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Zanzibar, rifugio svizzero in tempo di pandemia

due donne a zanzibar
Rendel Arner e Jasmin Feierabend si apprestano a girare un videoclip nella splendida cornice di Zanzibar. Isolda Agazzi

Mentre la Covid-19 mette in pausa la cultura e i contatti umani in Europa, dei giovani svizzeri sono venuti a Zanzibar per portare avanti i loro progetti artistici o umanitari. Reportage.

Tra le rovine del Mtoni Palace, un palazzo sul mare vicino a Stonetown costruito dal primo sultano di Zanzibar, alcuni giovani tanzaniani cantano e ballano tra le colonne in rovina, mentre un cameraman gira il videoclip della loro ultima canzone. In lontananza, il rombo di un temporale aggiunge una nota bassa inaspettata.

Il posto è affascinante. A poche centinaia di metri, due trentenni di Zurigo sono venute a girare il videoclip di Jasmin Feierabend, una cantante molto affermata nella Svizzera tedesca. “A Zurigo ho un’azienda di catering, faccio street food e musica, ma con il coronavirus tutto è stato annullato. Così ho deciso di venire in Tanzania, perché è uno dei pochi Paesi al mondo dove non c’è bisogno di alcun test”, mi spiega Jasmin, in piena preparazione.

“Ho deciso di venire in Tanzania, perché è uno dei pochi Paesi al mondo dove non c’è bisogno di alcun test.”

Jasmin Feierabend, cantante svizzera

Il presidente tanzaniano John Magufuli, morto il 17 marzo dopo voci circolate per giorni che lo davano affetto da Covid-19, aveva dichiarato lo scorso aprile che il Paese aveva sconfitto il virus attraverso la preghiera, il digiuno e le piante medicinali. Ma da febbraio, la Tanzania ha in parte riconosciuto la presenza del coronavirus, che ha anche causato il decesso del vicepresidente dell’arcipelago di Zanzibar, Seif Sharif Hamad.

Una preoccupazione fino ad allora inesistente. Come durante una festa di Capodanno al Kendwa Rocks, un popolare ristorante nel nord di Zanzibar. Tutti si sentivano vivi e pieni di energia, liberi dalla paura del coronavirus, ricorda Jasmin Feierabend. “È lì che ho incontrato Said, un produttore cinematografico che mi ha visto cantare e mi ha portata in uno studio di registrazione, che è anche la sede della televisione di Zanzibar. Abbiamo iniziato a registrare. In poco tempo, abbiamo composto due canzoni e ora stiamo per girare il videoclip per una di esse”.

riprese di un videoclip a zanzibar
Durante le riprese del videoclip della cantante zurighese Jasmin Feierabend. Isolda Agazzi

Non ha paura del coronavirus? “No, tutti qui sono vivi e anch’io ho scelto di vivere. Sono sicura di avere un sistema immunitario molto forte e so che sono ancora più forte quando sono felice. Non posso immaginare di rimanere nel mio appartamento. La vita è in Africa, specialmente in Tanzania. Vedo come la gente vive giorno per giorno, è incredibile!”.

Fuggire dalla divisione e dalla paura in Svizzera

Rendel Arner si occupa delle decorazioni sul set delle riprese. In Svizzera è insegnante di sport e artista. È appassionata di bodypaintingCollegamento esterno, un’attività che è stata sospesa a causa del contatto che implica. “Sono fortunata, perché sono un’insegnante e ho un reddito, ma psicologicamente avevo bisogno di trovare un equilibrio e di esprimermi. Volevo fuggire dalla paura in Svizzera”, dice.

“Psicologicamente avevo bisogno di trovare un equilibrio e di esprimermi. Volevo fuggire dalla paura in Svizzera.”

Rendel Arner, artista svizzera

Dopo questo soggiorno ristoratore a Zanzibar, Rendel Arner spera di trasmettere le sue buone sensazioni in Svizzera: “Molti dei miei amici artisti hanno le idee confuse e non sanno dove andare”.

E il coronavirus? “Non ho paura. So che esiste. Alcuni membri della mia famiglia sono morti a causa del virus. Dovremo conviverci. Una società non vive solo di precauzioni, ma anche di cure reciproche. La paura impedisce alle persone di trovare soluzioni”.

In nome del volontariato

Alla fine, la tempesta che minacciava le riprese del mattino non si è scatenata, e la sera è una leggera brezza a soffiare sulla capitale di Zanzibar, portando in cielo le note del taarab, la musica tradizionale suonata dalla Dhow Countries Music AcademyCollegamento esterno, l’unica scuola di musica dell’isola.

Sulla terrazza sul tetto dell’Emerson, l’ex palazzo di un ricco mercante swahili trasformato in un boutique hotel, l’orchestra smette di suonare regolarmente per lasciare il posto al richiamo alla preghiera proveniente dalle innumerevoli moschee della città. Poi, il suono delle campane del tempio indù si mescola con quello delle due chiese della piazza, crocevia da secoli delle influenze africane, arabe, indiane e persiane.

zanzibar
Vista dalla terrazza sul tetto dell’Emerson, un antico palazzo di un ricco mercante swahili trasformato in hotel. Isolda Agazzi

Seduti per terra, su cuscini ricamati in stile orientale, i muzungu (stranieri) si lasciano trasportare dalla magia del luogo, mentre alcuni dhow, le barche con la tipica vela bianca triangolare, transitano lentamente lungo il porto.

Tra loro c’è Andreas, un 22enne di Zurigo che ha trascorso tre mesi in Tanzania come volontario. “Sto facendo il mio anno sabbatico e la Tanzania era l’unico posto al mondo dove non c’erano restrizioni”, dice. “Ho deciso di venire come volontario per lavorare con le comunità locali e fare qualcosa di utile”.

Dalla morte del vicepresidente di Zanzibar, il cooperante ha percepito che la gente ha iniziato a porsi delle domande: “Le cose stanno cambiando”.

Vivi e vegeti!

Nel mese di febbraio, la Fondazione EmersonCollegamento esterno ha organizzato il suo Sauti Za Busara, un festival di musica africana che si tiene ogni anno a Zanzibar. L’evento si è svolto sotto lo slogan Alive and kicking! (Vivi e vegeti). “Rendiamo omaggio alle vittime della pandemia in tutto il mondo e agli operatori sanitari, ma in questo contesto cupo, ci sembra più importante che mai mostrare che la vita continua”, ha detto DJ Youssouf, l’organizzatore, un inglese che vive a Zanzibar da vent’anni.

Per due giorni, una folla numerosa, ma non soffocante, di stranieri e locali ha ondeggiato al suono della musica africana tradizionale e moderna. È stata l’occasione per due muzungu vestite in abiti tradizionali di mettere alla prova le loro abilità di danza africana.  Rendel e Jasmin si muovevano con tale facilità che un cerchio si è formato intorno a loro. Tutti, tanzaniani e muzungu, sono rimasti a bocca aperta nell’ammirare le due ragazze svizzere.

In Tanzania, la Covid-19 non esisteva ufficialmente fino al 21 febbraio. Dopo l’emergenza di 509 casi la scorsa primavera, il presidente John Magufuli ha decretato tre giorni di preghiera e digiuno. Ha invitato i cittadini a usare le piante medicinali, per poi dichiarare che il virus era scomparso.

La sua morte all’età di 61 anni ha coinciso con lo scoppio di una seconda ondata pandemica. La vicepresidente della Tanzania, Samia Suluhu Hassan, è diventata il primo capo di Stato donna del Paese. La 61enne è originaria dell’arcipelago semi-autonomo di Zanzibar. I tanzaniani si stanno chiedendo se porterà avanti la politica del presidente John Magufuli, soprannominato ‘il Bulldozer’ per i grandi progetti di infrastrutture e la lotta contro la corruzione che ha intrapreso. Un volontarismo offuscato dal suo crescente autoritarismo e dalla sua negazione del coronavirus.

Traduzione dal francese: Luigi Jorio

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