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CSt: clima, sì alla ratifica dell’accordo di Parigi

Via libera alla ratifica dell'accordo di Parigi sul clima. Dopo il Consiglio nazionale, anche gli Stati hanno appoggiato oggi gli impegni presi dalla Confederazione in ambito ambientale (foto simbolica d'archivio). KEYSTONE/AP/FRANCOIS MORI sda-ats

(Keystone-ATS) Via libera alla ratifica dell’accordo di Parigi sul clima.

Dopo il Consiglio nazionale, anche gli Stati hanno appoggiato oggi – con 39 voti a 3 e 1 astensione – gli impegni presi dalla Confederazione in ambito ambientale. Contro gli obiettivi formulati dall’intesa si è schierata una minoranza UDC. Il dossier è pronto per le votazioni finali.

L’argomento è più che mai di attualità, dopo che la settimana scorsa il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha annunciato la volontà di cambiare rotta in ambito climatico, abbandonando la convenzione sottoscritta nel dicembre del 2015 dal suo predecessore, Barack Obama.

Diversi oratori hanno voluto intervenire a sostegno del progetto. La decisione di Trump ha scioccato il mondo intero e mi sconcerta che nel nostro parlamento ci sia gente che la pensa allo stesso modo, ha affermato Beat Vonlanthen (PPD/FR), aggiungendo che “il surriscaldamento del clima è un dato di fatto”. In quanto Paese alpino saremo tra i più colpiti, ha fatto notare il suo collega di partito Beat Rieder (VS), citando lo scioglimento dei ghiacciai, come quello vallesano dell’Aletsch, i ripetuti periodi di siccità, le precipitazioni.

Per Raphaël Comte (PLR/NE) la decisione di Trump non solo è stigmatizzabile, ma ha dell’incredibile. “Per lo meno suscita una reazione vigorosa da parte degli altri Paesi”. La riduzione delle emissioni e l’efficienza energetica conducono a uno sviluppo economico che porta con sé molto potenziale, ha invece ricordato Pascale Bruderer Wyss (PS/AG), mentre secondo Roberto Zanetti (PS/SO), la protezione del clima ha semplicemente a che fare con “l’intelligenza politica”.

Anche la ministra dell’ambiente, Doris Leuthard, ha tenuto a sottolineare la particolare situazione della Svizzera. “In quanto Paese alpino siamo più vulnerabili rispetto ad altri”. L’accordo è frutto di un compromesso, ha poi aggiunto, ma ha il vantaggio di integrare anche Stati in via di sviluppo e non solo industrializzati.

L’intesa di Parigi mira a contenere l’aumento della temperatura mondiale media al di sotto dei 2 gradi rispetto al periodo preindustriale e a proseguire gli sforzi intrapresi per limitarlo a 1,5 gradi. Gli Stati firmatari sono chiamati a presentare ogni cinque anni obiettivi di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra e ad adottare misure nazionali a riguardo.

Devono anche elaborare una strategia di adattamento ai cambiamenti climatici, orientare i flussi finanziari in modo che siano impiegati a favore del clima e presentare periodicamente un rapporto sull’attuazione di tali misure. I Paesi industrializzati devono infine sostenere finanziariamente quelli in via di sviluppo per ridurre le emissioni.

In virtù dell’accordo, la Confederazione si impegna a diminuire entro il 2030 del 50% rispetto al 1990 l’emissione di gas a effetto serra. Il Parlamento disciplinerà i dettagli nella prossima revisione totale della legge sul CO2. In particolare, stabilirà quali quote della riduzione delle emissioni debbano essere realizzate in Svizzera e quali all’estero.

Contro l’obiettivo di tagli del 50% delle emissioni di anidride carbonica si è schierata una minoranza UDC, chiedendo una riduzione di solo il 30%. “Uno dei grossi problemi di questo accordo è che può essere facilmente ratificato ma diversamente interpretato”, secondo Werner Hösli (UDC/GL). A suo avviso l’intesa creerà un gigantesco meccanismo incontrollabile i cui costi si ripercuoteranno non solo sull’economia ma anche sulle famiglie.

“Siamo sulla buona strada anche senza l’accordo di Parigi: siamo già campioni del mondo nell’innovazione”, ha aggiunto invano Roland Eberle (UDC/TG) precisando che preferisce porsi obiettivi raggiungibili. Con 38 voti a 5 e 1 astensione il plenum ha però preferito seguire il parere del governo e della commissione preparatoria e mantenere l’obiettivo al 50%.

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