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Milesbo, un radicale DOC strenuo difensore dell’italianità

Statua di bronzo
Il monumento dedicato a Milesbo alle porte dell'agglomerato di Bruzella, in Valle di Muggio. tvsvizzera

Ricorre questo 27 novembre il centesimo anniversario dalla morte del ticinese Emilio Bossi, figura di spicco dell'arena politica e culturale elvetica della prima parte del XX secolo. Milesbo (questo lo pseudonimo che utilizzava), amante del Ticino e in particolare della sua Valle di Muggio, è stato anche uno strenuo difensore di una certa idea di italianità.

Percorrendo la strada che risale il versante orientale della Valle di Muggio, all’entrata dell’agglomerato di Bruzella, ci si imbatte in un monumento raffigurante un distinto e corpulento signore barbuto.

Chi vi transita davanti non avrebbe difficoltà a capire chi sia il soggetto di questo bronzo. Per un semplice motivo: è scritto. Si tratta di Emilio Bossi – Milesbo.

Solo una piccola parte dei passanti potrebbe però dire qualcosa di più. E una parte ancora più esigua saprebbe che, se fosse dipeso dal corpulento signore a cui il re del Belgio conferì il titolo di Cavaliere dell’Ordine di Leopoldo, a Bruzella si sarebbe potuti arrivare in treno.

Ma mettiamo un po’ d’ordine. Chi era Milesbo e perché lo si ritiene “un difensore dell’italianità”? Ad aiutarci a rispondere a queste domande è Edy Bernasconi, autore di un libro dedicato proprio a Bossi: “Libertà e laicità – L’eredità di Emilio Bossi (Milesbo) a 150 anni dalla nascita e 100 dalla morte”.

Emilio Bossi nasce a Bruzella il 31 dicembre del 1870. Dopo gli studi di diritto a Ginevra ritorna in Ticino dove alterna l’attività di avvocato con la politica e il giornalismo.

Come sottolineato nella prefazione a cura dello storico Orazio Martinetti, era proprio su gazzette e periodici, fogli e opuscoli che si era spostato l’acceso dibattito tra liberali e conservatori, che fino a poco tempo prima non di rado sfociava in conflitti che non disdegnavano il ricorso alle armi.

Nel 1895, Milesbo dà vita con Francesco Chiesa al quotidiano radicale “L’idea moderna” che ebbe breve vita prima di confluire nella “Gazzetta Ticinese”. Fonda poi “L’Azione”, organo del gruppo radicale democratico e nel 1920, anno della sua morte, è per un breve periodo direttore del quotidiano radicale democratico “Il Dovere”.

Il libro di Edy Bernasconi, edito da Fontana edizioni, è stato realizzato per conto dell’Associazione ticinese di cremazione, una pratica per la cui introduzione Milesbo si batté nell’ambito della sua lotta per la separazione tra Stato e Chiesa. A Emilio Bossi è stato recentemente dedicato il Tempio crematorio di Lugano.

In un “Ticino che odorava di incenso”, si legge nella prefazione, Milesbo si batte per la separazione tra Stato e Chiesa al punto che il suo anticlericalismo è uno degli aspetti per cui lo si ricorda maggiormente. Dal suo saggio “Gesù Cristo non è mai esistito” emerge il Milesbo filosofo, che sull’onda del positivismo ottocentesco, lancia in un lavoro di decostruzione dei testi della tradizione cristiana che suscita interesse ancora oggi.

Ma non solo la religione, nel pensiero del Bossi, doveva poter essere oggetto di indagine scientifica. Bossi applica lo stesso discorso alla morale, che deve essere il risultato di un’elaborazione razionale e non di dogmi.  

La sua idea di libertà si estende quindi anche all’economia e alle questioni sociali. “Secondo il nostro”, scrive Edy Bernasconi, “una volta raggiunta la libertà politica è necessario compiere un passo ulteriore, mettendo in condizione tutti gli uomini e non solo una parte di essi, di poter beneficiare a pieno titolo dei diritti garantiti dal sistema democratico. Viene da qui l’esigenza di profonde riforme tese a elevare la condizione delle classi subalterne attraverso misure riguardanti i rapporti tra capitale e lavoro, mettendo ad esempio i salariati in condizione di partecipare alla gestione delle imprese”.

Milesbo è dunque un un esponente della frangia radicale. Si affilia anche per un breve periodo al partito socialista. Una corrente con cui però in seguito rompe, a causa della sua fedeltà ai principi liberali come quello della proprietà privata e per un altro aspetto: l’italianità, appunto.

Interventismo

Il pensiero di Milesbo ha radici nella cultura risorgimentale italiana. Edy Bernasconi ci ricorda come nel XIX secolo ci siano stati forti legami tra i liberali ticinesi e i protagonisti del Risorgimento italiano. Mazzini, Cattaneo e i fratelli Ciani furono tutti esuli in Ticino.

Emilio Bossi difende il diritto all’autodeterminazione dei popoli e quella cultura di matrice italiana che lo porta durante la Prima guerra mondiale a essere un attivo interventista a favore della Triplice intesa (tra Francia, Gran Bretagna e Russia) contro gli Imperi centrali.

Questa posizione lo mette in diretto conflitto con quelle forze politiche – soprattutto nella Svizzera tedesca – che invece simpatizzavano con la Germania o ritenevano che la neutralità svizzera consistesse nel non esprimere il minimo giudizio su quello che accadeva a livello internazionale. Dai giornali e dai banchi del Consiglio nazionale (la “Camera bassa” del parlamento elvetico di cui fu membro dal 1914 al 1920) lancia un appello affinché le potenze neutrali si schierino, a livello puramente diplomatico, a favore del Belgio, aggredito dai tedeschi. Una posizione che, a conflitto terminato, gli vale la più alta onorificenza belga, il titolo di Cavaliere dell’Ordine di Leopoldo.

“Per Milesbo, difesa dell’italianità voleva dire difesa dei diritti delle minoranze nei confronti di culture rappresentate da Stati e poteri più forti.”  Edy Bernasconi

Il distacco totale dal Partito socialista, che allora era diviso tra pacifisti e favorevoli alla Triplice intesa, avviene dopo l’ascesa al potere di Lenin, quando la Russia firma una pace separata con gli Imperi centrali. “Un tradimento” anche nei confronti dell’Italia, secondo Milesbo, il quale usa parole molto pesanti contro i sovietici. I suoi rapporti con i socialisti si sbriciolano quindi in un conflitto aperto.

Ad avvicinarlo all’Italia, dove possono essere scovate vie e monumenti dedicati a Milesbo (specialmente nella provincia di Varese), si può citare inoltre lo spazio che dava nei suoi giornali a esuli italiani, e la sua vicinanza, come massone, alle logge italiane. Queste, rifacendosi all’illuminismo, si battevano per la separazione tra Stato e Chiesa, lotta di cui Milesbo era, come già detto, un grande esponente.

“La difesa dell’italianità non va confusa con quella di altri”, ci spiega Edy Bernasconi. “Per esempio, quella di Francesco Chiesa che identificava il principio di nazionalità a razza, lingua e cultura. Mentre per Bossi lingua, culture e minoranze vanno rispettate nell’ambito di un progetto legato a volontà comuni che vadano oltre. Per lui difesa dell’italianità voleva dire, nel caso svizzero e non solo, difesa dei diritti delle minoranze nei confronti di culture rappresentate da Stati e poteri più forti”.

A dimostrazione di ciò, il fatto che in nessuno dei suoi scritti o dei suoi interventi, traspare l’idea di separare il Ticino dalla Svizzera, pur difendendone a spada tratta l’identità.

Milesbo oggi

A 150 anni dalla nascita e 100 dalla morte del corpulento signore barbuto che scruta l’orizzonte a Bruzella, abbiamo chiesto a Edy Bernasconi quali aspetti del pensiero di Bossi siano interessanti da riscoprire.

A suo parere, oggi Milesbo sarebbe forse in contrasto con i partiti che si rifanno all’idea liberale e che difendono soprattutto gli interessi dei gruppi economici. Già all’epoca, Bossi riteneva che il liberalismo avesse svolto il suo dovere di difesa dei principi democratici, ma doveva spingersi più in là, affrontando la questione sociale tra favoriti e meno favoriti e dunque il tema dei rapporti tra capitale e mondo del lavoro.

Dal punto di vista della laicità, il mondo è oggi molto diverso da come lo conosceva Milesbo. Ma la sua visione, a parere di Bernasconi, può essere attuale nell’ambito della risposta europea a all’integralismo islamico e alla minaccia terroristica. La rievocazione delle radici cristiane dell’Europa per opporsi a questo fenomeno, con tutta probabilità, l’avrebbe irritato non poco. Il pensiero di Milesbo era ereditato dall’illuminismo e dalla tradizione laica francese. “Un Salvini con il rosario” non gli sarebbe piaciuto.

Infine, sul tema dell’italianità Edy Bernasconi commenta: “Limitandosi al Ticino, il riemergere di sovranismi anti-lombardi e anti-italiani fa pensare a un passo indietro rispetto alle posizioni di Milesbo, che era per l’apertura, il confronto aperto e il dialogo con chi ci sta attorno. Oggi invece c’è la tendenza a chiudersi in un sovranismo che potrebbe avere le gambe corte”.

Paesaggio
“Fina e fresca e pura è l’aria che in essa si respira, vibrante l’atmosfera, continua la brezza che ingagliardisce i nervi sferzandoli, terso il bel cielo di cristallo; solenni e calme le montagne sue, ammantate dal verde piacevole e riposante di una florida vegetazione, e rallegrate dalle mandrie pascolanti sulle sue alpi”. Non è discreta l’ammirazione di Milesbo per la sua valle natia. In primo piano in questa foto del 2014, Campora. Sullo sfondo a destra Caneggio, mentre sulla sinistra si intravede Bruzella. © Keystone / Ti-press / Davide Agosta

La “Valmuggiolina”

Un esempio dei progetti avanguardistici di Milesbo è il suo tentativo di dare uno slancio economico e turistico alla sua valle natia, la Valle di Muggio, proponendo di collegarla a Chiasso (parte del principale asse nord-sud), con una ferrovia elettrica. 

È interessante notare come, ancora oggi, la Valle di Muggio sia considerata un tesoro misconosciuto della Svizzera. Pur avendo vinto nel 2014 il premio di “Paesaggio dell’anno” da parte della Fondazione svizzera per la tutela del paesaggio, la sua fama passa in secondo piano rispetto ad altre valli ticinesi, come la Vallemaggia o la Verzasca. 

Già nel 1910 Milesbo scriveva: “La perla delle valli ticinesi non è ancora conosciuta quanto meriterebbe.” Eppure, “per commerci e bellezze naturali questa valle non è seconda a nessuna, nel Cantone Ticino. Chi la percorresse di sovente sarebbe meravigliato della straordinaria ed imponente quantità di carri, carichi e merce, che incontrerebbe ad ogni passo (…). E chi la visitasse con animo d’artista, vi scoprirebbe tali meraviglie di naturali bellezze, da chiedersi stupefatto come mai essa non goda nel mondo turistico di quella rinomanza che ha reso celebri e popolate altre località molto meno belle, romantiche, poetiche”.

La risposta che Bossi stesso si dà è la difficile accessibilità alla valle. Da qui la proposta della costruzione “di una ferrovia elettrica in Valle di Muggio”, che è anche il titolo della pubblicazione da cui è tratta la precedente citazione.

Sempre nell’ottica delle possibilità che il moderno progresso scientifico avrebbe permesso, Milesbo vedeva nel progetto un modo di dare nuovo lustro a questo angolo di Svizzera.

La ferrovia non fu mai realizzata, a causa dell’opposizione della cremagliera del Monte Generoso che vi vedeva un pericoloso concorrente prima, per la preferenza data al trasporto su gomma e alle strade poi. È però legittimo immaginarsi come sarebbe diversa la valle oggi, se una tale impresa fosse divenuta realtà. A questo proposito basti pensare come la Centovallina tra Locarno e Domodossola, costruita in quel periodo, è stata recentemente inserita dalla Lonely Planet tra le tratte ferroviarie più belle al mondo accanto, tra gli altri, al famoso “Trenino rosso” del Bernina. Chissà se anche la “Valmuggiolina” ne avrebbe fatto parte.

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