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Copenaghen: predomina la delusione

Potevamo bloccare la catastrofe climatica ... ma non l'abbiamo fatto: cartellone del dopo Copenaghen con le scuse del presidente brasiliano Lula da Silva Keystone

In Svizzera l’esito della Conferenza internazionale sul clima tenuta a Copenaghen ha suscitato reazioni divergenti. Sia da parte della stampa domenicale che dei partiti e delle organizzazioni ambientaliste emerge soprattutto un sentimento di delusione, anche se le aspettative riposte nel vertice erano forse troppo alte.

“La Conferenza sul clima di Copenaghen è terminata come un dramma caotico”, scrive il giornale domenicale SonntagsZeitung, sottolineando come le delegazioni di Stati uniti, Cina, India, Brasile e Sudafrica abbiano raggiunto un accordo minimo durante un ultimo improvvisato incontro in una camera d’albergo, mentre i rappresentanti degli altri paesi, tra cui anche quelli dell’UE, erano ormai convinti che il vertice non avesse partorito nessuna intesa.

“Alla fine è scaturita soltanto l’intenzione di mantenere il surriscaldamento del pianeta al di sotto dei 2 gradi, di promuovere uno sviluppo economico sostenibile e giusto, di cooperare per lottare contro i cambiamenti climatici. Si è rimasti insomma sulle belle parole, senza prendere in alcun modo impegni vincolanti”, osserva la SonntagsZeitung.

A detta del foglio domenicale, “come in occasione delle altre conferenze sul clima, ambientalisti, scienziati e media hanno però ignorato ancora una volta importanti realtà economiche e hanno creato aspettative irrealistiche, che potevano soltanto essere deluse”.

Scenario sempre uguale

Un’opinione condivisa anche dalla NZZ am Sonntag. “Il vertice di Copenaghen non è fallito per mancanza di volontà da parte dei politici, ma in ragione delle realtà economiche. L’atmosfera, utilizzata finora gratuitamente come discarica dei gas ad effetto serra, dovrebbe diventare un fattore di costo con l’introduzione dei certificati di emissione, contesi da ogni paese”.

“È ormai dal vertice sull’ambiente di Rio, nel 1992, che tutte le conferenze sul clima si svolgono con lo stesso scenario. I paesi partecipanti annunciano in modo compatto la loro volontà di lottare contro il surriscaldamento del pianeta, ma alla fine tutto rimane come prima”, aggiunge il giornale.

Figuraccia per l’ONU

Ancora più duro il domenicale Sonntag, per il quale il vertice di Copenaghen può essere ormai chiamato “Floppenhagen”, ossia un fallimento. “Tra i perdenti di questa conferenza non vi è soltanto il clima. Anche le Nazioni unite ne escono sconfitte, dovendo incassare una figuraccia”.

Secondo il giornale, nessun altro vertice dell’ONU si è concluso in modo così disastroso. “L’organizzazione internazionale ha perso ogni autorità, quando i rappresentanti delle principali potenze mondiali si sono riuniti all’ultimo momento per tenere il loro minivertice”.

“I dirigenti mondiali hanno deciso, una volta in più, di rinviare il momento di prendere delle decisioni vincolanti”, afferma Le Matin Dimanche, per il quale il testo di compromesso uscito da Copenaghen “è lungi dal poter soddisfare le ambizioni e la mobilitazione senza precedenti per questo appuntamento”.

Quasi un successo per Leuenberger

Meno pessimista il ministro dell’ambiente Moritz Leunberger, intervistato da alcuni giornali domenicali. A suo avviso, il vertice può essere considerato in buona parte un “successo”, dal momento che i paesi produttori del 90% del CO2 liberato nell’atmosfera si sono impegnati a ridurre le loro emissioni”.

Anche per il consigliere federale, “sarebbe stato comunque molto meglio, se tutti i paesi partecipanti avessero concordato misure vincolanti. “È peccato, ma non è comunque il caso di parlare di un fiasco”, afferma Leuenberger, sottolineando di ritornare con sentimenti contrastanti da questo vertice.

Reazioni divergenti dei partiti

Divergono anche tra i partiti le opinioni sull’esito della conferenza di Copenaghen sul clima e sui passi che dovrà ora compiere la Confederazione in ambito di politica climatica per dare un seguito ai risultati del vertice.

Secondo il Partito socialista, i singoli Stati sono ora esortati a rispettare per lo meno questo “minimo consenso” a cui si è giunti a Copenaghen. Per la Svizzera il partito esige un calo delle emissioni di CO2 di almeno il 30% entro il 2020.

Anche il Partito liberale radicale si rammarica del fatto che a Copenaghen non sia stato possibile fissare traguardi vincolanti. Per la Svizzera i radicali sollecitano una riduzione delle emissioni di CO2 del 20%, ma solo nel contesto di un accordo internazionale. Sulla stessa linea anche il Partito popolare democratico, secondo cui a Copenaghen non ci si poteva attendere altro, visto che USA e Cina non sono riusciti a trovare un accordo.

Per il presidente dell’Unione democratica di centro Toni Brunner, i principali paesi inquinanti – USA, Cina e India – non hanno pagato il loro tributo, quindi anche la Svizzera può ora fare la stessa cosa. “Se agiremo solo noi, pesando sulla nostra economia e sul nostro traffico, ciò avrà ripercussioni sulla nostra economia interna”.

Ambientalisti profondamente delusi

“Estrema delusione”: questa invece la reazione del Partito ecologista. Il presidente Ueli Leuenberger, ha annunciato che i Verdi intendono esigere una riduzione delle emissioni di CO2 del 40% in Svizzera, invece del 20% previsto finora dal governo. Rispetto ai paesi in via di sviluppo, la Confederazione dispone infatti dei fondi e delle tecnologie necessarie per farlo.

Greenpeace Svizzera critica il fatto che, senza misure meglio definite, non sarà possibile frenare il surriscaldamento della Terra al di sotto dei 2 gradi. Anche per l’organizzazione ambientalista, la Svizzera dovrà riuscire a ridurre le sue emissioni di CO2 del 40%.

Per il WWF Svizzera, la conferenza di Copenaghen ha un retrogusto amaro: interminabili negoziati sono sfociati in un documento senza sostanza e non vincolante, indica l’organizzazione. “É un giorno nero per la Terra, come per la Svizzera”, ha dichiarato Patrick Hofstetter, responsabile della politica climatica per il WWF svizzero.

swissinfo.che e agenzie

Il testo, un documento di tre pagine, fissa come obiettivo il limite di riscaldamento del pianeta a 2 gradi rispetto ai livelli preindustriali.

Prevede anche aiuti pari a 30 miliardi di dollari su tre anni per aiutare i paesi in via di sviluppo ad affrontare le conseguenze dei cambiamenti climatici, e una successiva crescita degli aiuti fino a 100 miliardi di dollari entro il 2020.

I rappresentanti di quasi 200 paesi si sono riuniti dal 7 al 18 dicembre a Copenaghen per cercare di raggiungere un accordo sul clima che dovrà prolungare o sostituire il Protocollo di Kyoto, che scade nel 2012.

L’obiettivo principale era la riduzione le emissioni di gas a effetto serra affinché l’aumento delle temperature non sia superiore a 2 gradi rispetto all’era preindustriale.

Il Giec (Gruppo d’esperti intergovernativo sull’evoluzione del clima) ritiene necessaria una riduzione del 25-40% delle emissioni dei paesi industrializzati entro il 2020 rispetto ai livelli del 1990.

Il governo elvetico vuole ridurre del 20% le emissioni della Svizzera entro il 2020. Berna è pronta comunque a fissare un obiettivo del 30%, a dipendenza dei risultati della conferenza di Copenaghen.

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