, anche attraverso il diritto d’urgenza, di intervenire sulle accise, in caso di aumenti prolungati dei prezzi sui carburanti. Sviluppi sono quindi attesi già dalle prossime settimane.

Sull’efficacia però di queste iniziative può sorgere più di un interrogativo. Innanzitutto poiché il margine di manovra della politica è pur sempre limitato rispetto alle notevoli oscillazioni sui mercati dell’energia e delle materie prime, soprattutto se il conflitto in Ucraina dovesse durare a lungo. Ma i dubbi sollevati dagli economisti riguardano la natura stessa dell’intervento pubblico.

Economisti prudenti sugli effetti di queste misure

Più nel dettaglio, in merito alle proposte avanzate in questi giorni a Berna, l’economista Amalia Mirante (Università della Svizzera italiana e Scuola professionale della Svizzera italiana) ritiene che la soppressione dell’Iva sui tributi che gravano su benzina, diesel e olio da riscaldamento presenti grandi difficoltà, dal profilo tecnico, per la sua attuazione.

Si potrebbe semmai pensare a una fase transitoria in cui agire sulle imposte sugli oli minerali. Ma solo a titolo temporaneo perché “non si sa quanto durerà questo shock che sta scombussolando il sistema” e allo scopo preciso di fare in modo che i cittadini e le aziende possano adattarsi all’impennata dei prezzi dei carburanti. “Ma non credo che sia efficace nel medio termine, può funzionare solo nel breve per impedire che il nostro sistema produttivo risenta troppo di questi sbalzi”, specifica l’economista. Non è detto poi, avverte Amalia Mirante, che il calo del prezzo che deriverebbe da una riduzione dell’imposta sugli oli minerali si rifletta sui prodotti finali.

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In altre parole, sul pieno di benzina al distributore questa riduzione la si percepisce facilmente ma la stessa cosa non è scontata sui prezzi dei prodotti dei supermercati, che pure beneficiano di una diminuzione dei costi di produzione e di trasporto. “Siamo un’economia in cui i prezzi fanno fatica a scendere verso il basso”, per cui interventi di questo tipo “andrebbero calibrati in favore di chi effettivamente è esposto direttamente a questo fenomeno”.

Concetto che dovrebbe tradursi sul piano pratico in aiuti mirati ai settori realmente colpiti, alle aziende, ai consumatori – magari integrati con incentivi all’acquisto di sistemi di riscaldamento a basso impatto ambientale – ma niente sussidi a annaffiatoio.

Prezzi in salita da tempo

Il problema di fondo è che l’impennata dei prezzi in seguito agli avvenimenti in  Europa dell’Est si salda con un’evoluzione in atto da tempo. C’era già infatti una forte pressione sui prezzi energetici, osserva in proposito Amalia Mirante, derivante dal forte aumento della domanda – a produzione invariata (“chi estrae petrolio non ha ovviamente interesse ad incrementare la produzione, soprattutto a breve”) – dovuto alla fine delle restrizioni contro la pandemia e all’incremento dei consumi, in particolare in Cina. Inoltre, “il petrolio è per gli investitori, insieme all’oro e al franco svizzero, un bene rifugio nei periodi di crisi”.

C’è poi una grande incertezza data dal conflitto in Ucraina, che potrebbe addirittura estendersi, e dalla ripresa dei contagi di Covid-19. A questo si aggiunge la speculazione e l’aumento dei costi, come ad esempio quelli di estrazione, di stoccaggio e di trasporto. Uno scenario, insomma, che lascia presagire un livello elevato dei prezzi dell’energia, in particolare dei derivati del petrolio, per ancora molto tempo.

L’intervento dello Stato è “distorsivo e inefficace”

“L’esperienza della forte inflazione degli anni Settanta e Ottanta – ma anche in parte degli anni Novanta del secolo scorso – ha dimostrato che tutti gli interventi da parte degli enti pubblici per tentare di bloccare i prezzi di determinati beni e i salari sono stati fallimentari, perché inseriscono un elemento di distorsione – che oltretutto crea palesi iniquità dal profilo sociale tra proprietari di veicoli privati e utenti dei mezzi pubblici – in un contesto di quasi libero mercato”, sostiene Mauro Baranzini, professore emerito di economia all’USI (Università della Svizzera italiana).

Inoltre, aggiunge l’economista ticinese, “il mercato dei carburanti è estremamente rigido”. L’evidenza empirica dimostra infatti che a un aumento del prezzo alla pompa del 10% nel breve periodo (6 mesi) corrisponde una diminuzione della quantità di benzina venduta di solo l’1-1,5% mentre sul lungo periodo (10 anni) il calo è del 10%. E per questi motivi l’azione dello Stato, per poter essere efficace nel riorientare i consumi in senso virtuoso verso il trasporto pubblico, deve avere questo orizzonte temporale.

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