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Terrorismo, le inchieste sulle infiltrazioni rosse in Svizzera

Protagonisti degli anni di piombo si sono infiltrati in Svizzera durante gli anni '70, poggiandosi su una rete di fiancheggiatori. Keystone

La Svizzera italiana è stata oggetto delle attenzioni degli inquirenti italiani che indagavano su opposti estremismi negli anni '70 e '80.

Come è stato accertato dai fascicoli di varie procure e alcune sentenze, personaggi di primo piano come il fondatore di Potere Operaio Toni Negri o il brigatista Valerio Morucci (tra i protagonisti dell’agguato di Via Fani nel marzo del 1978) vi hanno soggiornato per alcuni periodi.

Le infiltrazioni dall’Italia di estremisti di sinistra (ma in alcuni casi anche della destra eversiva), appartenenti a varie organizzazioni extraparlamentari nate sulla scia del ’68, sono un dato accertato da varie inchieste condotte per lo più al di là del confine.

Delle due organizzazioni che hanno dominato la scena nella prima metà degli anni ’70, Lotta Continua (LC) e Potere Operaio (PO), sono soprattutto membri della seconda che hanno guardato con interesse al Ticino, in una fase però, va precisato, in cui non si era ancora giunti alla lotta armata conclamata che ha insanguinato il Belpaese nella seconda parte della decade, fino ai primi anni ’80.

Il ruolo di Carlo Fioroni

È soprattutto attorno alla controversa figura di un personaggio apparentemente di secondo piano, Carlo Fioroni, che gli inquirenti hanno ricostruito le trame dei gruppi che stavano radicalizzandosi attraverso la clandestinità e l’adesione alla logica delle armi.

Nato a Cittiglio (Varese) il 18 giugno 1943 Carlo Fioroni aderì a inizio anni ’70 a Potere Operaio (PO) dopo un’esperienza nei GAP di Giangiacomo Feltrinelli. Con alcuni compagni del Fronte armato rivoluzionario operaio, sigla vicina a PO, sequestrò il 14 aprile 1975 Carlo Saronio, il figlio di un noto industriale farmaceutico e simpatizzante dell’estrema sinistra. Ma il giovane, cui fu somministrata una dose eccessiva di cloroformio, morì durante l’operazione. Il gruppo chiese alla famiglia un riscatto di 5 miliardi di lire ma riuscì a ottenere solo 470 milioni.

Il mese successivo, il 16 maggio, Fioroni fu arrestato a Bellinzona insieme a due commilitoni mentre tentava di cambiare in una banca 67 milioni del bottino. Una volta estradato in Italia iniziò a collaborare con gli inquirenti, divenendo il primo importante pentito della sinistra. In base alle sue dichiarazioni, in cui fece i nomi e denunciò esponenti di primo piano di GAP, Lotta Continua, BR e soprattutto Lotta Operaia-Autonomia (con i fiancheggiatori ticinesi), il procuratore Pietro Calogero condusse la vasta inchiesta 7 aprile e Fioroni divenne il grande accusatore di Toni Negri. Nel 1982 venne scarcerato grazie ai benefici della legge sui pentiti e fece perdere le sue tracce all’estero. Secondo alcuni ambienti Fioroni avrebbe avuto costanti rapporti con i servizi segreti. 

Ai magistrati milanesi che indagavano sulle Brigate Rosse, il primo pentito del terrorismo rosso, con un passato nei Gruppi d’azione partigiana (GAP) di Giangiacomo Feltrinelli e in Potere Operaio, svelò a partire dal 1978 i dettagli dei collegamenti nella Confederazione. Fu nel 1969, secondo il racconto del “professorino”, che la Svizzera venne scelta come rifugio per Giangiacomo Feltrinelli, l’editore comunista morto per l’esplosione di una bomba che stava collocando su un traliccio a Segrate il 15 marzo 1972. Proprio per sfuggire alle indagini condotte a Milano su quell’episodio tre compagni di Feltrinelli, tra cui lo stesso Carlo Fioroni, trovarono ospitalità nella Svizzera italiana.

La villa dove Morucci nascondeva le armi

In proposito il pentito ha raccontato ai magistrati milanesi, come riportato dai verbali, che pernottò “in un paese vicino a Locarno e precisamente in una villetta sul lago affittata per un certo periodo di tempo da Valerio Morucci direttamente o per interposta persona”. Morucci, che militava in PO e non faceva ancora parte delle Brigate Rosse, “mi fece vedere nello scantinato della villetta un notevole deposito d’armi, che erano state trafugate da lui e da alcuni svizzeri da un deposito militare nei pressi di Locarno. Vidi una mitragliatrice, alcuni lanciarazzi di segnalazione e varie casse di bombe a mano”. Armi che successivamente lo stesso futuro esponente della colonna romana della BR provvide a trasferire in Italia e a distribuire a varie organizzazioni estremiste (tra cui, come fu accertato, le BR).

Ma ci furono due episodi che iniziarono a insospettire gli inquirenti. Il 12 dicembre 1972 la polizia ticinese fermò Enzo Fontana mentre si trovava in un’auto con targhe ticinesi e lo espulse per irregolarità riscontrate nei suoi documenti. Quattro anni dopo, il 19 febbraio 1977, il terrorista fu catturato in seguito all’uccisione di un brigadiere e al ferimento di un appuntato a Settimo Milanese nel corso di un controllo. La pistola utilizzata da Enzo Fontana, ex PO confluito nel nucleo storico delle BR, fu rinvenuta in una cassetta di sicurezza di una banca a Lugano.

Ci fu poi un secondo avvenimento emblematico: il 9 dicembre 1974 sopra il valico di Dirinella (Varese) vennero sorpresi quattro brigatisti rossi, coinvolti nell’omicidio di un brigadiere avvenuto quattro giorni prima ad Argelato (Bologna), mentre stavano cercando di riparare nella Confederazione con l’aiuto di militanti ticinesi. Il collante di tutti questi fatti, è stato successivamente appurato dagli investigatori, è costituito dalla rete locale che forniva supporto ai militanti italiani. La villetta sul Lago Maggiore (a Ranzo nel Gambarogno), l’auto su cui viaggiava Fontana e gli appartamenti in cui trovavano occasionale rifugio erano riconducibili ai compagni ticinesi.

Le rivelazioni del pentito

Altri sviluppi

Decisive al riguardo furono le rivelazioni di Carlo Fioroni, arrestato nel 1975 a Bellinzona, che una volta estradato ha iniziato a collaborare con la giustizia, smascherando la rete svizzera. “Ci demmo da fare per creare una rete di sostegno logistica in Svizzera, mediante il procacciamento di rifugi”, dichiarò il pentito. Ma il loro interesse era rivolto anche alle armi, acquistate in varie località confederate tra cui Lugano. 

In particolare emerse che il gruppo ticinese partecipò al furto di materiale bellico da uno stabile dell’esercito confederato a Ponte Brolla (Locarno) il 16 novembre 1972 e commise altri colpi in stand di tiro, cantieri e auto, prelevando documenti e armi. Materiale di cui hanno avuto la disponibilità Carlo Fioroni, Valerio Morucci e Enzo Fontana che hanno provveduto a portarlo in Italia.

Il processo ticinese

In base a queste dichiarazioni si è subito attivata anche la giustizia elvetica che ha aperto un procedimento conclusosi con la condanna, pronunciata il 30 ottobre 1981 dalla corte delle Assise criminali di Locarno, dei cinque imputati a pene detentive da 2 anni e 7 mesi a 8 mesi per i reati di furto, trasporto e occultamento di materie esplosive, ricettazione, violazione della legge federale sugli stranieri. Gli indagati ticinesi hanno subito ammesso le loro responsabilità collaborando con gli inquirenti, circostanza questa che spiega le condanne non troppo pesanti.       

Per uno di loro ci fu una coda giudiziaria in Italia nell’ambito del discusso processo 7 aprile, di cui Carlo Fioroni fu uno dei principali accusatori, nel quale la Procura di Padova portò alla sbarra i dirigenti di Autonomia Operaia, il movimento sorto dalle ceneri di Potere Operaio. Ma per le autorità elvetiche la vicenda si è chiusa nell’ottobre del 1981.

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