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Crisi alimentare: alla ricerca di soluzioni durature

Ad Haiti vi sono stati tumulti tra le forze dell'ordine e la popolazione scesa in piazza per protestare contro i prezzi dei generi alimentari Keystone

A livello mondiale, il cibo è sempre più caro e milioni di abitanti dei paesi in via di sviluppo rischiano la miseria, mentre la comunità internazionale sta tentando di trovare una via d'uscita.

Le cifre sono emblematiche: durante gli ultimi anni, nonostante una produzione in continuo aumento, i prezzi degli alimenti di base sono cresciuti in maniera esponenziale. A titolo di esempio, in Senegal 1 kg di riso costa attualmente circa 1 euro: a marzo del 2007, la medesima quantità poteva essere acquistata con 22 centesimi.

A pagare le conseguenze di questa situazione sono soprattutto i paesi asiatici, africani e latinoamericani. Confrontata ai costi vieppiù proibitivi – considerati i salari estremamente bassi –, la popolazione di questi continenti fatica enormemente a garantire il proprio sostentamento.

Ad Haiti e nelle Filippine, per citare due casi, si sono infatti già verificati momenti di tensione in seguito alle veementi proteste dei cittadini.

Dal canto suo, la comunità internazionale si è chinata sul problema, alla luce del preoccupante scenario – ampie fasce di popolazione presto ridotte alla fame – nel caso in cui l’impennata dei prezzi non potesse essere frenata. Oltre agli aiuti finanziari d’emergenza, vengono dunque ricercate soluzioni durature.

Molteplici cause

Il rincaro alimentare attuale è legato a circostanze diverse: in primo luogo, l’aumento della domanda nei paesi emergenti – segnatamente India e Cina – conseguente alla crescita della popolazione e al maggior potere d’acquisto. Secondariamente, è salita anche la richiesta di cereali destinati alla produzione di biocarburanti, ciò che ha tolto materia prima dal mercato alimentare e ha ulteriormente spinto verso l’alto i prezzi.

Parallelamente, la crescita del costo del petrolio ha reso molto più onerosi i trasporti e ostacolato quindi la distribuzione dei beni agricoli. Inoltre, le superfici disponibili per la coltivazione diminuiscono costantemente in ragione della crescente urbanizzazione del territorio e dei cambiamenti climatici. Quale ultimo elemento, figurano le speculazioni sui mercati delle materie prime, generate della sempre maggior necessità di queste ultime.

Per meglio comprendere il contesto attuale, individuare le possibili vie d’uscita e delineare la strategia d’aiuto elvetica abbiamo interpellato Giancarlo de Picciotto, attivo presso la sezione «Medio Oriente e Africa settentrionale» della Direzione svizzera dello sviluppo della cooperazione e impegnato per anni in America latina.

Sovranità alimentare

«La sovranità alimentare di un paese comprende da un lato la capacità di importare ed esportare cibo, dall’altro quella di produrre il necessario per garantire il sostentamento della popolazione», spiega de Picciotto.

L’intervento svizzero – sottolinea l’esperto – si declina su più livelli: in primo luogo politico, aiutando cioè le autorità locali a elaborare politiche agricole adatte al contesto. Il sostegno passa poi attraverso la promozione dell’innovazione tecnologica. Infine, vengono rafforzate le strutture di appoggio alla produzione, per esempio le cooperative agricole e le ditte di commercializzazione di prodotti locali.

«Lo scopo finale – riassume de Picciotto – non è quello di negare l’importanza del commercio internazionale, ma garantire ai singoli paesi un livello di produttività alimentare tale da potere assorbire le scosse proprie del sistema globalizzato, come la scelta statunitense, peraltro legittima, di destinare buona parte della produzione agricola al bioetanolo».

Sfruttare ciò che già esiste

In un recente rapporto sullo stato dell’agricoltura mondiale, l’Organizzazione delle Nazioni unite per l’educazione, la scienza e la cultura ha sottolineato la necessità di modificare l’approccio all’agricoltura moderna.

In particolare, vi si afferma che le scienze agricole hanno sì permesso di migliorare considerevolmente la produttività durante l’ultimo cinquantennio, ma i benefici sono stati ripartiti in maniera assai disuguale. Secondo gli autori del documento, occorre quindi tenere maggiormente conto della protezione delle risorse naturali.

A tal proposito, Giancarlo de Picciotto osserva: «Quando si parla di innovazione in questo settore, l’obiettivo deve essere quello di ricavare il massimo dalla tecnologia già esistente, adattandola alle condizioni dei piccoli e medi produttori».

Metodi tradizionali

«Innovazione tecnologica – aggiunge – è per esempio sinonimo di trazione animale, di uso dell’aratro. Si tratta di tecniche adeguate ai piccoli appezzamenti, sui quali non avrebbe senso utilizzare enormi trattori».

Lo stesso vale per le sementi: «ben vengano quelle migliorate, ma tale processo dovrebbe essere effettuato secondo i metodi tradizionali – quali gli incroci tra le diverse varietà, ad esempio per rendere la specie più resistente alla siccità – e non necessariamente ricorrendo alle modifiche genetiche».

«Le soluzioni valide per la Svizzera e per gli altri paesi sviluppati non sono necessariamente applicabili ad altre realtà», sintetizza de Picciotto.

Comportamento responsabile

In un recente intervento, lo svizzero Jean Ziegler – relatore speciale delle Nazioni unite per il diritto all’alimentazione – ha caldeggiato una moratoria di cinque anni concernente i biocarburanti. Egli ha infatti ricordato che per produrre 50 litri di etanolo servono circa 230 kg di mais, sufficienti a sfamare un bambino africano per un anno.

«Credo che il senso della frase di Ziegler sia un invito a riflettere sul nostro comportamento e senso etico: non dobbiamo sprecare le risorse disponibili per puro egoismo. In altre parole, prima di trasformare il cibo in carburante destinato alle nostre automobili, faremmo per esempio meglio a investire nella ricerca energetica», conclude Giancarlo de Picciotto.

swissinfo, Andrea Clementi

Il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale hanno avallato un piano d’aiuto che prevede lo stanziamento a corto termine – da parte degli stati più industrializzati – di 500 milioni di dollari per fronteggiare l’aumento del costo dei generi alimentari. «Sulla base delle nostre analisi, riteniamo che il raddoppio dei prezzi avvenuto durante gli ultimi tre anni possa ridurre in miseria cento milioni di persone che vivono nei paesi poveri» ha affermato Robert Zoellick, presidente della Banca.

Quest’ultima sta inoltre valutando la possibilità di destinare l’1% dei fondi sovrani a investimenti mirati nel continente africano, volti ad aumentare la produttività agricola.

Secondo i dati forniti dalle Nazioni Unite, a partire dal mese di marzo del 2007 i prezzi della soia e del grano sono aumentanti rispettivamente dell’87% e del 130%; a livello mondiale, il costo del riso è aumentato del 75% in due mesi.
Nei paesi industrializzati, la spesa per il cibo ammonta generalmente al 20% del salario. In quelli in via di sviluppo, tale quota si situa attorno all’80%. In Yemen, una famiglia media spende oltre un quarto delle proprie entrate per acquistare il pane.
In Africa, su 54 paesi, 42 sono attualmente costretti a importare derrate alimentari.
Ad Haiti, in seguito al vertiginoso aumento dei prezzi, si sono svolte dimostrazioni di protesta poi sfociate in violenti scontri. La Banca mondiale ha garantito al paese caraibico dieci milioni di dollari quale aiuto urgente.

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