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Correre per esistere

Da ormai mezzo secolo gli atleti dell'Africa orientale dominano le gare di fondo e mezzofondo. Alla vigilia del meeting di Zurigo, reportage dalla valle del Rift, in Kenia, per cercare di scoprire i segreti di questo successo.

A Eldoret, città keniana nella valle del Rift, ogni mattina all’alba dei corridori prendono possesso delle strade in terra rossa. Partono in piccoli gruppi, con un’andatura tranquilla. Poi il ritmo diventa vieppiù sfrenato e la lotta infernale.

Per 365 giorni all’anno il rituale è identico. Eldoret, così come Iten e Nyahururu, non lontano da qui, potrebbero essere come tante altre città keniane. Sennonché in questa regione vi è una densità eccezionale di atleti che hanno vinto una medaglia ai mondiali o ai giochi olimpici.

Il pioniere Kipchoge Keino, oro sui 1’500 metri alle Olimpiadi del 1968 a Città del Messico, ha iniziato a correre su queste terre dell’etnia kalenjin, la più prolifica fucina di campioni, a cui appartengono anche John Ngugi, Moses Kiptanui, Paul Tergat o Wilson Kipketer.

I keniani, ma anche gli eritrei, gli etiopi, gli ugandesi e i tanzaniani, sono tra i migliori fondisti e mezzofondisti a livello internazionale. Ai Giochi olimpici di Pechino, ad esempio, hanno fatto man bassa di medaglie in tutte le discipline – maschili e femminili – dagli 800 m alla maratona.

“Perché sono così forti?”

Durante i recenti mondiali di Berlino, l’etiope Kenenisa Bekele, originario della valle del Rift, è diventato il primo atleta a centrare la doppietta 5’000/10’000 in un campionato del Mondo. Nelle prove di corsa campestre, il Kenia o l’Etiopia sono campioni del mondo a squadre ininterrottamente dal 1981 in campo maschile e dal 1995 in campo femminile. Da nessun’altra parte vi è una così alta concentrazione di campioni come in questa regione del Kenia, non lontana dal Lago Vittoria.

A Iten, a una cinquantina di km a nord-est di Eldoret, da trent’anni un uomo ha visto susseguirsi centinaia di giornalisti. Tutti con la stessa domanda: “Perché sono così forti?”. Quest’uomo, Padre Colm O’Connell, arrivato in Kenia dall’Irlanda negli anni ’70, ha vissuto la trasformazione dell’ex colonia britannica in una fucina di campioni. Davanti alla sua scuola, un cartello avverte gli automobilisti di fare attenzione ai bambini che “corrono” e non che “attraversano”…

Padre Colm ha conosciuto e allenato decine di campioni. Nella cantina della sua scuola, un muro è tappezzato con fotografie un po’ ingiallite di molti atleti famosi. I più celebri hanno un loro albero piantato nel cortile della ricreazione. Scienziati e allenatori sono venuti da queste parti per cercare una spiegazione. La morfologia svolge sicuramente un ruolo importante, ma non è sicuramente il solo fattore.

“È difficile affermare che il solo motivo di questo dominio è legato alla genetica”, dice Padre Colm. “I geni si esprimono nel modo di vivere, nella morfologia, nella mentalità e in molte altre cose. Ricercatori dell’università di Copenhagen sono venuti qui ed hanno paragonato la taglia dei polpacci dei giovani keniani con quella dei danesi. Hanno fatto tutta una serie di test, sui globuli rossi e le capacità d’assorbimento dell’ossigeno”.

Una questione culturale

“Nessuno è però riuscito a scovare un unico fattore decisivo”. Per Colm O’Connell, il successo attuale non ha nulla di misterioso: l’allenamento paga, tutto qui.

Un’opinione condivisa da Boris Gojanovic, medico sportivo vodese e triatleta dilettante. “Altre regioni del mondo, dalle Ande all’Himalaya, offrono condizioni d’allenamento simili. Nella Valle del Rift, però, la corsa a piedi è parte integrante della cultura locale. Anche se il genoma svolge sicuramente un ruolo, i fattori sociali e culturali sono senza dubbio più importanti”.

Per i bambini della valle del Rift, Paul Tergat e compagnia, diventati dei veri e propri ‘businessmen’, sono dei modelli da imitare. Ma non si tratta solo di denaro. La cultura della corsa spinge migliaia di giovani ad emulare i molti di campioni del passato e del presente.

Si corre poiché questo è un mezzo per diventare qualcuno. Lavorano duro, in condizioni d’allenamento difficili ma ideali per la resistenza, in particolare a causa dell’altitudine (2’100 metri), per questo sono i migliori, aggiunge Padre Colm.

Anche alla fine di una seduta d’allenamento, quando tutti sono ormai spossati, vi è sempre qualcuno che cerca di piazzare un’ultima accelerazione… Una sete di vincere che riesce a trasformare alcuni di loro in macchine da record e da medaglie.

Correre, mangiare, dormire

Ad Eldoret la Federazione internazionale d’atletica ha un centro d’allenamento e il Qatar ha promesso di costruire una pista sintetica, a patto di poter naturalizzare un corridore keniano.

In Kenia il salario mensile è di 50 euro. Durante una competizione in Europa o negli Stati Uniti, un atleta e il suo manager possono guadagnare una somma decine di volte più elevata. Nulla di più normale, quindi, che nella valle del Rift moltissimi ragazzi e ragazze, abituati a correre da quando sono bambini, in particolare per recarsi a scuola, continuino ad allenarsi con ostinazione.

Tra i due o tre allenamenti quotidiani, gli atleti ritornano ogni volta nella loro stanza per mangiare e dormire. Non solo si allenano di più degli occidentali – percorrono spesso ogni settimana più di 200 km – ma si riposano anche maggiormente. Correre, mangiare, dormire. Sette giorni su sette.

L’impero di Gebreselassie

Non hanno paura di nulla e non si fissano nessun limite. Alcuni sono diventati ricchissimi, come Haile Gebreselassie, alla testa di un impero che impiega centinaia di etiopi e che oggi sta pensando di lanciarsi in politica.

Una delle motivazioni che spinge questi atleti è anche la volontà di aiutare i loro cari o la loro regione d’origine. Tegla Loroupe, che dieci anni fa stabilì il record del mondo di maratona, ha finanziato gli studi nelle università americane alle sorelle e ha creato una fondazione per costruire degli orfanatrofi e delle scuole nelle sua regione.

Il tanzaniano Faustin Baha, 27 anni, vicecampione del mondo di mezza maratona nel 2000 dietro il keniano Paul Tergat, corre dal 1993 ma pensa di continuare ancora per 10 anni! Ha dei progetti e conta sul denaro che può guadagnare grazie alle sue gambe e ai suoi polmoni.

“Voglio costruire una scuola. Ho un terreno di dieci ettari, ma mi mancano ancora soldi per costruire. Mia madre vive sola al villaggio. Ogni giorno, per andare a prendere l’acqua deve camminare per due chilometri. Voglio che vi sia acqua nel nostro villaggio. Ma anche in questo caso è una questione di soldi”.

Arnaud Bébian, Kenia, Infosud/Syfia/swissinfo.ch
(traduzione ed adattamento di Daniele Mariani)

Da diversi anni circolano diverse ipotesi per spiegare il dominio degli atleti originari della valle del Rift nel fondo e mezzofondo.

Secondo il ricercatore danese Bengt Saltin, una delle ragioni è da cercare nella morfologia degli atleti dell’Africa orientale, che avrebbero dei polpacci più fini e quindi più adatti al podismo.

I corridori africani sopporterebbe meglio la disidratazione. Sudando e perdendo dunque peso, sarebbero più rapidi nei finali di corsa. L’allenamento ad un’altezza compresa tra 1’800 e 3’000 metri permetterebbe loro anche di consumare ossigeno con un rendimento superiore. Grazie a un allenamento specifico, avrebbero anche sviluppato delle fibre muscolari intermedie tra quelle lente e rapide, ideali per la corsa.

Vi sono poi dei fattori culturali. I bambini di questa regione sono spesso obbligati a correre per raggiungere la scuola, situata a volte a chilometri di distanza. La corsa rappresenta pure un motore di ascensione sociale. Le rivalità tribali avrebbero pure stimolato lo spirito competitivo, che si manifesta attraverso la corsa.

I fattori culturali avrebbero influito anche sull’evoluzione del genoma delle popolazione della valle del Rift. “I giovani uomini dovevano effettuare dei grandi raid per andare a rubare il bestiame ad altre tribù. I corridori migliori erano quindi favoriti socialmente, trovavano moglie più facilmente e avevano più bambini; in tal modo si è operata una selezione genetica”, spiega infine il dottore vodese Boris Gojanovic.

La Weltklasse fa parte della ristretta cerchia della Golden League ed è considerato il quarto più importante meeting del mondo.

La prima edizione è stata organizzata nel 1928. L’81esima si svolgerà venerdì 28 agosto. Zurigo è la quinta e penultima tappa della Golden League 2009, che si concluderà il 4 settembre a Bruxelles.

Quattro atleti sono ancora in corsa per aggiudicarsi il jackpot di un milione di dollari, attribuito a chi riesce a vincere tutti i meeting nella sua disciplina: Kenenisa Bekele (Etiopia, 3000 m/5000 m), Karon Stewart (Giamaica, 100 m), Sanya Richards (USA, 400 m) e Yelena Isinbayeva (Russia, salto con l’asta).

A Zurigo sono stati battuti 24 record del mondo, l’ultimo dei quali nel 2006, quando Asafa Powell riuscì ad abbassare il primato sui 100 m, portandolo a 9 secondi e 77 centesimi.

Nel 2007 il meeting è stato il primo grande evento sportivo organizzato nel nuovo stadio del Letzigrund, che può accogliere 29’000 spettatori.

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