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Il conflitto tocca il settore svizzero delle materie prime

La crisi Ucraina sta mettendo a dura prova i rapporti tra la Russia e i suoi partner occidentali Reuters

La Svizzera si trova tra l'incudine e il martello per quanto riguarda le sanzioni contro la Russia, volute dagli Stati uniti e dall’UE. Se adotta a sua volta severe misure contro gli oligarchi russi rischia di mettere a repentaglio la sua neutralità e i suoi interessi economici.

La Svizzera ci perderebbe più della Russia se dovesse aderire alle sanzioni imposte dagli Stati Uniti e dall’Unione europea contro Mosca, ritiene Guy Mettan, presidente della Camera svizzero-russa di commercio. A suo avviso, il governo elvetico si è già spinto molto lontano, sospendendo i negoziati su un accordo di libero scambio con la Russia e vietando ad alcuni oligarchi russi di entrare in Svizzera.

Berna ha inoltre congelato gli averi della società di commercio di carbone Mako Trading Company, che ha sede a Ginevra ed è gestita da Oleksander Yanukovich, figlio del deposto presidente ucraino Viktor Yanukovich.

Il cerchio si stringe intanto per alcuni oligarchi russi e ucraini. In marzo, su mandato dell’FBI, è stato arrestato in Austria Dmytro Firtash, un ricco uomo di affari ucraino, molto legato al vecchio regime al potere a Kiew. Recentemente l’oligarca russo Gennady Timchenko ha venduto la sua quota presso il gigante del commercio del petrolio Gunvor al suo socio in affari, dopo essere stato accusato dagli Stati Uniti di intrattenere stretti legami con il presidente russo Vladimir Putin.

Il presidente americano Barack Obama ha dato lunedì un ulteriore giro di vite alle sanzioni contro Mosca, prendendo esplicitamente di mira anche “la cerchia ristretta del presidente Putin”.

Con un nota in cui si accusa la Russia di “indiscutibile coinvolgimento nelle recenti violenze nell’Ucraina orientale”, il portavoce della Casa Bianca ha annunciato che è stato disposto il congelamento dei beni e il divieto di visto per gli USA nei confronti di sette alti funzionari governativi russi.

Nel mirino finiscono anche 17 aziende, tra cui diverse banche, i cui beni negli USA vengono congelati, e altre 13 che non avranno più la possibilità di cooperare con aziende americane. Saranno inoltre negate le licenze di esportazione di alta tecnologia USA “che possa contribuire alle capacità militari russe”.

Tra le personalità prese di mira da Washington spicca il presidente del colosso petrolifero pubblico Rosneft, Igor Sechin, consigliere di Putin da lunga data. Nella lista c’è anche un vice premier, Dmitri Kozak, e un vice capo di gabinetto di Putin, Vyacheslav Volodin.

La risposta del Cremlino non si è fatta attendere: “Certamente risponderemo”, ha replicato a stretto giro il viceministro degli esteri Serghiei Riabkov, e “siamo certi che tale risposta avrà un effetto doloroso per Washington”.

Nel frattempo, a Bruxelles, anche gli ambasciatori dei 28 governi dell’UE hanno dato il via libera alla ‘fase due bis’ delle sanzioni contro la Russia, ovvero misure che prevedono un congelamento di beni e un divieto di viaggio per altre 15 persone.

Legami russo-svizzeri

“La posizione attuale del governo elvetico non ha intaccato per il momento le relazioni con la Russia. Ma se la Svizzera supererà la ‘linea rossa’, allora potrebbero esservi dei contraccolpi”, prevede Guy Mettan, per il quale “la storia ha dimostrato che le sanzioni non portano a cambiamenti di regime”.

Il presidente della Camera di commercio svizzero-russa “teme in particolare problemi per il settore finanziario elvetico, che rischia di veder defluire ingenti capitali russi verso centri offshore rivali, come Singapore e Dubai”. Secondo gli ultimi dati della Banca nazionale svizzera, nel 2012 gli istituti finanziari elvetici avrebbero avuto in custodia 13,8 miliardi di franchi (15,6 miliardi di dollari) provenienti dalla Russia.

I deflussi di capitali dalla Russia stanno aumentando rapidamente negli ultimi tempi. Circa 63 di miliardi dollari hanno lasciato la Russia l’anno scorso e la Banca Mondiale prevede che altri 150 miliardi potrebbero uscire dal paese nel 2014, se dovesse aggravarsi la crisi con l’Ucraina.

Molte società e diversi uomini di affari russi sono implicati nel commercio di materie prime. A detta di Oliver Classen, del gruppo di pressione Dichiarazione di Berna, vi è da prevedere che un giorno saranno associati al Cremlino degli oligarchi russi che hanno legami di affari con la Svizzera.

Persone politicamente esposte

“Credo che Yanukovich, Timchenko e Firtash sono solo la punta dell’iceberg. È solo una questione di tempo prima che venga alla luce il caso di un’altra ‘persona politicamente esposta’ che ha dei legami con il commercio di materie prime in Svizzera. La Svizzera deve fare in modo di non diventare un centro di riciclaggio delle materie prime”.

“Le società attive nel settore delle materie prime hanno in genere dei contatti con i dirigenti politici dei paesi in cui operano e questo può portare a potenziali conflitti di interesse. Ma una cosa è fare affari con persone politicamente esposte e un’altra consentire a questa persone di gestire le proprie attività”.

Un anno fa, il governo aveva pubblicato un rapporto in cui raccomanda maggiori controlli nelle attività con persone politicamente esposte, ma su base volontaria e senza proporre ulteriori regolamentazioni. La Dichiarazione di Berna critica la posizione del governo svizzero per quanto riguarda i rischi reputazionali per il settore del commercio di materie prime.

Da parte sua, la Svizzera ha annunciato il 2 aprile che non avrebbe imposto proprie sanzioni, ma che avrebbe rispettato le misure imposte dall’UE contro 33 politici e funzionari vicini a Putin.

Gli intermediari finanziari con sede in Svizzera non saranno più autorizzati a entrare in nuove relazioni commerciali con le persone colpite dalle sanzioni dell’UE. Queste ultime non sono inoltre autorizzate a trasferire in Svizzera le attività che detengono all’interno o al di fuori dell’UE.

Non sono tuttavia soggetti ad un divieto i rapporti commerciali già esistenti che coinvolgono questa cerchia di persone.

Le restrizioni di viaggio imposte dall’UE contro i 33 soggetti hanno anche un effetto sulla Svizzera attraverso l’accordo di associazione Schengen.

Registro pubblico e controlli

Secondo Classen occorrerebbe un registro pubblico destinato a determinare a chi appartengono le società attive nel commercio di materie prime e dei controlli mirati dei flussi finanziari relativi a questo settore.

A detta di Stéphane Graber, segretario generale della Geneva Trading and Shipping Association (GTSA), non è giusto accusare il settore delle materie prime di trattare con persone politicamente esposte. “Non significa automaticamente che una persona è coinvolta in un caso di corruzione, solo perché è amica di un politico o è andata a scuola con lui. Il commercio di materie prime non è diverso da altri settori, che hanno magari altrettanti casi di persone politicamente esposte.

Commercio di materie prime

In Svizzera hanno sede circa 500 aziende attive nel commercio di materie prime, tra cui i giganti del settore Glencore, Cargill, Vitol e Trafigura. Con circa 10’000 dipendenti questo settore contribuisce in misura di circa il 3,5% al prodotto interno lordo svizzero – più che l’industria del turismo.

GTSA, il maggiore gruppo di lobby degli operatori del commercio di materie prime nella regione di Ginevra, si dice favorevole all’applicazione di norme più severe per controllare il commercio di derivati e monitorare i flussi finanziari. Permetterebbero alla Svizzera di rimanere al passo con gli Stati Uniti e l’UE.

Secondo Graber, “il dibattito attuale dà l’impressione che i commercianti di materie prime consacrino troppo poca attenzione ai loro rischi operativi. Il che non corrisponde alla realtà. Se un’azienda ha un problema di reputazione, rischia di chiudere domani, perché i suoi canali di finanziamento presso le banche potrebbero semplicemente prosciugarsi”.

Traduzione e adattamento Armando Mombelli

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